Felicità: come trovarla e coltivarla
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La felicità quando la si trova, è possibile trovarla nel qui e ora.
Quando noi focalizziamo la nostra attenzione nel qui e ora, per esempio mediante il respiro, ecco che la nostra mente smette di aggiungere altra sofferenza, la cosiddetta “seconda freccia”.
Il focus quindi è su “quello che c’è”.
E quando stiamo con quello che c’è, il cuore si rasserena ed è in pace.
Quando si rasserena accade spesso, anche se non è automatico, che si trovi la libertà per trovare la felicità.
Una forma di felicità imperturbata che puoi trovare persino in un contesto doloroso: senza negare il contesto doloroso, tuttavia, il cuore è in pace.
E trovi quindi una vera felicità, una felicità incondizionata che non dipende dagli eventi che stai vivendo; puoi anche vivere un evento negativo, ma c’è un “centro di gravità permanente” dentro di te che non ti fa perdere quella felicità, che rimane attiva persino quando stai attraversando un momento di dolore.
I santi, i Buddha, gli illuminati: tutti coloro che hanno conosciuto la felicità, con quel suo profondo stato di apertura del cuore, hanno conosciuto la morte e la sofferenza.
È impensabile che qualcosa come la felicità debba essere legata a fattori come l’immortalità o all’essere sempre nella gioia.
La gioia è passeggera, se è un’emozione primaria come lo sono la tristezza, la rabbia o la paura.
Sono elementi che ci ritroviamo in dote assieme a un corpo, sono imprescindibili: dovremo morire, dovremo invecchiare, ci emozioniamo.
Ma se troviamo quel centro di gravità, quella felicità, quello stato rimane: nonostante le malattie, la morte e tutto il resto.
Quindi l’invito è a trovarla.
Perché puoi vivere le varie fase di una vita, come la morte e la malattia, con gioia nel cuore.
E poi, tra l’altro, la gioia allunga la vita e le malattie le allontana; e mi piace pensare che ti permette di morire, anche se non proprio quando vuoi tu, ma comunque se sei sereno, sei sereno anche nell’affrontare il tuo viaggio nell’aldilà.
Anzi si dice che la paura non aiuta i morenti (però questo è un altro discorso).
E allora, come fare?
È possibile aumentare questa felicità?
Sì, lavorando parallelamente al coltivare la felicità.
Quella che io ritengo la strada principale è quella della alchimia inferior, cioè della trasformazione delle emozioni inferiori in emozioni superiori – dal piombo all’oro – perché, come diceva Buddha, esiste una prima nobile verità, esiste la sofferenza, ed è quella la materia prima con cui abbiamo a che fare.
È inutile negarla, anziché rifiutarla è più utile dire: “Ok, guarda un po’ quanto piombo ho a disposizione, e perciò quanto oro potenziale ho a disposizione.”
Si dice che le sofferenze sono le nostre anime che se le vanno a cercare per poter capire e risolvere certe cose.
Quindi tanto piombo, quindi tanto potenziale oro: quindi tante esperienze su cui poter lavorare.
Del resto è una cosa che, per esempio, possiamo notare quando ci accorgiamo che, anche cambiando partner, finiamo sempre con la stessa tipologia di persona e finiamo invischiati sempre negli stessi problemi: cambiamo partner e ci diciamo che la colpa era sua perché era un partner tremendo e non andava bene, e poi ci accorgiamo che però anche con il nuovo partner percorriamo sempre gli stessi meccanismi, e poi anche con quello successivo e così via.
Be’, allora, forse è in noi che c’è qualcosa che non va; e quindi, a forza di riproporci sempre lo stesso tipo di partner, alla fine capiamo che è il caso di cambiare qualche cosa in noi.
Analogamente le esperienze che facciamo, che ci piacciano o meno, sono neutre e servono a farci crescere.
E, probabilmente, sono proprio le esperienze che ci causano sofferenza a farci crescere di più: tutto piombo che, grazie alla luce della consapevolezza e alla comprensione che ne risulta, possiamo trasmutare in qualcosa di superiore.
Sicuramente, già lo stare nel qui e ora, e vivermi l’esperienza per negativa che sia, fa sì che possa viverla con la pace nel cuore.
Allo stesso tempo, posso anche seguire un binario parallelo ed esercitarmi a vivere nelle emozioni superiori.
La prima via, è inevitabile, imprescindibile, e consiglio di mantenerla sempre attiva; e quindi la Vipassana, ovvero la consapevolezza come chiave principale, come fuoco alchemico: la pietra filosofale che permette di trasmutare il piombo in oro.
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Come anticipavo, però, parallelamente si può andare a incrementare la sensazione di benevolenza e amorevolezza, che normalmente sorge in noi quando siamo in uno stato di beatitudine e di presenza.
