come meditare correttamente – equivoco 6:
meditare non è sforzarsi
Oggi parliamo di un altro equivoco che non ci permette di meditare correttamente: lo sforzo
Cos’è esattamente lo sforzo in meditazione: ci vuole o non ci vuole?
Buddha, non un dio, ti ricordo, ma un essere umano che veicolava la meditazione, parlava di “retto sforzo”;
secondo lui per raggiungere l’illuminazione, quella che lui chiamava “la fine della sofferenza”, esistono otto strade: tre di queste strade riguardano la meditazione e, una di queste, riguarda proprio il retto sforzo (non “lo sforzo”, bada bene, ma “il retto sforzo”).
Cerchiamo bene di capire: allora in meditazione dobbiamo sforzarci?
Se noi intendiamo come meditazione corretta una meditazione sforzata, siamo un pò fuori strada: per meditare dobbiamo essere tranquilli, sereni, e osservare con la giusta attenzione le cose così come sono;
si tratta di uno stato di assorbimento, non c’è uno sforzo eccessivo.
Tuttavia, se noi non mettiamo un minimo di attenzione, un minimo di richiamo alla presenza, rischiamo di “meditare come le galline”, come diceva un maestro di meditazione (una ex spia del governo americano):
“È inutile passare ore e ore a meditare” diceva “altrimenti anche le galline sarebbero illuminate”; cosa voleva dire con questo?
Che se io sto seduto a meditare, ma non mi richiamo alla presenza, non metto un minimo di intenzione (un minimo di sforzo, potremmo quindi dire) per riportare l’attenzione a quello che succede in me: io non sto meditando, sono solo appollaiato come una gallina.
Quindi il tipo di sforzo che viene richiesto è una giusta via di mezzo, una situazione di equilibro tra il richiamarsi alla presenza e l’essere presenti; nessuno sforzo eccessivo (niente sangue che pulsa nelle tempie per obbligarsi alla presenza!):
se ti accorgi che ti stai distraendo riporti, con molta dolcezza e molta tranquillità, la tua attenzione al respiro e lo fai, se necessario, infinite volte:
non deve però essere una cosa eccessiva perchè. altrimenti, l’impressione che ne potresti ricavare è che non riesci a meditare (cosa, tra l’altro impossibile, in quanto meditare è lo stare con quello che c’è).
Il pensiero di non riuscire a meditare fa emergere un senso di prestazione: “farlo bene” o “farlo male” richiama sempre l’idea di prestazione, quindi il concetto di “fare”, mentre in meditazione ci concentriamo invece sullo stato dell’essere e non sul fare qualcosa:
cerchiamo di essere presenti a noi stessi, presenti anche al fatto che ci sembra di non riuscire (e anche questo è un modo per essere presenti).
Nel prossimo articolo ti parlerò della “via di mezzo” e di come spesso le cose sono alla metà tra due eccessi, come nel caso dello sforzo.
ho la mia stanza che affaccia alla strada e ogni tanto si sentono macchine che passano, quando medito le devo sentire queste macchine?
quale parte del “stai con quello che c’è” non ti è chiaro, Carmine? Non faccio altro che ripeterti di stare con quello che c’è. Se ti danno fastidio nota il fastidio, forse questa video animazione ti può essere di aiuto: http://www.comemeditare.it/meditazione/tecniche-di-meditazione/risorse/la-meditazione-per-sviluppare-la-pace-il-video-sulla-pace-interiore-ed-esteriore/
ci sono cose che possono aiutare la consapevolezza? tipo la corsa la lettura sollevamento pesi o altro?
buona pasqua
Se non presti attenzione non cambia nulla, se presti attenzione qualsiasi attività che fai sviluppa consapevolezza. Non è l’attività in se ma la capacità, mentre la svolgi, di essere presente.