Qual è l’essenza della vipassana?

Ho ricevuto una domanda che mi è particolarmente piaciuta in cui, mi si chiede di voler conoscere l’essenza della vipassana.

Qual è l’essenza della vipassana?

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La vipassana è anche la tradizione Theravada buddhista (che è la tradizione culturale che maggiormente la promuove) ha una enfasi sul lasciare andare. Ed è un po’ la chiave di volta di tutta la pratica meditativa.

Il concetto di “lasciare andare”

essenza vipassanaPerò, questo lasciare andare ha bisogno di non essere confuso con il cacciare via. Non c’è nulla da cacciare; c’è il testimoniare un evento in presenza e lasciare che questo evento vada via di suo.

Se ci sono un proliferare di pensieri dopo un po’ che meditate, vi accorgerete che, in effetti, spesso il solo fatto di mettersi seduto a meditare alleggerisce un po’ questo chiacchiericcio mentale.

Poi, per carità, più si va avanti con la pratica meditativa, più si è sensibili a riconoscere i pensieri. Quindi, un po’ la percezione potrebbe essere quella di continuare sempre a pensare, ma è una percezione, non è detto che pensi veramente di più: te accorgi di più, piuttosto.

Fatto sta che il nostro scopo non è quello di non pensare; il nostro scopo è quello di essere presenti, di essere testimoni.

Ecco, di non essere trascinati via da questi pensieri, ma di poterli testimoniare, di poterli riconoscere come tali e lasciare che facciano il loro corso.

L’arte di testimoniare i pensieri

Lasciare andare significa proprio questo: lasciare che le cose scorrano via. Del resto, una delle prime cose che facciamo quando ci mettiamo in vipassana non è tanto la vipassana, ma è la meditazione samatha.

Quindi, ci mettiamo a fare la meditazione vipassana, m la prima cosa che facciamo prima di entrare nello stato meditativo di vipassana, del Lasciare Andare, è focalizzarci. Samata significa letteralmente concentrazione, e ci concentriamo sul respiro.

E che cosa succede quando osserviamo questo respiro? Notiamo che il respiro, in ogni sua fase, è impermanente.

Cosa vuol dire che è impermanente? Vuol dire che ha un inizio (l’inspirazione, per esempio, prendiamo l’inspirazione come esempio, ma vale anche per l’ispirazione).

Questa inspirazione ha un inizio, un suo crescendo, quindi un’evoluzione, e una fine; poi c’è una breve pausa quasi impercettibile, poi c’è l’inizio, lo sviluppo e la fine dell’espirazione. Di nuovo, una piccola pausa.

Osservando l’impermanenza nel ciclo del respiro

Meditando, quindi, già senza ancora neanche essere entrati in uno stato di profonda consapevolezza, che è tipico della vipassana, già soltanto l’esserci messi lì a osservare il respiro ci permette di notare che tutto viene e va, che tutto ha un inizio, uno sviluppo e una fine, che quindi tutto è impermanente.

Quando realizziamo, senza neanche bisogno di concettualizzare più di tanto, però lo realizziamo da un punto di vista empirico, da un punto di vista esperienziale, che tutto viene e va, non c’è più bisogno di trattenere, quindi fare braccio di ferro è un modo per trattenere le cose, anche quando vogliamo cacciarle via.

Non c’è bisogno né di trattenere né di cacciare via, ma in uno stato di presenza, che è uno stato anche di quiete, è quello di permettere di osservare che tutti i fenomeni hanno un loro inizio, uno sviluppo e una loro fine; quindi, che ogni fenomeno è impermanente.

Per non cadere nell’equivoco di confondere il lasciare andare con il cacciare via, c’è una caratteristica che fa davvero la differenza tra cacciare via e lasciare andare.

Questa caratteristica è permettere al fenomeno di esserci.

Se io voglio cacciare via il fenomeno, non lo posso consapevolizzare; mi affretto a volerlo eliminare. L’esempio che faccio sovente è quello di andare dal medico con un problema, quindi con un sintomo.

Il paragone con la visita medica

Uno espone il sintomo al medico, e il medico prescrive degli esami. Non si affretta a dare una soluzione, non si affretta a passare alla fase della cura, perché, per poter dare la cura giusta, il medico ha bisogno di sapere con certezza qual è il problema.

E per permettere di conoscere il problema, dobbiamo aprire gli occhi allo stato delle cose; dobbiamo aprire gli occhi, nell’esempio del medico, alla malattia.

è utile capire qual è la natura del problema, e per fare questo, in meditazione, noi necessariamente dobbiamo aprire gli occhi a quello che c’è.

