anatta: il concetto di “non sé”
Tratto dal corso di buddismo “Semplicemente buddismo”
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anatta: il non sé
Ok calma, sii paziente se non ti arriva tutto chiaro subito, è normale, questo è uno dei concetti più difficili da capire del buddismo e come vedrai non è neanche veramente da capire, quindi concettualizzarlo o no sarà un falso problema, comunque io te ne parlo con la chiarezza che normalmente mi contraddistingue e proveremo a renderlo il più comprensibile possibile: seguimi.
Se tutto è impermanente anche noi lo siamo, tuttavia la ricerca spirituale ai tempi del Buddha invitava a cercare un sé che fosse Supremo, immortale e puro.
La parola usata per descrivere questo sé è atman in sanscrito o atta in pali, che viene comunemente associata al concetto di Anima.
A differenza delle religioni a cui Buddha stesso aveva aderito precedentemente, qui prende una posizione differente.
Dopo tanto indagare Buddha è giunto alla conclusione che non esiste un concetto assoluto del sé perché, tutto ciò con cui siamo soliti identificarci, anche la coscienza -ovvero l’autocoscienza con cui tendiamo a dire “esisto”- cambia.
Quindi Buddha afferma che non esiste un sé assoluto ovvero un atta o atman e ancora una volta Buddha anziché affermare usa una negazione: per descrivere il “non sé” aggiunge la “a” che nega la parola successiva parla quindi di “anatta o anatman: il “non sé”..
Lo abbiamo detto e ci torneremo ancora: non ho la stessa coscienza di quando ero nato, nemmeno la stessa di quando ero adolescenze e se vogliamo essere precisi, magari alla sera ho una idea di me e del mondo diversa da quella che avevo la mattina.
Questo vuol dire che anche questo “sé” a cui facciamo riferimento non esiste in senso assoluto.
Questo senso del sé esiste -quindi esiste- in senso relativo e come funziona questo senso del sé ci sarà più chiaro quando parleremo dei cinque aggregati psicofisici, rimane il fatto che in senso assoluto non esiste.
Lo so non è facile “crederci” e se ti sfugge il concetto è proprio perché si fa fatica a credere che sia possibile che in fondo siamo simili ad un sogno e che non esistiamo “veramente”; non a caso un Buddha è uno che esce dal mondo del sonno e si risveglia alla Realtà Ultima delle cose.
Ma il bello è che non dobbiamo crederci per forza, né è fondamentale crederci, visto che Buddha ci invita ad indagare.
Non è molto utile capire solo concettualmente e per “fede cieca” che visto che ce lo ha detto Buddha sarà vero, piuttosto lo scopo è quello di indagare dentro di noi quanto tutto ciò corrisponda al vero o no.
Non si tratta di capire a livello cognitivo il concetto di non sé ma di accoglierlo come campo di indagine e trasformarlo in pratica:
Ad esempio comincia col corpo, puoi dire che questo senso del sé assoluto sia dentro il corpo? Se il corpo invecchia e muore l’Atma o Atta o Anima come fa a continuare ad esistere? Quindi non è nel corpo che lo trovi.
E dove allora nei pensieri? “Cogito ergo sum” “penso e quindi sono” diceva Cartesio ma se la mattina la penso in un modo e la sera in un altro.. Come è possibile che l’io assoluto sia nella mia mente?
Le sensazioni? Le emozioni? peggio mi sento.. mutano in continuazione.
Ma ripeto il campo di indagine è aperto ed hai tutta la vita per indagare, non c’è bisogno di crederci concettualmente.
A questo punto d’impulso si potrebbe credere che il buddismo sia pessimista o peggio nichilista (che non crede a nulla), ma non è affatto così. È innegabile che viviamo e che abbiamo un corpo ed è anche saggio vivere bene felici e prendercene cura: siamo in un mondo duale e relativo, dal momento che ci siamo, viviamocelo bene.
Il punto è che se vogliamo indagare chi siamo veramente e come funziona l’esistenza la questione merita un approfondimento, una profonda indagine per realizzare come stanno veramente le cose.
Non possiamo prendere per buona la prima definizione che ci viene data: ad esempio che siamo il corpo o al contrario -come faceva Siddharta prima che divenisse Buddha- a umiliare il corpo per fare emergere il sé.
Il monaco e studioso di buddismo Walpola Rahula ci dice:
Il buddhismo non è né pessimista né ottimista. Semmai, è realistico, perché ci vuole una visione realistica della vita e del mondo. Guarda oggettivamente le cose. Non ti culla falsamente nell’idea di vivere nel paradiso dei sognatori, né ti spaventa e ti tormenta con ogni sorta di paure e peccati immaginari. Ti dice esattamente e obiettivamente cosa sei e cosa è il mondo intorno a te, e ti mostra la via per la perfetta libertà, pace, tranquillità e felicità.
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Chiaro e molto esauriente.
grazie mi fa piacere sia stato chiaro