Consapevolezza

awarness

C’è un’altra domanda di Anna.

“Vorrei che mi parlassi meglio della consapevolezza. Cos’è? E perché è così importante?”

guarda il video (circa 10 minuti o 16 se vuoi vederne la continuazione) o continua a leggerne la trascrizione sotto:


Che cos’è la consapevolezza?

In inglese Mindfulness o Awarness -a seconda se vuoi indicare una presenza mentale o la consapevolezza come l’intendiamo noi- la consapevolezza è sicuramente importante perché ci permette di sapere quello che stiamo vivendo, quello che stiamo sperimentando momento per momento.

Io posso mangiare un mandarino velocemente, pensando, giocando con il cellulare, facendo altre cose, quindi con la mente altrove.

Quel mandarino viene mangiato con poca consapevolezza.

Quel mandarino potrebbe essere cartone, potrei accorgermi poco del sapore perché viene buttato giù così.

Quasi non è vero, quasi non sono vero io nel momento in cui lo sto mangiando perché non sono presente, sono nel mondo dei pensieri, nel mondo delle distrazioni.

Sono distratto, in quel momento non esisto né esiste il mandarino, esiste solo la mente occupata da altro.

Ma quando io sono consapevole del mandarino allora me lo gusto: sento il suo sapore, la fragranza, il liquido che esce quando lo mordo, sento la pressione.

Allora sono presente pienamente: mi godo il mandarino in un modo incredibile. Quell’esperienza, il mandarino, è vero, e anche io sono vero mentre lo mangio.

Sono pienamente nell’esperienza.

clicca qui per guardare il video sul mandarino in consapevolezza

Prima ho parlato di esperienze difficili.

Quando io riesco a essere presente non solo nelle esperienze facili, ma essere consapevole anche in quelle difficili e ci metto la mia attenzione, può darsi che l’insegnamento da imparare sia un po’ più chiaro.

Noi tendiamo a escludere, a non essere presenti né alle esperienze positive, né tantomeno a quelle negative. In realtà le esperienze sarebbero tutte neutre, siamo noi a dargli una qualifica positiva o negativa, ma è vero che è difficile non farlo.

Cos’è quindi la consapevolezza?

La consapevolezza è l’arte di essere presenti a noi stessi, l’arte di essere veramente lì.

Da un punto di vista cerebrale, questo aspetto ci dà un’idea più precisa anche nella dinamica di ciò che succede in noi: noi viviamo un’esperienza e ne siamo consapevoli.

Da un punto di vista cognitivo, cerebrale, cosa succede?

La consapevolezza da un punto di vista cerebrale

Il nostro cervello si compone di due emisferi che normalmente hanno una caratteristica: non comunicano molto.consapevolezza: gli emisferi cerebrali

Comunicano tra loro ma normalmente quando uno è attivo, l’altro è più spento e viceversa. Come sono fatti questi emisferi?

L’emisfero destro, che comanda la parte sinistra del corpo, dove c’è il cuore, è l’emisfero femminile, che è creativo, fantasioso, giocoso, è percettivo, sta nelle percezioni e nelle sensazioni. Quindi è caldo.

Questa parte sinistra che guarda caso comanda la parte destra, quella con cui scriviamo, con cui facciamo le cose più elaborate, e che è la parte invece fredda.

La parte destra è cognitiva, organizza le informazioni, è un po’ come un grande catalogo. Serve a rimettere ordine nelle cose.

Quando io sono nella percezione, quando sto gustando il mandarino, e la parte cognitiva è presente in questa azione, io creo una connessione tra la parte che sta percependo l’informazione e la parte che la sta organizzando.

Non sto vivendo un’esperienza che poi va solo nell’inconscio, ma è come se creassi di quell’esperienza un bel link sul desktop a cui poter accedere quando voglio.

Quell’esperienza è molto viva dentro noi altrimenti sarebbe presente comunque in noi ma finirebbe in qualche angolo remoto dell’hard disk e chissà come cognitivamente potremmo andare a recuperare quell’informazione.

Ecco anche perché alle volte ci dicono di verbalizzare quando c’è un’ansia o un’altra percezione, perché verbalizzare ci aiuta ad attivare anche la parte cognitiva e rimettere ordine alle cose.

