Dalla concentrazione alla visione profonda
mi perdo nei pensieri
“Mi sono reso conto che cercando la visione profonda sono stato spesso seduto a pensare più che a meditare, mi sembra di far fatica a passare dalla Samatha alla Vipassana durante la meditazione.”
Guarda il video – dalla concentrazione alla visione profonda
o leggi la trascrizione sotto:
È bello che tu condivida questo aspetto, Alessandro.
Questo è già un aspetto di cui uno si rende conto dopo un po’ che medita.
All’inizio va tutto bene, perché già solo il fermarti – fermando un po’ la testa, cercando la respirazione e la centratura – ti aiuta a focalizzarti di più, e già questo ha degli effetti tranquillizzanti.
Ma a lungo andare potresti renderti conto che, per certe cose, ti stai un po’ ingannando.
Per esempio, il cercare a lungo qualcosa è un’aspettativa.
Facendo un caso specifico: io cerco la visione profonda, la cerco, la cerco, la cerco…
Ma la visione profonda non la ottieni con pensieri e aspettative.
Noi occidentali siamo abituati a fare ginnastica ginnastica ginnastica e ci aspettiamo i muscoloni, per esempio.
Ma, soprattutto nel caso della meditazione di visione profonda, la quantità della “ginnastica” non è direttamente proporzionata al risultato.
Per stare in visione profonda abbiamo bisogno di stare nella dimensione dell’essere, e non in quella del fare.
Quando tu cerchi di “fare Vipassana fare Vipassana fare Vipassana”, non sei nella dimensione dell’essere; ma quando cerchi di “fare Vipassana fare Vipassana fare Vipassana”, c’hai la soluzione, che è parte della Vipassana: perché è Samatha.
Ogni volta che ci chiediamo “Che sto facendo?”, intanto è momento di presenza: ti stai facendo delle domande, ti stai rendendo conto di qualcosa che nel qui e ora c’è, magari non è chiarissimo cosa ci sia, ma c’è un aspetto tuo di presenza che è anche curioso di scoprire qualcosa.
Ecco, questo aspetto tuo è “il testimone”.
Il testimone è nell’essere, è nell’esperienza.
Nel caso specifico è nella distrazione: c’è una distrazione e io mi rendo conto di essere distratto.
In quel preciso momento la tua visione profonda è superficiale, perché, sì, la visione profonda va in profondità, ma la profondità varia, a seconda del livello di presenza che noi abbiamo.
Quando siamo molto distratti, il fatto di renderti conto di essere distratto, è quella tacca di profondità che fa sì che tu ti renda conto della tua distrazione.
Non è da tutti rendersi conto di essere distratti.
Perché, quando siamo distratti, siamo così trascinati dai pensieri che ci sediamo a meditare, e dopo aver finito la meditazione ci diciamo: “Bene, ho fatto la mia prestazione di 10/20 minuti”, ma di fatto sono stato distratto tutto il tempo.
Ogni volta in cui invece c’è quell’attrito che mi fa dire: “Un attimo fa ero distratto”, in quel preciso momento tu sei presente, perché ti stai accorgendo della tua distrazione.
Ebbene: quello è un momento di Vipassana, un attimo di visione profonda (non profondissima, ma ha quel tanto di profondità che ti permette di intaccare quello strato di apatia e distrazione che c’era fino a un attimo prima).
Questo momento non riguarda il fare, riguarda l’essere.
Ogni volta che ti chiedi cosa fare, la risposta che ti puoi dare – visto che c’è confusione e hai bisogno di un appoggio – è di usare Samtha, il mezzo per ottenere la concentrazione e la focalizzazione, cioè il respiro.
E quindi, ogni volta che ti chiedi cosa fare: fai.
E questo “fare” riguarda il focalizzarti, ovvero la focalizzazione sul respiro.
Quando siamo tanto distratti, anche se la nostra intenzione è quella di sviluppare la visione profonda, di fatto ci spostiamo tanto di più sul respiro; quindi visto che spesso si parla di Samatha e Vipassana (quindi non solo Vipassana, ma Samatha-Vipassana: insieme), vorrà dire che sarà una Samatha-Vipassana fatta molto più di Samatha che di Vipassana, perché sono poco concentrato e ho bisogno di focalizzarmi.
Mi accorgo in quel frangente di essere molto distratto, quindi scelgo – momento per momento, nel qui e ora – di focalizzarmi: ogni volta che mi sono distratto, recupero la presenza col respiro.
Però è un attimo essere tutt’uno col respiro.
E quindi quell’attimo in cui sono di nuovo tutt’uno col respiro sono di nuovo nella possibilità di osservare, testimoniare quello che c’è, e quindi di avere una visione profonda di quello che sto vivendo.
Il trucco è quello di spostarti dal fare al curiosare.
Mentre ti siedi a meditare c’è questo aspetto del fare: “Adesso faccio meditazione”, e quindi mi siedo, mi concentro, e mi focalizzo.
Intanto può venire spontaneo andare a essere un tutt’uno col respiro: osservo il respiro e mentre osservo il respiro osservo l’esperienza del respirare, e quindi di fatto sono nell’esperienza, e perciò quando sono nell’esperienza del respirare sono, di fatto, nell’essere.
Quindi, talvolta, il processo avviene in modo spontaneo.
