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Le relazioni cattive nell'Aldilà
Ci sono ferite che sembrano non guarire mai. Gesti, parole, tradimenti che si incollano dentro e non vanno via. Anche se la vita va avanti, certe emozioni restano lì: silenziose, ma sempre vive.
Ma cosa succede quando moriamo? Davvero tutto si azzera? Oppure quei rancori, quei legami, continuano a seguirci anche oltre la vita?
In questo articolo proviamo a guardarci dentro e a capire: che fine fanno le emozioni irrisolte quando lasciamo il corpo? Possiamo davvero liberarci? E soprattutto… possiamo farlo già ora, prima di andarcene?
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Nella vita tendiamo a ripetere gli stessi copioni. Hai mai notato di aver avuto più relazioni simili tra loro? O magari hai cambiato lavoro, città, ambiente… ma ti sei ritrovato sempre dentro le stesse dinamiche? È perché ci portiamo dietro degli schemi mentali. Come dei filtri. Li indossiamo inconsapevolmente e ci fanno attrarre o ricreare situazioni simili.
Ora, se questo succede in vita, perché pensiamo che con la morte si azzeri tutto? Se non sciogliamo quei nodi interiori, se non chiudiamo quei conti emotivi, è possibile che ce li ritroviamo anche dopo. Magari in un’altra forma, magari in un’altra vita.
Molti racconti di esperienze di premorte (le famose NDE) descrivono un momento in cui ci si fonde con una luce potentissima. Una luce d’amore, che scioglie ogni paura, ogni odio, ogni rancore. Lì tutto è chiaro. Non ci sono più io contro di te. C’è solo comprensione. Non mentale, ma totale.
In quel momento, si sperimenta una pace profonda. È come tornare a casa. E per un po’, tutto il resto scompare.
Purtroppo sì. Può accadere. Perché l’anima, dopo quel momento iniziale di fusione con la luce, può “staccarsene” e ritornare a identificarsi con i suoi vecchi modi di sentire. È come se, piano piano, risalisse in superficie.
E lì, ecco che tornano i vecchi filtri, i vecchi legami, le abitudini emotive. Se in vita ti sentivi vittima, potresti continuare a sentirti tale anche dopo. Se portavi rancore, potresti sentirlo riaffiorare, in forme diverse.
È una tendenza umana. Anche nell’aldilà. Ma non è una condanna: è solo un invito a risvegliarci.
Immagina la vita come un’arena. Un gioco. Una partita in cui entri per fare esperienza. Qualcuno ti sgambetta, qualcuno ti dà una gomitata. Fa parte del gioco. Quando finisce, potresti dire: “Ok, era solo una partita”. Ma quante volte, anche dopo il fischio finale, il rancore resta?
Per l’anima, le vite sono esperienze. E ogni esperienza serve a comprendere qualcosa di nuovo. Anche se doloroso. Ecco perché potresti ritrovarti, dopo la morte, a rivedere certe persone. Magari non con rabbia, ma con una nuova consapevolezza: “Ah, ecco perché ci siamo fatti del male…”.
Non è facile da accettare, ma molto spesso il legame tra chi fa del male e chi lo subisce è più profondo di quanto pensiamo. Non è un caso. È come se due anime si fossero incontrate per “recitare” un copione difficile insieme. A volte siamo la vittima. A volte il carnefice. E in altre vite, i ruoli si invertono. Solo così possiamo sentire sulla pelle entrambe le esperienze.
È doloroso, certo. Ma serve a comprendere. Serve a sciogliere quel nodo. Serve a guarire.
Siamo onesti: perdonare non è facile. Non significa dire che va tutto bene. Significa solo… smettere di portare dentro quel peso. Significa interrompere quel legame tossico che ci tiene ancorati. Significa liberarci.
E sai qual è la cosa più potente? Che puoi farlo ora. Non devi aspettare di morire, né di rinascere in un’altra vita. Già oggi, puoi scegliere di non restare incatenato al tuo carnefice. O al tuo senso di colpa. E questo vale in entrambe le direzioni: perdonare e farsi perdonare.
Nell’unica preghiera che ci ha lasciato, Gesù usa parole potentissime: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori.” Tradotto: perdona noi, nella misura in cui anche noi perdoniamo gli altri. È un atto di guarigione. Non solo religiosa, ma psicologica, spirituale, profonda, umana.
Ogni volta che porti rancore, sei incatenato. Ogni volta che perdoni, ti alleggerisci.
È vero che l’aldilà è un’occasione per rimescolare le carte. Ma perché aspettare? Ogni giorno qui, ora, è un’opportunità per chiudere un ciclo, per dire: “Basta, io non voglio più portarmi dietro questo fardello.”
Ci sentiamo spesso vittime. Ma anche da quella posizione possiamo agire. Possiamo decidere di non restare imprigionati nel ruolo. Possiamo decidere di fare il nostro lavoro interiore. E farlo ora, in questa vita.
Alla fine, tutto si riduce a questo: chi devi ancora perdonare? A chi chiedere perdono? Chi ti porti dietro come un peso, anche se magari non lo vedi più da anni? A chi stai ancora legato, anche solo nel pensiero?
Non serve l’aldilà per liberarti. Ti basta un atto di coscienza. Un piccolo gesto, un pensiero, un’apertura.
Prima lo fai, più sarai leggero. Più la tua anima sarà libera. E alla fine, non è questo che tutti cerchiamo?
anche un “caffè” o una “pizza” possono esser di aiuto
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4 risposte
Come possiamo comunicare con i nostri cari e spiegargli cosa gli sta succedendo e aiutarli a rilasciare questa rabbia repressa?
in generale, e vale anche per i vivi, tu lavori su te stessa, sulla tua rabbia, e perdoni te stessa e gli altri, gli altri possono eventualmente venirne influenzati. Altrimento, o contemporaneamente, possiamo mandare pensieri positivi, volti al bene (non ad eliminare qualcosa, neanche eliminare la rabbia)
È difficile perdonare, ancora di più quando si tratta di un genitore.
Si deve comunque accettare di fare un percorso non logico ma emotivo, altrimenti non si riesce.
capisco, perdonare è difficile ed in certi casi ancr di più, tuttavia, una volta perdonato è liberatorio. Sia emotivamente, energeticamente che fattivamente: non ci sarà bisogno di ricolvere l’irrisolto anche nelle vite future..