accogliere, osservare o cacciare i pensieri
Ecco come rispondo alla richiesta di approfondire i concetti di accogliere e cacciare via i pensieri.
Allora, cosa facciamo noi mentre meditiamo?
Quando meditiamo cerchiamo di non farci trascinare via dai pensieri.
Vediamo cosa significa.
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Contenuti
- Che vuol dire “non farsi trascinare dai pensieri?”
- Cosa facciamo, invece?
- La fase di focalizzazione
- La fase di consapevolezza esplorativa
- guardare quel che c’è senza cacciare o trattenere
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- Guarda il video – accogliere, osservare o cacciare i pensieri
Che vuol dire “non farsi trascinare dai pensieri?”
I pensieri – come tutti i fenomeni – sorgono, hanno un periodo di manifestazione, declinano e cessano di esistere.
Questo avviene naturalmente, tutti i fenomeni hanno questa peculiarità.
Ci sono anche degli spazi, di grande presenza e consapevolezza, spontanei; non è che abbiamo questi momenti solo quando meditiamo, succedono quando siamo pienamente presi in quello che stiamo facendo, quando siamo pienamente assorbiti da qualcosa.
Può succedere, per esempio, quando siamo in completo relax.
Ma anche in casi che sono l’esatto contrario.
Immagino quelli che si stanno arrampicando su una montagna, la loro consapevolezza è totalmente in quello che fanno: sono pienamente consapevoli della pressione che esercita la mano mentre stanno scalando o della spinta e della pressione dei piedi; la loro attenzione è davvero ai massimi livelli, rispetto a quello che succede e al loro interagire con l’azione che stanno svolgendo.
Se non fosse così, cadrebbero, quindi massima attenzione: questo è un momento di grandissima consapevolezza.
Mi viene da pensare che alcuni facciano degli sport estremi proprio per viversi dei momenti di così grande presenza e consapevolezza.
Di contro, un momento che può sorgere in modo spontaneo, è quando siamo rilassati, come per esempio quando siamo in vacanza.
Un’immagine che mi viene spesso alla mente e che propongo volentieri, è di quando siamo rilassati in spiaggia, ci godiamo la brezza marina, sentiamo la sabbia sotto di noi, il sole che scalda la nostra pelle, un vociare non ben definito (la gente intorno a noi, i gabbiani, i bambini ecc.); ma nessuna di tutte queste cose cattura la nostra parte cognitiva e fa partire il chiacchiericcio: stiamo godendoci il momento.
Ecco, quello è un momento spontaneo di presenza e di consapevolezza.
Quello che voglio dire è che in meditazione cerchiamo di stimolare questa presenza, cerchiamo di non farci trascinare via dai pensieri.
Non farci trascinare via dai pensieri potrebbe far sembrare che noi cacciamo via i pensieri, e invece no, i pensieri non li cacciamo.
Cosa facciamo, invece?
Dipende dalla tecnica meditativa che stiamo usando, ma tendenzialmente, quando siamo confusi e persi nei pensieri, la prima cosa che dobbiamo fare è focalizzarci; quindi – anche qualora volessimo usare la Vipassana e quindi autorizzarci a stare con tutto quello che c’è – come prima cosa, piuttosto che essere persi nei pensieri, abbiamo bisogno di ritrovarci.
La fase di focalizzazione
E allora che cosa facciamo?
Ci facciamo aiutare dal respiro.
Prendiamo la nostra attenzione – la nostra parte cognitiva – che prima era persa nel chiacchiericcio mentale, e con dolcezza la poniamo al movimento respiratorio, ovvero all’esperienza del respirare.
Quindi: si affaccia un pensiero, che ci sta catturando, e noi, con dolcezza, spostiamo la nostra attenzione sul respiro.
Non stiamo cacciando via il pensiero, lo vediamo, però rispetto al momento in cui eravamo pienamente in balia dei pensieri, la nostra attenzione al respiro sarà un po’ più energica, ci sarà un po’ più di forza di volontà nello spostarci – senza cacciare via il pensiero – verso il respiro.
