Buddismo: il concetto di Dio
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In molti dicono che il buddismo si abbina bene con qualsiasi altra religione (persino per gli atei o gli agnostici o chi ha fede nella scienza) perchè è più una filosofia di vita che ben si sposa con altre religioni di base. Non è in contraddizione con il comandamento “non avrai altro Dio al di fuori di me” perchè nel buddismo non c’è un Dio.
Buddha non è un dio, era un essere vivente; anzi la parola buddha significa “il risvegliato”: è una qualità, che è insita negli esseri viventi.
Quindi anche in te, in me e in chiunque: questa natura da buddha è in ciascuno di noi.
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Tant’è che non è nemmeno un qualcosa che devi conquistare, è già dentro di te.
Infatti si parla di risveglio, ma risveglio di che cosa?
Di qualcosa che è il vero te.
È come se noi fossimo addormentati ma il nostro vero sé è lì, è presente, non c’è bisogno di andarcene in giro a cercarlo, o che ce lo dobbiamo costruire, come invece siamo soliti fare.
È già presente: si tratta di risvegliarci a quella che è la nostra vera natura.
E questa qualità non ce l’ha solo Buddha, potenzialmente ce l’abbiamo tutti, e poi ci sono tantissimi illuminati: del passato, del presente e del futuro.
Con Buddha noi intendiamo Siddharta Gotama, vissuto quasi 2600 anni fa, ma in realtà la parola buddha può essere attribuita a tantissime persone.
Quindi non c’è un Dio: Buddha non è un dio, e nel buddismo di dio non ce n’è.
Perché non c’è un Dio?
Ricordo che anche la nostra filosofia medievale, per secoli e secoli, ha cercato di definire Dio a parole: diciamo che non è una cosa facile.
Di certo Dio non è un essere antropomorfo: non è uno con la barba bianca, quello può essere un simbolo, piuttosto.
Dio è qualcosa di ben diverso.
Però è talmente complicato parlarne che Buddha, semplicemente, quando gli chiedevano delle cose troppo astratte, diceva: “Ma scusa: c’hai la sofferenza? Immagina di essere uno a cui hanno tirato una freccia addosso, e tu sei lì, a chiederti chi è che te l’aveva tirata: se aveva la divisa della tua fazione, oppure se aveva un’altra divisa, di che colore era la divisa, che tipo di arco ha usato… oppure ti togli la freccia perché fa male? Togliti la freccia: tutto il resto è inutile.”
Buddha cercava di essere molto pragmatico, e cercare la definizione di Dio non era utile in questo senso.
È strano, per noi che siamo abituati a identificare la religione con un dio, che possa esistere una religione “atea” (atea significa proprio “senza dio”).
Eppure è così.
Il buddismo è una religione molto pragmatica, in cui si dice: “Fai esperienza”, “Verifica per te”, “Conosci”, “Realizza”.
“Non dualismo” e “Legge delle cose come sono (Dharma)”
Poi c’è questo concetto, di cui parlavo prima, che è la legge ultima delle cose – il dharma o dhamma – che alcuni, filosoficamente e con un certo sforzo retorico, dicono che in qualche modo è un concetto che potrebbe rassomigliare ad alcune visioni di Dio; ma diciamo che, onestamente, sono proprio due approcci completamente diversi alla religione.
Quindi, semplicemente, nel buddismo non c’è un Dio.
Non ne nega l’esistenza, ma non gli si dà importanza; piuttosto viene fatto vedere come tutto sia nella nostra mente, e come è utile essere un tutt’uno (si parla più correttamente di “non dualismo” la parola “uno” già suggerisce il “due”): ricordarci che siamo un tutt’uno, e che non c’è distinzione tra te e gli altri.
Amore e compassione
Tutte le religioni insistono sul fare del bene agli altri, e in questo il buddismo non è differente dal cattolicesimo, dal cristianesimo in generale o da tutte le altre religioni: fare del bene, amare il prossimo tuo come te stesso; sono cose comuni a tutte le religioni.
L’amore, la compassione, la gentilezza: sono chiavi fondamentali nel buddismo; e, come vedi, lo sono anche nelle altre religioni.
Quindi sì, è vero, nel buddismo non c’è un Dio, ma è comunque una religione.
È una religione molto pragmatica; c’è molta filosofia, e di psicologia ancora di più.
È l’approccio che può renderlo filosofico, ma è tutto finalizzato alla messa in pratica, e in tutto questo la meditazione è fondamentale: per esperire in prima persona; per sfrondare tutto quel mondo di idee, di preconcetti, di fissazioni, di meccanismi automatici, di cui cadiamo vittima quando siamo in preda alle emozioni o al susseguirsi di pensieri incontrollati.
Cessazione (nirvana) della visione che ci seprara e ci fa soffrire
Riuscire a fermare tutto questo richiede un allenamento, e la meditazione è un allenamento che ci permette di interrompere tutto questo ciclo, che ci separa dall’uno e da una visione unitaria.
Stranamente in tutte le religioni, e quindi anche nel buddismo, si parla della tendenza “demoniaca”: ovvero la tendenza alla frammentazione, al sentirci separati, segmentati.
Quando noi siamo persi nei nostri pensieri, siamo separati: separati da noi stessi; noi siamo in linea, non ci sentiamo allineati.