Quindi, dobbiamo permettere a questa cosa che c’è, non di essere cacciata via, ma di essere vista, di essere consapevolizzata.

Non posso essere consapevole di quello che giudico o di quello che caccio via. Per essere consapevole, devo lasciare essere e lasciare andare ogni spinta a cacciare o a trattenere: lasciare innanzitutto ogni interferenza dell’ego.

Ecco, quindi, che il processo, l’essenza della vipassana, da lasciare andare, se uno vuole essere un pochino più preciso, diventa:

Lascia che sia;

Lascia che sia, conosci;

Lascia che sia, conosci, realizza, e Lascia andare.

Lascia-AndareIl primo passo è Lascia che sia: permetti al fenomeno di esserci, di manifestarsi così com’è; e Lascia andare ovviamente, in presenza, questa presenza permette di aggiungere a questo processo Lascia che sia, che è l’inizio, e Lascia andare, che ne è la conclusione.

Un altro step intermedio che anche questo avviene in modo spontaneo. Non è che c’è bisogno di pensarci tanto. Quando io sono rimasto “aperto” con gli occhi aperti, quindi attento all’esperienza che sto vivendo, al fenomeno che sto attraversando, ecco che lo conosco.

E quindi, Lascia che sia conosci. E lo abbiamo detto, realizza e Lascia andare. Conoscere non significa automaticamente realizzare. Io conosco se rimango con gli occhi aperti. Realizzo quando, a forza di stare con gli occhi aperti, riconosco la natura profonda di quel fenomeno.

Libertà dal conosciuto: L’importanza di Realizzare

Immaginiamo che qualcuno mi porti un frutto esotico. Non l’ho mai assaggiato, non so neanche cosa sia se non mi soffermo a studiarlo, a conoscerlo. Può, come dire, marcire nel piatto della fruttiera.

Il fatto invece di aprire gli occhi, di esaminarlo, di guardarlo mi permette di conoscerlo. Ma a un certo punto, per realizzarlo, io ho bisogno di non di conoscerlo solo a livello intellettuale, ma di assaporarlo, cioè di farne esperienza piena, di entrare in pieno contatto con l’essenza di quel fenomeno.

Un altro esempio, meno tangibile, ma che rende l’idea. Su cosa significa realizzare me lo fornisce una cosa che mi viene detta spessissimo da chi pratica la meditazione da poco tempo ma che ne ha fatta già un pochino di esperienza, che è: “Claudio, ma lo sai che da quando medito, gli alberi sono verdi? Sono più verdi!” Gli alberi sono sempre stati verdi, no?

Anche questo è un esempio che faccio spesso. Se mi viene detta una cosa del genere, io la capisco e penso che la possa capire anche tu che mi ascolti, cioè il fatto che mi venga detto che l’albero è più verde vuol dire che sono più presenti a quell’esperienza, al punto che quell’albero viene realizzato nella sua essenza, è parte integrante del suo esperire, quindi della sua vita.

Mentre spesso noi attraversiamo la natura, attraversiamo gli alberi, attraversiamo la vita distratti, e quindi quegli alberi sì, sono verdi, ma sono i verdi scontati, sono scontati, non vengono realizzati a pieno.

Ecco che l’essenza della vipassana quindi, che poteva essere espressa soltanto con lasciare andare, può in questo lasciare andare riassumersi in un percorso che va da “lascia che sia”, conosci, realizza, e lascia andare.

Flurire con L’Universo: Scopri l’azione senza “azione”

Detto questo, c’è ancora un piccolo approfondimento che mi sento di voler fare sulla parola, sulle parole “lasciare andare”. Lasciare andare, quando parlo di lasciare andare, proprio perché non si intende un cacciare via, non è una vera e propria azione, è un’azione spontanea.

I cinesi chiamano questa “non azione”  “Wu wei” (无为 in caratteri cinesi semplificati, 無為 in caratteri tradizionali).

Cioè è un derivato spontaneo della consapevolezza. Anche qui c’è un esempio tipico di una persona.

Noi, quando siamo talmente abituati a soffrire, che quasi ci identifichiamo con questa sofferenza, tendiamo a reiterare un comportamento che magari in passato ha funzionato per altre cose, ma che continua a produrre sofferenza, ansia, stress, quella che Buddha spesso chiama la seconda freccia, cioè una sofferenza aggiunta al dolore iniziale, cioè una freccia iniziale io ci metto il carico da 11, una seconda freccia perché rifiuto quel dolore iniziale, al punto che anche facendoci braccio di ferro, come dicevo prima, e io tendo ad alimentare quello stato disfunzionale, è come avere in mano nel pugno della mano stretta dei carboni ardenti.