La consapevolezza significa far comunicare questi due aspetti, essere più integri, non solo a livello cerebrale, ma anche moralmente.

Significa essere meno spezzettati: una parte di me sta vivendo un’esperienza mangiando un mandarino e una parte di me è spezzettata, separata, sta facendo un’altra cosa.

Quando invece sono pienamente in quello che sto facendo, riesco a fare le cose in modo molto più lineare, mi costa meno fatica, sono più preciso e poi posso sportarmi a farne un’altra.

Questo è sicuramente un ottimo modo per essere consapevoli, vivere una vita meno stressante e ottenere anche dei risultati più soddisfacenti, perché quando sono presente a quello che sto facendo, la cosa che sto facendo mi viene decisamente meglio.

Ecco quanto è importante usare la consapevolezza nel nostro quotidiano, oltre al fatto che ci permette di essere risvegliati, di vivere non più una vita da addormentati ma di essere pienamente quello che siamo e pienamente nell’esperienza per quella che è, senza mettere sopra troppe sovrastrutture fantasiose e mentali.

Dobbiamo stare con quello che c’è. Questo ci aiuta ad avere consapevolezza.

 

Consapevolezza nei condizionamenti

Marco chiede: “E l’essere consapevole dei condizionamenti?”

Più sei consapevole dei condizionamenti, più è facile uscire da essi.

Faccio un esempio: la compulsione ad accendersi la sigaretta o la compulsione ad aprire il frigorifero e mangiare qualcosa.

Noi abbiamo una tendenza karmica che ci spinge ad agire in un modo. Siamo dei robot, degli zombie, siamo addormentati, ci muoviamo in automatico.

In automatico prendo una sigaretta e la accendo senza quasi rendermi conto di averlo fatto.

Oppure apro il frigo, prendo il cibo e me lo metto in bocca, perché è più forte di me.

Il non riuscire a fermarsi è un classico.

Puoi essere consapevole di essere schiavo delle sigarette: se diventi matto quando il tabaccaio è chiuso o se esci comunque per andare a prenderle anche con il vento o la neve, puoi essere consapevole della tua dipendenza, e puoi cominciare a farti delle domande.

Puoi cominciare a chiederti: ma è quello che voglio?

Magari poi la risposta è sì, ma intanto ti poni domande più consapevoli.

Se prima non hai opzioni, una volta che sei consapevole aggiungi un’opzione, sei più libero e hai meno condizionamenti.

Sai di essere condizionato, scegli di continuare ad essere condizionato, ma comunque sei tu che scegli. Hai aggiunto una libertà.

Apri il frigo, mangi, richiudi e poi ti chiedi: “Quanto sono schiavo di questa cosa? Voglio uscirne”.

Sapere di essere schiavo è già un livello di consapevolezza.

Apri il frigo, prendi il cibo e dici: “Guarda, sto prendendo il cibo. Lo faccio? Lo voglio veramente? Di cosa ho bisogno? Cosa sta succedendo in me?”.

Potrei prendere il cibo perché sono arrabbiato oppure perché ho bisogno di affetto cercando di nutrire un bisogno. Forse è meglio cercare quello di cui si ha bisogno fuori dal frigo.

Ovviamente succede a vari livelli: ti porrai queste domande sempre un pochino prima, prima di alzarti per aprire il frigo.

 

Consapevolezza del proprio “copione” di vita (o karma)

“Inizio lentamente a rendermi conto che quasi o praticamente nessuno dei miei pensieri o azioni è davvero mio. Sono tutti frutto di una programmazione durata anni. Sto iniziando solo ora a rendermene conto e ad osservare. Per ora la parola d’ordine per me è osservare, osservare, osservare”.

Esatto, è così. In psicologia diversi approcci dicono che noi abbiamo un copione di vita. Io vengo dal teatro quindi per me è molto chiaro cos’è un copione.

Il copione è quel libro con tutte le frasi che dicono gli attori in teatro.

La recita potrebbe essere diversa usando una differente enfasi, ma il copione rimane lo stesso e più o meno la recita è sempre quella: nonostante le variazioni mi attengo al copione della recita teatrale e così fanno gli altri attori.

