La Respirazione in Vipassana

Mi domandano:

“Volevo chiederti se la respirazione Vipassana è toracica o diaframmatica.

Ultimamente provavo a farla a livello del diaframma, e non so bene se sono riuscito a concentrarmi; sul respiro, e poi sull’addome, sono andato un po’ in apnea”.

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Quando si parla propriamente di Vipassana, cioè dell’esperienza di stare con le cose così come sono, il respiro non è qualcosa di proattivo; cioè, non siamo noi a determinare il respiro.

Ci limitiamo a osservarlo: quello che è… è; perciò, in Vipassana, non c’è un respiro tecnicamente migliore di un altro.

Alcuni, soprattutto nella tradizione di Goenka, quando c’è la fase di osservazione del respiro precedente alla Vipassana, ovvero la Samatha con la conseguente consapevolezza del respiro (in lingua Pali: Anapanasati), quando siamo in anapana consigliano di utilizzare come luogo di attenzione il punto che si trova tra la punta del naso e il labbro superiore: le narici.

Osservare quello che succede a livello delle narici ci permette di affinare molto la nostra attenzione.

Potremo notare l’aria fresca che entra e quella calda che esce, ed è un’attenzione, questa, molto sottile, che ci permette di allenare la raffinatezza della nostra attenzione.

Io, personalmente, consiglio, soprattutto all’inizio e a chi soffre d’ansia, di fare attenzione al movimento del corpo a livello del ventre (ovvero al movimento del diaframma).

Cercando però di non essere troppo tecnici: la tecnica ci aiuta, se è solo un supporto, ma se diventa una complicazione (un “Oddio non ci riesco, cosa devo fare?”) è meglio lasciar perdere, perché ci impedisce di andare nella fase successiva; cioè in Vipassana, in cui viene esperito unicamente quello che c’è.

Succede a tanti, quando l’indicazione è di fare attenzione al respiro, che si porti l’attenzione e si cominci a controllarlo, alterandolo e modificandolo intenzionalmente.

È normale che succeda e, se lo fa, non fasciamoci la testa; limitiamoci a osservare questo flusso di respiro modificato e, soprattutto, tranquillizziamoci, non è una cosa grave se ci siamo accorti di intervenire attivamente sulla nostra respirazione.

Prima o poi il respiro inizierà, da solo, a prendere il suo ritmo.

Tenderà, molto probabilmente, a farsi lento e più calmo (ma non è detto): noi comunque stiamo con il respiro così com’è.

Facciamo pace con il respiro.

È buono avere delle indicazioni, dei punti di riferimento che ci aiutano, come la zona tra la punta del naso e il labbro a cui fare attenzione o l’addome e il petto che si gonfiano e si sgonfiano.

Io consiglierei l’attenzione all’addome, che si gonfia e si sgonfia, per esempio a chi è soggetto all’ansia e tende a fare dei respiri brevi e di petto; in quanto, in questo modo, si fanno respiri più lenti e profondi.

È un po’ più difficile osservare questa pancia che si gonfia e si sgonfia ma, invece che stare lì a osservare se è il diaframma o se non è il diaframma, facciamo attenzione a quello che succede nella pancia.

Torniamo, come nei bambini, a un lessico più essenziale: la pancia si gonfia o si sgonfia?

Mettiamoci le mani sopra, se notiamo di avere delle difficoltà, e se poi ci accorgiamo di avere delle difficoltà anche così, non fa niente: facciamo attenzione alla bocca, o al naso; va bene lo stesso.

La Vipassana implica la semplice osservazione del respiro senza intervenire su di esso.

Se, tuttavia, nel nostro porre l’attenzione sul respiro, ci accorgiamo di controllarlo, non ce ne facciamo un problema.

Vedremo che, se non ce ne facciamo un problema, tenderemo a rilassarci nei confronti del respiro e potremmo poi osservarlo senza alterarlo.

Se, invece, ce ne facciamo un problema e cerchiamo attivamente di non intervenire su di esso, invece interverremo e lo modificheremo ancora di più.

Il trucco sta nell’abbandonarsi all’esperienza.

Non facciamo del tecnicismo un motivo d’ansia: i tecnicismi ci aiutano ad avere dei punti di riferimento, ma non bisogna farli diventare dei macigni che alimentano uno stato di inquietudine.

Respirazione nella meditazione vipassana

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