Io spesso tendo a identificarmi con questo dolore, con questo corpo di dolore, come lo chiamerebbe Eckhart Tolle, e io stesso ho avuto molte occasioni di accorgermi come mi sento identificato con questa stessa vita, questo stesso ego che ha questa forma e che risponde al nome di Claudio. Lo identifico con una forma di dolore, e faccio fatica a lasciare andare quel dolore, anche se lo riconosco come disfunzionale.

Io quasi ho paura che se sparisce quel dolore, sparisce anche Claudio, e non avrei torto, perché sparirebbe quell’aspetto meschino di quel Claudio che si sente tanto addolorato, che si può lamentare, quel paperino buffo che invece la posizione del meditante mi permette di osservare come tale, come uno buffo.

drop-it-wua-wei-lasciare-andareMa se tu mi dici buffo, se tu dici a Claudio buffo, quel Claudio si offende. Eh, perché è pure permaloso, ne ha tanti difetti quel Claudio lì, perché è egoico, perché  avendo un corpo, in qualche modo dobbiamo difenderlo, e quindi nasce l’ego, nasce il rifiuto, nasce la brama, e nasce anche il mettere la testa sotto la sabbia, nascono un po’ i vizi mentali.

È naturale, è fisiologico, però alimentare questo stato non aiuta, mentre l’essenza della vipassana è di profonda consapevolezza e liberazione. Riconosciamo anche le varie dinamiche, e non abbiamo neanche bisogno di cacciarle via, perché il solo fatto di riconoscerle ci permette, appunto, di lasciarle andare. Non c’è uno sforzo, ripeto, tornando all’esempio dei carboni ardenti, io trattengo questa sofferenza quasi ad aver paura, oppure la voglio cacciare via con energie, ma quella rimbalza, e più ci metto energia, e più questo carbone ardente brucia.

Ma quando io ho il coraggio di guardare e consapevolizzare, lo devo fare senza cacciare via, e senza mettere la testa sotto la sabbia, anche perché quando caccio via, quando giudico un’esperienza negativa e non la voglio vedere, io continuo a non vederla. Ma quella continua ad agire, quindi quel carbone ardente dentro la mia mano continua a far male.

Il Coraggio di Accogliere: Drop It e Lasciarlo Gocciolare Via

Faccio finta di niente, ma c’è solo quando io apro gli occhi all’esperienza, per quella che è e vedo che nella mano c’è un carbone ardente, quello che succede è che questo carbone ardente, una volta consapevolizzato, cade da solo, così come i pensieri si fanno piccoli piccoli quando li osservo e tendono ad andarsene da soli. O anche se rimangono, non sono più un problema, nella misura in cui ne sono testimone e non ne sono trascinato via.

Analogamente, questo carbone ardente, una volta consapevolizzato, cade da solo, lasciare andare, spesso per gli anglofoni viene tradotto con “drop it”, “drop it” è la goccia, o il verbo del gocciolare, “drop it” significa lascialo gocciolare via, potremmo tradurlo così.

E quindi lascia andare, e come vedi, non è un’azione, questo lasciare andare, non è un cacciare via, è semplicemente lasciare che l’esperienza faccia il suo corso e goccioli via di suo, così come il carbone ardente di suo, una volta consapevolizzato la sua presenza, la sua funzione e la sua disfunzione, a quel punto non ha più bisogno di essere ancora lì: Abbiamo capito la lezione, e quindi questa lezione non ha più bisogno di tornare.

Ecco l’essenza della vipassana è quella di permetterci di fare tesoro delle esperienze, siamo sulla terra per fare delle esperienze, queste esperienze ci insegnano qualcosa.

La Saggezza del Lasciare Andare: Il Cuore della Vipassana

Quando non capiamo la lezione, si ripropongono. E essere presenti a noi stessi, a occhi aperti, ci aiuta a fare più tesoro della lezione e fare in modo che l’esperienza, magari, non si ripropone esattamente come prima, magari non si ripropone neanche più, nel momento in cui ne abbiamo veramente realizzato l’essenza.

Ricordo che realizzare, non a caso, è uno dei passaggi: lascia che sia, conosci, realizza e lascia andare.

Spero di aver offerto un punto di vista utile alla pratica meditativa, di stimolo per cercare di quadrare al meglio l’essenza della vipassana e capire anche perché è così importante lasciare che sia, conoscere, realizzare e soprattutto lasciare andare.

Lasciare andare diventa un atto di libertà interiore, aprendo la porta a una vita vissuta con consapevolezza e discernimento.

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