Vipassana: come fare quando la mente etichetta l’esperienza
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Selenia pone una domanda interessante.
Approfitto della sua domanda per rispondere a tutti coloro che, relativamente alla Vipassana, si accorgono che c’è una dimensione cognitiva – che etichetta l’esperienza con la mente – e un’altra dimensione che, invece, si vive l’esperienza.
Talvolta ci potrebbe addirittura dar fastidio questa mente cognitiva che potremmo viverci come invadente, ma come stanno le cose: qual è l’ideale?
Intanto leggo la domanda di Selenia:
“Caro Claudio, hai parlato una volta del vedere i nostri meccanismi nel profondo.
Col respiro vado giù e vedo le dinamiche, ma non a un livello concettuale; se puoi spiegarlo meglio, questo vedere che non viene dalla mente, e questo andare giù.
Anni di meditazione, ma forse ho qualche difficoltà a comprendere questa profondità: vedo le dinamiche, ma a livello mentale”.
Quindi le vedi, a livello mentale, il discorso non è chiarissimo.
Comunque non è importante se le vedi o se non le vedi a livello mentale: può succedere sia l’uno che l’altro.
Noi abbiamo due emisferi: uno è percettivo, femminile, è caldo, sta con le percezioni, le emozioni e quello che sentiamo; e uno è maschile e organizza le informazioni, è concettuale, freddo.
Normalmente – e questo è stato dimostrato scientificamente – quando è attivo un emisfero, l’altro è spento; e viceversa.
Questo è il motivo per cui quando creiamo – quando scriviamo, ad esempio – lo facciamo di getto, e poi quando cominciamo a mettere le virgole, a correggere, a leggere e a rileggere, il nostro stato mentale è un altro e non siamo più così creativi come prima.
Però, quando noi siamo consapevoli – come in meditazione, specie quella di consapevolezza: Mindfulness o Vipassana – i due emisferi sono connessi contemporaneamente, perché la parte che organizza le idee è al servizio di quello che percepiamo.
E quindi può capitare che siamo immersi in un’esperienza, e ogni tanto può arrivare un’etichetta: una parte concettuale che riconosce quell’esperienza e la definisce.
Attenzione però, questa parte ri-conosce: ha dentro di sé quella etichetta – già esistente – e la appiccica a quella esperienza.
Tutto sta nel non farsi soggiogare da questo; nel senso che rimani nell’esperienza – e usi proattivamente questa parte – senza farti inseguire e distrarre da mille altri pensieri: di come dovrebbe essere, di come non dovrebbe essere, se fai bene, se non fai bene…
Tutti questi pensieri emergono e ti distraggono, però il bello della Vipassana è che puoi anche notare queste dinamiche – tutto insegna – e anche queste dinamiche possono essere scoperte e approfondite.
Selenia, tu parli del vedere i meccanismi del profondo.
Quindi anche questi meccanismi – dell’etichettare e del non etichettare – fanno parte dell’esperienza, non c’è nulla di sbagliato in senso assoluto, perché tutto può essere compreso e analizzato.
“Analizzato” nel senso di percepito, di vissuto: più stai con le percezioni e meglio è.
Ogni tanto puoi avere degli insight, e puoi quindi “realizzare” con tutto il tuo essere (e quindi anche una parte mentale e cognitiva).
A me una volta, per esempio, è capitato di realizzare quanto mi attaccassi al cibo; e ho avuto un lampo in cui ho visto me da bambino, in cui se non mangiavo velocemente le patatine poi arrivava mio fratello e se le mangiava lui.
E quindi ho realizzato quanto tutto questo fosse presente quando io attacco il cibo, di quanto alcuni schemi del passato avessero una loro “presenza” anche nel presente, e di quanto giocassero ancora un ruolo nella mia vita.
Tutto questo mi è stato chiaro, in un lampo, che era sia cognitivo che percettivo.
Non basta “sapere” queste cose: le vedi proprio, le tocchi con mano.
Per toccare con mano, sia la parte cognitiva che – soprattutto – la parte percettiva devono essere entrambe attive; e va benissimo che sia così.
Ogni tanto ci può essere un po’ più una, ogni tanto un po’ più l’altra, in ogni caso va bene: tutto fa brodo e tutto insegna.
Quindi, congratulazioni e vai avanti così.
Non cercare gli ideali – perché gli ideali sono preconcetti e appartengono al passato – e stai con l’esperienza, con quella che c’è nel qui e ora.
Cerca di mettere la tua parte cognitiva al servizio di quella percettiva, e porta quindi la tua attenzione al servizio di quello che vivi nel qui e ora.