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come prepararci al meglio per l'Aldilà (le meditazioni aiutano?)
Hai mai pensato a come prepararti davvero alla morte? Non intendo solo dal punto di vista pratico, ma da quello più profondo, spirituale, emotivo. Cosa succede quando lasciamo il corpo? Come possiamo affrontare questo passaggio con serenità e lucidità? La meditazione può davvero aiutarci? Oppure serve qualcosa di più o di diverso?
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Te lo dico subito: sì, meditare aiuta. Ma non basta da sola. Perché il punto non è solo “fare meditazione” in senso tecnico e basta, ma entrare in un modo diverso di vivere. Meno centrato sull’ego, più connesso con l’amore e la consapevolezza.
Perché alla fine, è proprio lì che andremo: in una dimensione dove il cuore conta più della mente, e l’essere più del fare.
Due domande hanno dato il via a tutto: come posso prepararmi in vita per affrontare al meglio la mia morte? E c’è un legame tra meditazione e aldilà?
Domande semplici, ma potentissime. Ce le poniamo tutti, prima o poi. Per paura, per curiosità, o semplicemente perché sentiamo che non finisce tutto qui.
E allora: come ci si prepara? Non con la paura, ma con presenza. Non con la testa piena, ma col cuore aperto.
E non si tratta di religione. È qualcosa che tutte le saggezze ci ricordano: ama. Ama davvero. Sii presente.
Esercitati ogni giorno a vivere con consapevolezza, perché è esattamente così che imparerai anche a morire bene. Anzi a Vivere bene.. Questo almeno è ciò che ricordo a me stesso ogni giorno.
Meditare è utile, certo. Ma non è la bacchetta magica. La vera trasformazione accade quando la meditazione apre il cuore, non solo quando calma la mente anche se calmare la mente va proprio nella direzione dell’apertura del cuore e l’agevola.
Perché, diciamolo, il cuore spesso si chiude. Quando siamo stanchi, feriti, in ansia. Quando ci manca qualcosa o qualcuno. Quando abbiamo paura.
E allora? Allora serve tornare a ricordare l’amore. Tornare lì. Non importa se lo fai con la meditazione, con la preghiera o guardando un tramonto. Ciò che conta è che torni a sentire.
Perché nel momento del passaggio, non ci porteremo dietro le tecniche, ma la qualità del nostro cuore. Ovvero non la tecnica ma il risultato che la tecnica dovrebbe favorire.
Non è una questione di quantità di ore di meditazione, ma di come questa ha cambiato il nostro modo di stare al mondo.
Esistono meditazioni molto potenti, tramandate da millenni, che possono accompagnarci anche nel momento della morte.
Una tra tutte: il tonglen. I tibetani la usano per aprire il cuore in modo profondo. È una pratica in cui, simbolicamente, inspiri il dolore del mondo ed espiri amore. Prendi su di te (a sfavore solo dell’ego e non della tua essenza vera) la sofferenza e la trasformi, offrendo compassione.
C’è poi il cosiddetto “trasferimento di coscienza” detto Powa, una tecnica avanzata che alcuni lama riescono a praticare nel momento del trapasso. Si dice che riescano a lasciare il corpo in modo consapevole, dissolvendosi letteralmente nella luce. Sono pratiche profonde, misteriose, ma ci dicono qualcosa: la mente può imparare a lasciar andare.
E poi c’è il samadhi, lo stato di assorbimento profondo, di estasi. Quando ti perdi totalmente nell’esperienza, come davanti a un tramonto o nell’abbraccio di un figlio.Una esperienza in effetti che possiamo avere, almeno a tratti con le più classiche meditazioni come ad esempio quella del calmo dimorare.
Samadhi è quel momento in cui non c’è più un “io”, ma solo l’essere. Più ti alleni a riconoscere quello stato in vita, più sarai pronto a riconoscerlo anche quando non avrai più un corpo.