Sarà un po’ come quando sei a casa, ti stai facendo gli affari tuoi, e qualcuno bussa alla tua porta; ti sta rompendo le scatole, e tu, con gentilezza, gli apri la porta, gli dici: “Non mi interessa”, ti chiudi dolcemente la porta alle spalle e torni a fare le tue cose.
Ecco, questo è il tipo di energia che noi mettiamo quando abbiamo bisogno di focalizzarci, e di non dar retta a tutti questi pensieri.
Quindi il pensiero non lo cacciamo via, ma allo stesso tempo non ci facciamo lusingare dalla sua attrattiva, e non ci facciamo trascinare via.
Quindi non si tratta né di cacciarlo né di perderci in esso.
In una prima fase l’energia del porre l’attenzione al respiro sarà un pochino più evidente (soprattutto quando siamo parecchio confusi), e ogni volta che ti dici: “Che faccio adesso?”, semplicemente riporti l’attenzione al respiro.
E poi che succede?
La fase di consapevolezza esplorativa
Che dopo un po’ – perché non è che rimaniamo focalizzati in eterno – ecco che un altro pensiero, o una sensazione, fa capolino; e noi facciamo un po’ quello che abbiamo fatto prima, ma con un’enfasi diversa.
E ci autorizziamo a curiosare.
Quindi, se prima l’energia era rivolta al cercare di focalizzarci e al non essere dispersi nei pensieri, questa volta – sapendo che possiamo contare sul respiro come un’ancora, perché l’esperienza del respirare è viva dentro di noi ed è un attimo ritrovarla – abbiamo il filo d’Arianna che ci permette di uscire dal labirinto dei pensieri compulsivi, e quindi possiamo aprire un pochino di più gli occhi al pensiero che c’era.
Attenzione, il fatto di guardare al pensiero, non significa che io sono trascinato dai pensieri; io non sono l’oggetto trascinato dal soggetto “pensare”.
Piuttosto è il pensare – il chiacchiericcio mentale – che diventa l’oggetto di osservazione, perché sono io protagonista dell’osservare, sono io curioso di sapere che cosa mi sta dicendo e cosa sta facendo questo pensiero.
E quindi, il più delle volte (non è automatico, non crearti false aspettative), puoi notare che questo pensiero, quando si sente osservato, tende a farsi piccolo, timido, e ad andarsene.
Perché ti dico di non farti delle aspettative?
Perché non voglio che torni dalla finestra quello che stava uscendo naturalmente dalla porta.
Il fatto è che non stiamo cacciando via i pensieri, quindi se ti creo l’aspettativa che poi il pensiero non c’è più, e la tua mente va a cercare che il pensiero non ci sia più davvero, ecco che il pensiero lo stiamo cacciando.
guardare quel che c’è senza cacciare o trattenere
Ma non è quello il nostro interesse, il nostro interesse è fare tutt’altro: è andargli incontro, guardarlo.
Ed è guardandolo che il pensiero si fa piccolo e se ne va.
Ma anche se non si facesse piccolo – normalmente accade, ma anche se non si fa piccolo – noi lo vediamo; sentiamo anche come sta il nostro corpo, in corrispondenza di quel pensiero; quali sono le emozioni che stiamo provando; quali sono i sentimenti che stanno emergendo.
Manteniamo viva l’attenzione, questa nostra curiosità: siamo sempre noi protagonisti di quello che ci succede.
Però, come vedi, già ci stiamo autorizzando di più a osservare il pensare.
Ecco, questo è già un passaggio spontaneo tra una focalizzazione e un’esplorazione; la focalizzazione è più tipica di Samatha, e la focalizzazione di Vipassana, però non è che c’è un confine netto: semplicemente mi sento concentrato e cerco di esplorare, mi viene spontaneo farlo.
E quindi esploro.
