Come Meditare Correttamente
errore 9: IDENTIFICAZIONE COL PENSIERO

non accorgersi dei pensieri Oggi parliamo ancora di pensiero, ma ne parliamo con un’angolatura un pò diversa: parliamo di cosa succede se ci identifichiamo col pensiero.

In altri articoli (clicca qui per vederli tutti) ti ho detto che quando ci accorgiamo che pensiamo è una cosa positiva.

Paradossalmente, medito e mi accorgo di mille pensieri, mi sono ridestato mille volte accorgendomi che stavo pensando, l’impressione è quindi di non essere riuscito a meditare, ma il fatto di essersi accorto di stare pensando è comunque una cosa positiva!

Che cosa succede invece quando non te ne rendi conto?

Quando non te ne rendi conto vuol dire che c’è una identificazione col pensiero.

Se il pensiero è negativo, e di conseguenza suscita sensazioni negative, è più facile accorgersene perchè c’è l’identificazione con quello che Eckhart Tolle chiamerebbe “il  corpo del dolore”:

ti accorgi di avere una sensazione di disagio, e da questo disagio ti accorgi che c’è qualcosa che non va; e questo e già positivo, se ti accorgi che qualcosa non va puoi spostare la tua attenzione e chiederti: “Ma allora che cosa sto pensando?”.

Se invece, e qui entriamo più nel dettaglio, la sensazione è piacevole e il pensiero è attraente, ecco che tu stavi meditando, e alla fine hai magari avuto pure l’impressione di aver meditato molto bene, ma in realtà eri in balia di pensieri di cui non ti sei accorto.

A me è successo qualcosa del genere quando una volta, da allievo, avevo deciso di fare un corso di Mindfulness: avevo tanto sentito parlare della Mindfulness e volevo vedere le differenze con la Vipassana che praticavo già da tanti anni (per scoprire poi che deriva dalla Vipassana e che quindi ne ero già molto esperto).

Mentre ero immerso in mezzo a tanti psicologi e counselor (io stesso ho una formazione da counselor, ed era uno dei motivo per cui ero lì), dopo aver fatto una breve sessione di otto minuti, io mi ero accorto di aver pensato moltissimo; durante il giro per raccogliere le impressioni dei partecipanti mentre tutti dicevano cose come:

“Bellissimo” “Ero tranquillissimo” “Io questo e io quello”, io invece ero l’unico a dire: “Ragazzi scusate ma io sono un esperto e, nonostante questo, stavo pensando tantissimo”; e, in effetti, l’insegnante mi fece notare che era proprio quello il motivo: il fatto che io fossi più allenato degli altri a riconoscere i pensieri, faceva si che io li notassi più degli altri mentre emergevano”.

Vedi che prospettiva diversa ti sto dando rispetto ai pensieri?

Torniamo ora un attimo indietro e approfondiamo quello che ti ho accennato prima, cioè il fatto di identificarsi con il pensiero.

Questa, come ti dicevo, è una cosa che facciamo spessissimo e, se c’è un disagio, ce ne accorgiamo più facilmente.

Mi figlio, che ha otto anni, se pensa che nella stanza c’è un mostro ha paura, una paura vera nel pieno senso della parola: per lui il mostro esiste realmente; noi adulti questa identificazione col pensiero riusciamo a vederla bene ed è lampante la gratuità di quella sofferenza, perchè sappiamo che si tratta solo di un pensiero; lui però non sa che si tratta solo di un pensiero, pensa che sia tutto vero.

Analogamente anche noi abbiamo i nostri mostri, i nostri scheletri.

O comunque ci sentiamo inadeguati, in quanto abbiamo i nostri pensieri giudicanti su noi stessi: vorremmo raggiungere un certo standard, essere in un certo modo, non ci accettiamo per quel che siamo e i nostri sentimenti di inadeguatezza pervadono la nostra vita quotidiana: ci crediamo proprio come mio figlio crede ai mostri nella stanza.

Quando crediamo a questo pensiero e ci identifichiamo con esso proviamo un grande disagio, e non solo: produciamo pure delle azioni inadeguate, perchè ci crediamo poco, in un contesto in cui quello che otterremo saranno proprio risultati inadeguati:

se le nostre azioni sono inadeguate e prodotte in un clima di inadeguatezza, ecco che i risultati saranno anch’essi inadeguati e confermeranno quello che era il nostro pensiero, potenziandolo e avvitandolo in un loop negativo.

Noi stiamo spesso con questi mostri nell’armadio, spessissimo ci identifichiamo; quindi riuscire a capire che sono solo pensieri e vederli, non dico che basti a farci uscire subito matematicamente dal loop (cosa che comunque è possibile) ma, il solo fatto di non identificarmi e sapere che è solo un pensiero, che non sono io ma solo un mio modo di vedermi, già crea quello spazio che mi permette di ritrovare l’adesso e, nell’adesso, mi consente di aprirmi a un campo di infinite possibilità.

Ecco quindi cosa ci succede se ci identifichiamo col pensiero, ma anche le potenzialità che ci si dischiudono quando lo riconosciamo per quello che è.

 

//youtu.be/ed65INhRHQY

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