Poi c’è quell’energia della curiosità che mi permette, quando sono presente, di esplorare un po’ di più e di notare anche altre cose al di là del respiro.
Quindi c’è un atto di volontà in cui mi sposto dal respiro a una sensazione fisica: a un suono che mi arriva, a un singolo pensiero che sta facendo capolino, o a una serie di pensieri che mi stanno arrivando e che mi sembra stiano offuscando un po’ la mia mente; ma tutto questo può essere osservato, se mantengo viva un’attenzione curiosa, come se stessi andando al cinema a vedere qualcosa.
A me aiuta molto – e lo dico anche in qualche mio corso – quell’atteggiamento di sederti in meditazione con lo stesso atteggiamento con cui ti siederesti nella sala cinematografica dicendoti: “Chissà com’è questo film, oggi?”, e quindi dicendoti: “Chissà com’è questa meditazione, oggi?”
Sapendo che è un’esperienza banale: c’è quello che c’è.
Sarà uguale a tante altre meditazioni, ma non è mai uguale a sé stessa: non è mai la stessa identica pellicola, c’è sempre una sfumatura diversa.
E comunque, per quanto uguale a tanti altri momenti meditativi, ogni giorno è diverso; io sono diverso.
E quindi se ti apri alla possibilità di curiosare, così come al cinema, in ogni istante in cui riesci a essere presente durante la meditazione, ben venga; ogni volta che ti accorgi di non essere presente ti aiuti col respiro, e poi, con santa pazienza, ogni volta riattivi quel testimone e riattivi quella curiosità.
Ecco, la curiosità di esplorare, di conoscere te stesso, favorisce Vipassana: favorisce la visione profonda.
Trovi il corso base di meditazione di consapevolezza qui: https://meditazionevipassana.it/corso
il corso avanzato qui: https://comemeditare.it/corsoavanzato
Ok grazie Claudio, un primo giro di tutto il corso l’ho completato ma vorrei appena possibile ricominciare da capo per rinfrescare tutto quanto, tempo permettendo. Pur non avendo fatto tutti gli esercizi posso dire che l’investigazione, come dici tu, si è arricchita di molto. Utilissima secondo me la parte sugli impedimenti (vedi sopra, “dubbio”). Grazie
Ottimo Luca: hai riconosciuto il tuo dubbio come tale. L’attitudine al dubbio era probabilmente già presente prima di fare il corso, adesso hai un elemento in più per riconoscerlo come tale. Colui che riconosce le dinamiche è libero, in quel momento, dalle stesse. Ecco perchè è la “via diretta” per il risveglio. Pur non avendo fatto gli esercizi hai più elementi per riconoscere le varie parti della mente e dei suoi processi. Da una parte capisco possa aggiungersi carne al fuoco, ma di fatto stai raffinando la tua capacità di osservazione e stai andando sempre più in profondita con la consapevolezza.
Ps mi lasci una testimonianza sul corso per piacere?
Certo Claudio, ci mancherebbe, appena ho un po di tempo te la lascio, ti racconto un po come l’ho vissuto. Mi dici dove per cortesia? Non ho trovato per poter scrivere all’interno della pagina del corso. Grazie
Ciao Claudio, forse non è lo stesso argomento perché non parliamo di pensieri, ma vorrei chiedere: per chi come me comincia ad avere, grazie al tuo corso avanzato, dimestichezza con tutti gli oggetti di contemplazione del satipatthana sutta, si allena a contemplare aspetti diversi ogni volta che fa gli esercizi o le meditazioni guidate. Quando ci si mette a fare la classica meditazione di vipassana (così come la conosciamo dove buttiamo dentro tutto), ho notato che si tenderebbe ad andare alla ricerca di tutti o gran parte di quegli elementi del sutta.
Mi spiego meglio con un esempio: sei focalizzato sul respiro e senti che c’è un buon grado di presenza e consapevolezza, ti apri a tutto quello che sta accadendo nel qui e ora (sensazioni fisiche ecc…). A un certo punto ti dici, aspetta che vediamo se ci sono o no i vari fattori del risveglio, ah e potrei andare a vedere in che stato è la mia mente (ordinario, superiore ecc…), asp com’è che era?… Non mi ricordo… Devo ripassare i vari punti dei fondamentali sulla mente.
Cioè questo è un po il dialogo interiore che ne scaturisce e che ti porta ad estranearti. Quindi non è più corretto che questa indagine sia il più leggera possibile? Anche se non ricordiamo o non riconosciamo tutto ciò che ci può essere, non è sufficiente vedere/etichettare “distrazione” quando c’è distrazione, “sensazione” quando c’è sensazione, “pensiero” quando c’è pensiero ecc… Rimanendo proprio alla base?
ciao Luca, innanzitutto mi permetto di evidenziare che se prima l’investigazione era vaga adesso si fa più precisa, hai più dimestichezza relativamente ad indagare su aspetti diversi che vanno dai più grossolani fino ai più sofisticati.
Quindi questa è la parte piena dello stesso bicchiere che mi mostri come mezzo vuoto.
Detto ciò capisco che puoi viverti questi elementi come distraenti, ma hai appena aggiunto livelli di indagine nuovi alla tua esplorazione.. alla fine integrerai tutto ciò in maniera più naturale: è questo che intendo con “impara l’arte e mettila da parte”