E il demonio, per definizione, è colui che ci separa.
In tutte le religioni c’è questo aspetto della separazione, ed è un elemento con cui è utile avere a che fare (al di là dei vari simbolismi o di “quello che con le corna e il forcone”) che ci permette di vedere quanto effettivamente certe volte ci sentiamo separati.
Nel buddismo, per esempio, si parla di una realtà che non è duale e di una visione duale delle cose; che cosa vuol dire?
Vuol dire che, se io mi sento separato, mi sento sempre mancante di qualche cosa.
Se io mi identifico con un corpo che ha bisogno di mangiare e che è circondato dalla pelle, tutto ciò che è fuori dalla mia pelle non sono io: quindi ho fame e devo alimentarmi, devo procurarmi cose e accumulare; mi sento separato e mi manca sempre qualcosa, insomma.
E non ne avrò mai abbastanza.
Questo è il problema del dualismo e del sentirsi separati: accumulo, accumulo; perché non si sa mai e non ce n’è mai abbastanza.
Ma non sono mai felice.
Non è che accumulare sempre più roba mi rende felice, posso soddisfarmi un attimo, ma non è quella la via.
Non è l’accumulare.
Bisogna capire alla radice cosa ci fa attaccare così tanto al cibo, al denaro, al successo, alla carriera o ad altre cose.
Anche Buddha, come avviene anche nelle altre religioni, punta il dito per indicare la luna; ma invita anche a mettere in pratica, è molto pragmatico.
Quindi non si perde in definizioni che potrebbero risultare troppo teoretiche e difficili da comprendere, ma indica una via che è molto pratica.
C’era un’altra cosa che diceva Buddha.
Restiamo pratici: focalizziamoci in ciò che ci aiuta a uscire dalla sofferenza
Un giorno stava ai margini della foresta con i suoi monaci, in una radura, teneva in mano un pugno di foglie che aveva raccolto da terra e diceva: “O Monaci, ci sono più foglie dietro di me, nella foresta, o nel mio pugno?”
I suoi monaci, giustamente, gli dicono: “Beh, maestro, ce ne sono molte di più dietro di te”.
E Buddha risponde: “Ecco. Analogamente, le cose che io conosco sono molte, come le foglie della foresta, ma quello che sono utili sono queste. E io quindi insisto nel proporvi queste cose”.
Quindi, ribadisco, nel buddismo non c’è un Dio: perché la definizione di Dio è complessa.
Ciò che è utile conta, e ciò che conta è riconoscere che siamo nella sofferenza; che ciascuno di noi ha le sue ferite, e lavorare su quelle.
Cercare di trovare un modo per far sì che tutto questo attaccamento, questa brama e questa ignoranza, che ci allontanano dalla realtà ultima delle cose, cadano, e cessino di continuare a tormentarci; e che noi possiamo continuare ad aderire alla realtà ultima delle cose.
Talvolta, spostarsi nella posizione dell’osservatore ci aiuta.
Ci aiuta a non identificarci con quell’essere separato che cerca di accumulare, di attaccarsi alle cose; e che ha tanto bisogno di non sentirsi solo.
Realizzare in prima persona quanto sia un tutt’uno e quanto tutto sia meraviglioso è un qualcosa che va fatto, non basta solo dirlo, ovviamente.
E questo è il l’invito.
avevo inviato un commento..Dicevo che conoscere l’aspetto storico delle religioni buddista e giudaico-cristiano è importante per comprenderne il senso e aggiungo che conoscere è importante anche per meditare.Dicevo che secondo me Nirvana e Dio(nell’accezione di Absolutus ossia privo di legami)sono concetti simili poichè anche il primo indica,con l’ estinzione dalla sofferenza,la totale libertà da ogni tipo di legame(brama,possessività ecc.Ciò non significa che i due concetti sono la stessa cosa ma presentano una qualche forma di somiglianza.Aggiungo inoltre che il Budda dopo che entrò nel Nobile silenzio non rispose,secondo la tradizione,e ovviamente con cognizione di causa,a qualsiasi tipo di domanda metafisica tra le quali l’esistenza o la non esistenza di Dio.Questo lo dico perchè mi risulta..si può meditare sia se si crede in Dio o no..come affermano i maestri..l’approccio laico implica libertà di pensiero.
grazie ancora
Grazie..la parabola della freccia ci ricorda di focalizzarci sulle cose essenziali.Credo sia importante riconoscere le differenze sociali e storiche in cui si è manifestato sia il pensiero del Dio monoteista riconosciuto dal Gesù ebraico-cristiano e al quale si deve devozione, sia l’approccio filosofico-etico alla verità del Budda risalente a sua volta dall’ antica tradizione meditativa indiana.Il Budda escluse la possibilità di raggiungere,l’ Atman(l’equivalente di Dio) con sforzi ascetici dando importanza allo spirito quanto al corpo superando la schizofrenia inerente ad ogni tipo pratica ascetica estrema(la via mediana da lui indicata).Il Nirvana buddista indica l’estinzione dalla sofferenza e la libertà da ogni inpedimento così come Dio(nell’accezione di Absolutus) significa libero-da-qualsiasi vincolo..
grazie a te della bella riflessione