Il copione di vita viene in qualche modo inculcato dai nostri genitori quando siamo piccoli attraverso delle attribuzioni come “Sei come tuo padre”.

Lo dico anch’io a mio figlio: ”Guarda, sei come tua madre”.

Sono cose che incidono perché poi ci si immedesima. Con un “Sei cattivo” io tenderò a comportarmi da cattivo.

Sarebbe invece utile relativizzare: “In questo momento stai attuando un comportamento che a me non piace”. Questa è sicuramente una frase diversa.

Noi in qualche modo siamo figli dei nostri genitori. Spesso siamo la fotocopia dei nostri genitori, magari un mix dei due.

Oppure siamo l’opposto sotto certi aspetti ma facendo un gioco di ping pong con loro. Se uno è passivo, l’altro è aggressivo o viceversa, per esempio.

Se uno è pecora, l’altro è lupo, magari solo a momenti, perché alla fine la pecora assomiglia un po’ al lupo. In qualche modo noi ci auto-programmiamo, tendiamo a ripetere sempre gli stessi errori, a cadere sempre nella stessa buca del marciapiede.

Nello stesso modo anche i nostri genitori a loro volta hanno imparato. Se i genitori ci inculcano delle cose è perché le hanno imparate anche loro.

Io sto inculcando a mio figlio cose che sono il tesoro che mi rappresentano: quello che ho imparato lo trasmetto a mio figlio.

Ma quello che ho imparato io in parte mi è stato trasmesso dai miei genitori e in parte deriva dall’esperienza, ma un’esperienza filtrata da una mappa.

La mappa è un metodo usato in psicologia, soprattutto in PNL.

Quella mappa, quei filtri fanno passare una parte della realtà, non tutta.

Per essere consapevole ho bisogno di osservare, osservare, osservare, cercando di riconoscere tutto quello che io sto aggiungendo.

Le cose non sono esattamente così come sono. Più osservo le cose così come sono, più divento libero, esco dai meccanismi e mi risveglio.

Ed è solo nel qui ora che io posso risvegliarmi, solo nel qui ora posso capire il meccanismo.

Con la vipassana, e anche la meditazione per indaffarati, posso avere dei profondi inside, dei lampi in cui si realizzano alcune cose.

A proposito della compulsione per il cibo, una volta, meditando sul cibo e cioè mettendo attenzione a quello che stavo facendo, ho realizzato il perché fossi compulsivo.

Non sono compulsivo in effetti, ma quando ho il cibo davanti non ci sono per nessuno, mi butto sul cibo.

Un giorno ho notato questo strano comportamento: teoricamente lo sapevo già perché mi veniva detto.

Quando ho cominciato a osservare davvero ho notato la mia frenesia, quasi un’eccitazione.

Mi sono ricordato dell’eccitazione analoga che avevo da bambino, davanti alle patatine fritte: in quei momenti, se non ero veloce, rischiavo che mio fratello si mangiasse le mie.

Questo è un inside, una cosa banale, ma con questa ho realizzato quanto sono condizionato da schemi.

Mio fratello non è più accanto a me ma se ci fosse gli darei una pacca sulla mano e non prenderebbe più le mie patatine.

Eppure anche in sua assenza mi comporto come se lui ci fosse. Sono schiavo di un meccanismo che io stesso ho adottato.

Posso liberarmene ma non vuol dire che ora cambio atteggiamento con il cibo, perché in parte sono rimasto con gli stessi condizionamenti.

Certe volte si risolvono completamente perché non c’è più il motivo di essere condizionato ma altre volte rimangono, come nel mio caso rispetto alle patatine.

Essendone consapevole però posso metterci più attenzione.

Se voglio mangiare gustandomi di più il cibo, pur sapendo che tendo a non farlo, posso comunque farlo mettendoci più attenzione.

Posso decidere di non farlo ma ho una libertà in più perché posso decidere di farlo e non buttarmici e basta.

 

Un altro pezzo “rubato” al “come meditare coaching” clicca per saperne di più su come funziona: “come meditare coaching

se vuoi tornare a delle semplici istruzioni per fare la meditazione clicca su: come meditare

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