Uno degli insegnamenti più forti è questo: nel momento del passaggio, occorre lasciarsi andare. Non combattere. Non trattenere. Ma affidarsi. Pregare, cantare un mantra, respirare. Qualsiasi cosa che ti faccia uscire dalla spirale mentale dell’ego che dice: “Oddio, sto morendo! Oddio, sto soffrendo!”.
È quella reazione a crearci sofferenza. Non tanto l’esperienza in sé. Se riusciamo a cambiare vibrazione, a entrare in uno spazio di fiducia, allora qualcosa si trasforma. E quel momento, che tanto temevamo, può diventare persino dolce. Come un ritorno alla nostra vera casa, non una fine.
Chi ha vissuto esperienze di pre-morte o conosce gli insegnamenti dietro al Libro tibetano del vivere e del morire sa di cosa parlo: c’è una luce.
Un tunnel, e poi una luce fortissima, che non abbaglia ma avvolge. Non sei più tu, ma sei tutto. E lì, se hai avuto almeno un assaggio di quella vibrazione nella vita, la riconosci. E ci entri. Ti fondi.
È come quando un bambino riconosce la madre e le salta in braccio. Non ha dubbi, non ha paura. Solo amore e familiarità. Ecco, tanto più ti sei allenato alla presenza, all’amore, alla meditazione, tanto più riconoscerai subito quella luce. E potrai starci, senza scappare.
La domanda è: una volta che entri in quella luce, ci resti? O ti viene voglia di tornare? Molti raccontano che dopo un po’, in quella dimensione dove non c’è più un “io”, iniziano a sentire il bisogno di ritrovare se stessi. E allora riparte il ciclo delle reincarnazioni.
Ma se hai praticato abbastanza, puoi anche restare. O scegliere consapevolmente di tornare. Se sei tu a scegliere non torni perché ti manca qualcosa, ma perché vuoi portare qualcosa. Vuoi aiutare. I buddhisti parlano di bodhisattva: chi torna per amore, non per bisogno.
Quindi, la meditazione aiuta? Sì. Ma solo se ti porta oltre la tecnica. Se diventa un modo di vivere. Di sentire. Di amare.
Ci sono pratiche potenti, e nel corso che sto preparando ci saranno strumenti concreti per allenarti a tutto questo.
Ma il punto è: inizia ora. Non aspettare l’aldilà per iniziare a vivere davvero.
Perché vivere consapevolmente è già morire bene.
anche un “caffè” o una “pizza” possono esser di aiuto
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3 risposte
Grazie Claudio
Mi è capitato di ascoltare dei video di Martino Nicoletti, che forse conoscerai….Credo segua lo sciamanesimo… in cui afferma che l’anima del defunto, al momento della morte, riceve un fortissimo choc in quanto si trova in un posto totalmente sconosciuto e in cui non sa come muoversi e, non trovando punti di riferimento, cerca di tornare indietro, ma questo non gli è possibile, per cui può essere che rimanga sulla terra come entità infestante perché non riesce a distaccarsene.
In ogni caso lui afferma che, senza una guida che lo aiuti ad affrontare questo passaggio, l”anima trova grosse difficoltà….
Un concetto molto diverso dalle Nde che, almeno da quanto ho capito, dopo l’attraversamento di un tunnel, trovano questa,luce in cui possono scegliere di fondersi o meno ma che, in ogni caso, è come se fossero spinti in questo percorso senza sentirsi persi….
Cosa ne pensi? Grazie
ciao non lo conosco. Ad ogni modo siamo tutti diversi, tutti possiamo viverci piccoli o grandi shock come anche da vivi, ma non tutti soffrono ad esempio di sindrome da stress post traumatico, ciò che descrivi non è ciò che capita nella maggioranza dei casi come in effetti puoi riscontrare anche nella stragrande maggioranza delle NDE (ma non in tutte), se riesco ne faccio un video (ma non prometto nulla)