Ho abbastanza energia, sono abbastanza centrato, non sono disperso nei pensieri: lo posso osservare il pensiero, senza farmi trascinare via da esso.
Dopo un po’ può succedere che di nuovo i pensieri mi stanno trascinando via, e io, di nuovo, mi rifocalizzo; ritorno al respiro e, una volta che mi sento di nuovo abbastanza centrato, cerco di mantenere vigile l’attenzione dell’esplorazione, e quindi esploro.
Poi arriva un altro pensiero, e l’osservo.
I pensieri sono un po’ come le nuvole nel cielo: appaiono, stanno un po’ lì e poi scompaiono; e io posso rimanere nella posizione privilegiata di colui che li osserva, i pensieri.
Dietro le nuvole, il sole rimane imperturbato.
Noi, dal punto di vista della dottrina buddhista, è come se avessimo due menti: una è la mente che “mente”, quella grossolana, ordinaria, quella del chiacchiericcio mentale; ma la mente ha anche un aspetto puro, incontaminato, ed è come un sole che non viene contaminato da questa mente “chiacchiericcia”, che fa apparire nuvole, che ci fa credere che è tutto buio, che piove soltanto, che c’è solo tempesta e non c’è mai il cielo sereno.
Dopo un po’ la tempesta va via, e il cielo torna sereno, quindi non c’è bisogno di cacciarli via questi pensieri.
Lasciali danzare davanti a te, e cerca di mantenere quanto più possibile accesa questa attitudine alla curiosità.
E divertiti a guardare cosa succede in te, tra pensieri, sensazioni, percezioni e brama, Oppure impulsi a fare o non fare una cosa: se ti piace ci sarà l’impulso ad andare lì; se non ti piace ci sarà la rabbia, la repulsione e la voglia di allontanare quella cosa; se tutto questo ti annoia tenderai a assopirti, a non voler vedere l’esperienza, a mettere la testa sotto la sabbia.
Queste sono le reazioni tipiche che noi abbiamo, e va tutto bene.
E tutte queste reazioni possono essere osservate.
Lo ripeto, perché il lavoro di consapevolezza è questo, cioè stare con le cose così come sono: questo è quello che siamo chiamati a fare.
Stare con le cose così come sono.
C’è un pensare? Sto col pensare.
Se non riesco a starci, perché mi distraggo proprio tanto, al punto che è più il chiacchiericcio mentale rispetto ai momenti in cui sto osservando, naturalmente tenderò a usare un pochino di più l’ancoraggio al respiro.
Ci sono dei giorni in cui mi capita di stare così: voglio fare Vipassana ma, pur volendolo fare, i momenti di presenza sono pochi, e il lavoro di pazienza del tornare al respiro la fa un po’ più da padrone.
E va bene così.
Prendo comunque atto che c’è un certo livello di consapevolezza che mi fa rendere conto di quanto sia distratto.
E già questo è un discreto livello di consapevolezza, un buon inizio, ed è già una sottile fase di Vipassana: sono presente al fatto di non essere presente, di essere davvero tanto distratto.
Ma, con pazienza, mi ci metto ugualmente, e funziona lo stesso.
Tra l’altro il paradosso è che, man mano che si raffina l’attenzione, ci si accorge di pensieri che c’erano anche prima ma non te ne accorgevi, pensavi di non pensare, ma c’erano.
E mano a mano che affini la tua attenzione “sgami” (come si suol dire da queste parti) sempre più pensieri: becchi quelli più sottili, quelli più nascosti, sembra di giocare a nascondino, ed è divertente questo osservare.
L’osservatore ha questo grande vantaggio: si diverte.
Non è un divertimento con chissà quale ilarità, ma è una pace del cuore, un sorriso sottile del cuore nel gustarsi lo spettacolo; stare nella posizione dell’osservatore ti permette di guardare veramente il caleidoscopio della nostra vita, del nostro pensare e del nostro stare al mondo.
