L’aspetto recettivo vs riflessivo in Vipassana

domanda:

“Sono interessato al rapporto tra aspetto recettivo e aspetto riflessivo delle meditazioni.

La Vipassana, mi pare di poter dire, che ha entrambi questi aspetti: la recettività negli stimoli che vengono dal corpo (caldo, freddo, pruriti, dolori); la riflessività, nella rappresentazione immaginativa dei particolari del corpo.”

guarda il video – l’aspetto recettivo vs riflessivo in vipassana

o continua a leggerne la trascrizione sotto:

Sì, più che immaginativa potremmo dire cognitiva, per essere più specifici (altrimenti con le parole potremmo non capirci).

Questa è la domanda che riassume un po’ tutte le varie domande che arrivano in merito alla Vipassana.

Dopo un po’ che uno pratica, ci si può accorgere che c’è una mente, una mente che cataloga e che riconosce le cose.

Questa è una nostra facoltà.

Noi cerchiamo di non dare troppo spazio alla mente compulsiva; però un conto è quando noi usiamo la mente, e un altro è quando siamo usati dalla mente.

Quindi è come se noi avessimo due menti: una mente che in realtà – come si dice in ambito buddhista – nel suo stato naturale è accogliente, limpida; e poi c’è questo chiacchiericcio mentale costante, che è la mente ordinaria.

Quando siamo nella mente ordinaria, noi siamo passivi, rispetto ai pensieri.

Quando siamo nella mente pura, accogliamo, e capiamo le cose così come sono.

Ripeto: è un dono, la mente; pensare, è un ottimo strumento.

Cito questa frase che mi piace ripetere spesso: i pensieri sono degli ottimi servitori, ma dei pessimi padroni.

Quindi usiamola la mente.

Notiamo anche come ci fa stare il pensare, quando autorizziamo la nostra mente a etichettare le cose quando le cose succedono.

Etichettare è interessante: noi siamo chiamati a farlo.

Buddha stesso, qualche volta, ci invita a riconoscere certi aspetti: differenziando l’una dall’altra cosa.

C’è una bella frase in cui dice che il praticante dovrebbe osservare – per esempio, il corpo – come farebbe uno che ha una busta, aperta sopra e sotto (sotto per far cadere i semi), e dovrebbe notare: questo è un seme di sesamo, questo è un chicco di riso, ecc.

Riconoscere, quindi.

Riconoscere è una facoltà della mente, e contribuisce alla creazione di una coscienza attingendo a idee preconcette.

Quindi, da un lato, noi li usiamo questi preconcetti; dall’altro, quelli che usiamo sono, appunto, preconcetti: esistono prima dell’adesso, e rischiano di viziarlo.

Quando noi stiamo con quello che c’è, e riconoscendo mettiamo un’etichetta, tendiamo a smettere di conoscere l’esperienza che c’è perché la stiamo riconducendo in un preconcetto di quella stessa cosa, che già esisteva.

Facciamo un esempio.

Sento un suono, e riconosco in questo suono l’abbaiare di un cane; e che è successo?

Che quel suono è già diventato un cane, e mi perdo la possibilità che quel suono sia un qualcosa di nuovo: perché io l’abbaiare del cane lo conosco già, l’ho sentito tante e tante volte; e lo catalogo via.

Perdendo il momento presente.

Buddha invitava a stare con le cose così come sono: “Lascia che nel sentire ci sia solo il sentire” rispondeva a che gli faceva una domanda sul come raggiungere l’illuminazione

Lascia che nel sentire ci sia solo il sentire; quando c’è il vedere, lascia che ci sia soltanto il vedere.

Quindi da una parte ci invita a mettere delle etichette, ma dall’altra ci mette in guardia dall’uso delle etichette.

E allora, cosa dobbiamo fare?

L’uno e l’altro, semplicemente.

Anche il pensare può essere osservato, come il vedere e come l’ascoltare.

E quindi anche l’etichettare può essere osservato e, paradossalmente, possiamo etichettare anche le etichette.

L’importante è rimanere sempre attivi, essere presenti: questo è quello che conta.

L’esperienza in sé è come una meravigliosa, caleidoscopica, televisione che ci offre una esperienza sempre nuova, momento per momento; e questo può avvenire se siamo pronti a cogliere sia il nostro etichettare, attingendo dal passato, dal vecchio, sia autorizzando questa esperienza a essere originale, nuova.

Quindi, cosa facciamo noi mentre meditiamo?

La prima cosa che facciamo è quella di focalizzare la nostra attenzione.

Quindi prendiamo la nostra capacità cognitiva – quella che crea le etichette e che fa tutta una serie di cose – e la mettiamo al servizio innanzitutto del respiro (o del corpo) perché ci aiuta a focalizzarci, e una volta focalizzati ci apriamo ad accogliere quello che c’è, tutto quello che accade.

Ogni tanto sorge un pensiero, ogni tanto un suono, ogni tanto una visione: qualsiasi cosa può essere accolta, compresa, e abbracciata.

Questo ci apre a una dimensione senza tempo, una dimensione di pace infinita.

scopri il corso di meditazione vipassana qui: www.comemeditare.it/vipassana

 

2 risposte

  1. Ciao Claudio, utilizzo questo post per porre l’attenzione su una questione che abbiamo trascurato nel nostro ultimo colloquio. Si parla infatti di etichettare e come ho letto in vari testi, in vipassana siamo “invitati” durante la pratica a porre un’etichetta agli eventi che attirano la nostra attenzione. Esempio: sorge un pensiero, etichetto come pensiero (io a volte etichetto come passato o futuro il contenuto), sento un suono (cane che abbaia) etichetto come suono.
    Mi sono accorto che alcune volte si tende o a ricercare per qualche istante in più l’etichetta corretta da dare all’evento, o ad ampliare la descrizione all’evento (il cane che abbaia non rimane suono ma diventa appunto un cane), o che a forza di dare etichette la mente si riempia.
    Il più delle volte quindi, personalmente tendo a non dare etichette in modo da non inquinare l’esperienza e vedere con maggior chiarezza. Tu cosa ne pensi? Grazie

    1. ciao Luca “etichettare” è una fase usata in mindfulness funzionale al riconoscimento di un fenomeno nella sua natura transitoria, va poi lasciato andare non va “cristallizato” dallo stesso etichettare.
      Comunque tu hai appena acquistato il corso avanzato di vipassana ( https://comemeditare.it/corsoavanzato/ ) in cui troverai una parte (dentro ai dhamma) in cui approfondisco le dinamiche relative all’idea di sè e come si colloca l’etichettare all’interno di esse, così ti sarà chiaro in cosa consiste la facoltà di “etichettare” e perchè, se rese “assolute” possono essere dinsunzionali anzichè funzionali.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *