Perché quando faccio meditazione mi viene l’ansia?

Ansia in meditazioneSembra un paradosso, no?

Uno medita per stare tranquillo e viene l’ansia.

Può capitare.

Diciamo anche che però è vero che la meditazione aiuta per la gestione dell’ansia, dello stress e quant’altro.

Il fatto è che la meditazione, se ben fatta, ci aiuta a stare con le cose che ci sono nel qui e ora, e se nel qui e ora c’è ansia, c’è un momento in cui la vedi: quest’ansia si sente autorizzata.

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E quindi, in qualche modo, si manifesta in tutta la sua imponenza; e, chi è ansioso, tende a preoccuparsi.

Chi è ansioso tende a cadere nel tranello di credere a ciò che gli dice la mente, e se la mente gli dice “Oddio cosa sta per succedermi adesso”, semplicemente perché qualcosa si sta manifestando, si è già spinto nel futuro senza che se ne sia reso conto.

L’ansia infatti – e chi mi segue da tempo, ormai me lo ha sentito dire molte volte – avviene perché c’è un pensiero circa il futuro.

la paura di ciò che ci può accadere (nel futuro)

Le paure hanno questa qualità: riguardano il futuro.

Possono riguardare il passato nella misura in cui abbiamo vissuto un’esperienza traumatica e temiamo che si possa ripetere, ma a questo punto è di nuovo futuro: temiamo che si possa ripetere.

Chi ha l’ansia – siccome l’ansia è una forma di paura che riguarda l’incertezza del domani – tende a volerla controllare anticipandola, ma, di fatto, si fa un grande danno.

Se io ho paura che domani possa capitarmi qualcosa di brutto, e comincio a familiarizzare con questo qualcosa di brutto (che però non c’è), oltre a potermela tirare (ma vabbè, questo sarebbe un altro discorso), io sto nell’ansia, vivo in quella situazione sgradevole; per scongiurarla, ma di fatto me la sto vivendo.

Sto creando quella realtà, che è solo immaginaria, ma sto vivendo comunque in quel disagio, come se fosse vero; e quindi mi sto facendo del male.

Chi ha ansia finisce per vivere una paura legata all’immaginazione, quindi non è una paura sana, legata per esempio al fatto che c’è un fuoco e devi scappare: è la legata a un tuo pensiero, e non puoi scappare da un pensiero.

Il pericolo non esiste in quel momento, lo stai anticipando, e quindi è un’astrazione.

Ma poi si arriva ad avere un ulteriore livello di astrazione, nella misura in cui comincio – non essendo l’ansia un qualcosa di piacevole – ad aver paura di averla.

E quindi finisco ad avere paura di… avere paura (e questo la dice lunga sul nostro stato di ansia).

E quindi che succede?

Ho ansia, mi metto a meditare, e la vedo, mi autorizzo a farlo.

Questo è quello che facciamo quando meditiamo: ci autorizziamo a stare con quello che c’è nel presente.

Questo produce calma.

Produce calma, nella misura in cui ci stiamo; ma la mente è subdola.

La mente è molto subdola (parliamo della mente grossolana, “la mente che mente”, quella che ci fa avere queste idee, quella che ci fa credere a questo mondo di fantasie; questa mente, è subdola).

E cosa fa?

Comincia a insinuare che questa cosa che stai facendo – osservare l’ansia – sia pericolosa.

Non è pericolosa, ma una parte di te teme che possa esserlo: hai paura che stia accadendo qualche cosa di strano e di incontrollato.

E quindi di fronte a quest’ansia, invece di starci (e standoci la depotenzi), cominci a pensare che stai facendo qualcosa di sbagliato e di dannoso; e l’ansia cresce.

Dietro c’è un pensiero (sottile) che ti ha dire: “Oddio che mi succede”, “Oddio questa cosa è strana”, “Oddio con me la meditazione non funziona”.

Pensieri di questo tipo, che non ti permettono di stare – di stare senza farti distrarre da tutta questa serie di pensieri – con l’ansia; perché se tu stai con l’ansia (l’ansia originale) e l’autorizzi a esserci, questa si depotenzia.

Non dico che va via subito (potrebbe anche succedere, ma non è detto), ma il più delle volte si depotenzia.

Perché?

Perché una parte di te la sta autorizzando, la guarda per quella che è, senza aggiungere altra sofferenza.

Non aggiungere altra sofferenza e la seconda freccia

Per altro “non aggiungere altra sofferenza” è il titolo di un libro del mio maestro: Non aggiungere altra sofferenza di Thanavaro.

Questo titolo si rifà a una storia del Buddha, in cui si dice che, nella vita, abbiamo tutti alti e bassi, e i bassi non sono certo piacevoli: siamo tutti soggetti ad ammalarci, invecchiare e morire; è inevitabile.

E questi mali inevitabili vanno a costituire la “prima freccia”: i fatti dolorosi della nostra vita.

E questo dolore, questa “freccia”, abbiamo gli strumenti per armarci e attraversarlo.

Il vero problema però, non è nella prima freccia, ma nella seconda.

Perché noi spesso, in corrispondenza di questa prima freccia, ce ne attacchiamo una seconda che ci autoinfliggiamo, e che nasce dal fatto che noi con la prima freccia ci facciamo a braccio di ferro, perché non la vogliamo, e cerchiamo di cacciare via un’esperienza che, di per sé, potrebbe essere comunque attraversata.

Un esempio che faccio spesso, e che qui cito velocemente, è quello dell’esame: che quando sono sotto esame sto relativamente tranquillo – nel momento esatto in cui sto rispondendo non c’è ansia – ma, quando invece prima pensavo di dover dare l’esame, l’ansia c’era.

Poi, certo, l’ansia risorge quando termino di rispondere a una domanda e sto aspettando quella successiva; però sono tutte anticipazioni del futuro: nel momento in cui io mi sto occupando del problema, questo cessa di essere un problema, perché sto attuando una soluzione (e se poi il problema non ha una soluzione, non c’è comunque motivo di preoccuparsi).

La meditazione ci aiuta a ritrovare spazi di presenza che ci permettono di occuparci di quello che c’è.

C’è un momento in cui questa cosa, che c’è, si manifesta in tutta la sua chiarezza (e certe volte può anche spaventare), ma se io accetto le conseguenze di questa chiarezza (l’ulteriore spavento) senza credere a tutto ciò che la mia mente mi dice, ma rimanendo anche a osservarne tutti i meccanismi di reazione, ecco che inevitabilmente l’ansia cala.

Ed ecco perché alcuni, soprattutto quelli che hanno ansia, meditando possono avere un’esperienza in cui l’ansia cresce; ma è un’esperienza che poi dopo, a lungo andare, cessa o comunque si depotenzia.

Quindi il mio invito è quello – al di là delle spiegazioni – di continuare a meditare con fiducia, e semmai a “sgamare” tutto quello che ti dici; ma che non lo vedi che te lo stai dicendo, perché finisci per crederci – che a te la meditazione non fa bene, che a te l’ansia sale – e non vedi tutti i timori e tutto quelli che ti stai dicendo.

Spero di aver reso giustizia all’episodio, senza negarlo, perché noi nella meditazione non neghiamo niente.

Non mi piace chi dice che non ci può essere meditazione con l’ansia o che non è possibile che meditando l’ansia cresca: non è vero, conosco diverse persone che mi hanno detto che hanno avuto esperienze di questo tipo.

Normalmente sono persone alle prime armi, che prima non hanno mai meditato tanto e che si sono spaventate subito, ma a lungo andare, poi, tutti hanno dei grandi benefici se continuano a meditare.

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