Questo è quello che noi facciamo in visione profonda, in Vipassana, ed è questo che ti esorto a fare.
Spero che sia chiara questa importanza di autorizzarci a osservare il pensiero senza farci trascinare via da esso, e senza neanche respingerlo.
Quindi: non c’è bisogno di respingerlo, non c’è bisogno di trattenerlo.
Se va via, lo lascia andare.
Normalmente, quando si fa piccolo, tende ad andarsene, ma non aspettarti che accada, altrimenti sarebbe di nuovo un cacciarlo via; siamo bravissimi a ingannarci, in questo.
Basta osservare.
Tranquillamente, pacificamente, osserva.
Questo è quello che cerchiamo di fare quando meditiamo, è questa l’attitudine: a cercare di osservare, di sviluppare questa presenza e questo osservatore.
Ciao Claudio, volevo chiederti come mai in meditazione i miei pensieri sono spesso insensati e sconclusionati. Spesso sconnessi con la quotidianità. Quasi come sogni. È normale? Io intanto osservo e lascio andare. Grazie. Che tu sia felice.
ciao Raffaele, ecco si: osserva e lascia andare. è perfetto così.
Tuttavia se ti chiedi se è “normale” cominci a spostarti nel mondo dei pensieri senza nemmeno accorgertene, non li stai cacciando via ma ne stai creando di nuovi domandanadti (che è un pensiero) “se è normale o no”: anche questo “capita” e quindi sarebbe “normale”.
Tutto capita e benchè sia una cosa assai diffusa, non cercare la “normalita” ovvero una idea preconcetta, ideale ed astratta di quello che “dovrebbe accadere” per essere “normale”, ma stai con quello che, c’è qualsiasi cosa sia.
In fondo tutto è speciale: quindi è “normale” che tutto sia speciale (e non normale). è un ossimoro ma è così.
Il fatto che anche la cosa più noiosa e ripetitiva (che appare normale) sia in fondo speciale rende l’osservazione meditativa ancora più speciale: l’adesso è sempre speciale ed è un dono da impreziosire con la presenza
Sempre chiare le tue spiegazioni Claudio! Bell’articolo
Ciao Claudio, Ottimo video. Soprattutto durante la pratica ma anche nell’esperienza quotidiana, mi sono accorto che è nata l’abitudine in me di distinguere in modo diverso un’immagine mentale da un pensiero.
Dal mio punto di vista noto una distinzione tra un flash/immagine molto veloce (a cui prontamente quando ne ho la capacità dedico l’etichetta “immagine”) e un pensiero che sempre dalla mia prospettiva, è un qualcosa di molto più discorsivo (etichetta “pensiero”).
L’immagine mentale quando la osservi e ne diventi consapevole in un attimo collassa, non dura niente, il pensiero invece è più ostico: o ti porta via finché non ne diventi consapevole o lo osservi e collassa (ma per farlo devi ancorati subito “Samantha”). Ma mi sono accorto che se lo osservi con consapevolezza per attimi, a volte tendi ad alimentarlo: in quel momento quindi ti ancora con Samantha. Mi sono chiesto se questa ultima fase che ho descritto, non possa essere paragonata a una fuga dal pensiero stesso. Che ne pensi? Che pensi poi della distinzione tra immagine e pensiero? Penso sia netta almeno per me la diversità, credo di avere una mente molto discorsiva, per me la maggior parte dei pensieri sono costituiti da dialoghi tra me e altre persone e fasi in cui mi sembra di essere in prima persona in determinate situazioni.
ciao Luca anche a me capita di accorgermi di pensieri con qualità diverse ma non sarei in grado di usare il tuo stesso modo di definirli, non so perchè, ma poco importa.
Complessivamente credo che ci faccia bene tornare alla semplicità altrimenti potremmo (sia io che te) perderci nei pensieri nel tentativo di definirli
Sempre chiare le tue spiegazioni Claudio! Bell’articolo