Andarla a coltivare direttamente può essere molto utile.
Dico questo perché i nostri pensieri, per esempio quelli accomunati da emozioni negative, tendono a riproporsi nel tempo.
Un po’ come nell’esempio del partner che si ripete, anche i pensieri tendono a farlo e ad essere accomunati sempre dalle stesse emozioni.
Per esempio, un pensiero di sfiducia, o una paura ricorrente, mi fanno stare sempre in quell’atmosfera che, per essere disinnescata, necessita della presenza: mi affranco da quello stato negativo anche solo osservandolo, senza contrastarlo facendoci a braccio di ferro, ma osservandolo per quello che è, e così, il più delle volte, lo disinnesco.
Questo però richiede presenza, basta distrarmi un attimo e quello stato negativo risorge.
Perché risorge?
Perché è come dell’acqua piovana che ritrova i vecchi canali, e percorre gli stessi solchi già scavati in precedenza scavandoli ancora di più.
I fiumi hanno un letto e tenderanno a coprire sempre quel letto e non un altro: è molto più difficile creare nuove strade e aprire nuovi sentieri; tu, in campagna, cammini sempre nei terreni più battuti, e più quel sentiero sarà attraversato sempre più lo sarà anche in futuro.
Ed ecco perché si creano degli schemi mentali un po’ viziati.
Se noi, invece, andiamo ad alimentare uno schema di pensiero diverso, collegato con uno stato emotivo diverso, ecco che andiamo a creare un nuovo letto per un fiume.
Possiamo orientare la nostra mente proattivamente verso uno stato emotivo superiore, come l’amorevolezza o la gentilezza.
E quindi Buddha suggeriva, oltre alla Vipassana, anche altre quattro tecniche meditative che favoriscono l’apertura del cuore.
La più famosa è quella di Metta, la pratica della benevolenza e della pace nel cuore.
Metta ha anche tre sorelle, che assieme a lei costituiscono le Quattro Dimore Sublimi, chiamate in lingua pali Brahma Vihara, traducibili appunto come “dimore sublimi” o anche in altri modi come, per esempio “sublimi emozioni”.
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Questi quattro stati emotivi possono essere alimentati, e sono: Metta, ovvero la benevolenza; Karuna, la compassione, molto potente per far calare le ansie perché ci si focalizza sulla sofferenza degli altri e gli si manda amore; poi c’è la gioia, ma non una gioia egoica fatta di piccoli successi personali, ma una gioia compartecipe, sintonizzata sulla gioia degli altri, e che in pali è chiamata Mudita; e poi c’è Upekkha, ovvero l’equanimità, un qualità a cui ogni tanto faccio cenno: la capacità di accogliere i fenomeni in maniera neutrale, cioè l’accogliere i fenomeni così come capitano, accettando in maniera paritaria, ovvero equanime, gli alti e i bassi che la vita ci offre.
Perciò, allenare queste qualità, queste quattro virtù, ci aiuta a favorire uno stato di pace interiore e quindi di felicità.
Tuttavia, lo ribadisco, lo sviluppo della consapevolezza è la strada prioritaria.
Anche perché è sempre dietro l’angolo il tranello di voler sostituire uno stato di sofferenza con qualcos’altro, e quindi di iniziare a farci a braccio di ferro; quindi, se da una parte è utile aggiungere e alimentare un nuovo solco – che altrimenti non verrebbe mai tracciato ed è perciò utile che certi stati interiori di gioia vengano, come diceva Buddha, “coltivati” – ma questa gioia deve essere equilibrata, infatti tra queste pratiche c’è appunto l’equanimità, che permette di accogliere i vari fenomeni così come sono (e qui torna il discorso, già accennato, su quanto è fondamentale la consapevolezza).
Quindi, sì, si possono assolutamente fare queste pratiche ma, allo stesso tempo, attenzione a non utilizzare queste pratiche come un antidoto, e a non fare rientrare dalla finestra l’avversione per quello che ti capita.
Con la Vipassana stai con quello che c’è e con queste pratiche crei qualcosa di diverso: queste due strade, insieme, sono potentissime – quindi Samatha e Vipassana da una parte e le Sublimi Dimore dall’altra – ma, sebbene caldeggi le Sublimi Dimore, invito anche a non rinunciare mai alla Vipassana che, a mio avviso, dovrebbe continuare a rimanere come allenamento quotidiano.
A me, personalmente, piace fare il più delle volte Vipassana e, saltuariamente, metterci altre tecniche tra cui, soprattutto, una di queste quattro.
In modo particolare Metta, Karuna e Upekkha – ovvero benevolenza, compassione ed equanimità – poi, per carità, ogni tanto è bello sintonizzarsi anche con la gioia (Mudita), ma la gioia sorge spontaneamente anche soltanto con una strada di consapevolezza.
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