Trattenere le cose belle ed eliminare quelle brutte: nuova prospettiva

la pace oltre il bello ed il brutto“Poiché dici che serve osservare le cose così come sono, a me viene facile evitare i giudizi negativi, o meglio: non mi viene facile, ma è bello evitarli.

Quando invece sono felice, e un paesaggio o una situazione mi sembrano davvero belli, allora è come se la mia anima si espandesse, e mi verrebbe da dire: “Quanto è bello, che meraviglia, che esperienza fantastica”.

Ovviamente, anche in questo ultimo caso, sto alterando la realtà delle cose; perciò, se la sensazione è bella, va bene o devo evitarlo?

E quindi, in che modo devo stare con l’essere e non con il fare?”

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Quando io sto con l’essere, è tutto bello, è bello anche il brutto.

Mentre contemplo un panorama, io mi fondo con esso e siamo un tutt’uno, ed è bellissimo.

Però, dopo un po’, io mi distraggo, non è un’esperienza che posso trattenere.

Non posso trattenerla, perché cambia: e allora dovrei riuscire a mantenere quella presenza anche con quello che sta cambiando.

Facciamo questo esempio: prima sono assorbito da questo bel panorama, siamo un tutt’uno, ed è bellissimo; poi sale un pensiero, è un giudizio:

“Eh, guarda: hanno buttato delle cartacce. C’è una natura così bella, e questi cattivi hanno buttato delle cartacce. Come osano?”; e quindi io ho già interrotto quella meravigliosa percezione del tramonto, e di essere un tutt’uno con la natura, e sono entrato nel giudizio.

Sono entrato nei pensieri: “credo” nei pensieri (sono pensieri giudicanti, pensieri nei confronti degli altri).

Poi supponiamo che ci sia di nuovo un altro momento di presenza: “Uh, sto giudicando.

Quindi per un attimo ho riconosciuto che stavo pensando, e allora ottimo, ottima cosa: perché stavo pensando, e stavo avendo dei giudizi.

E comincio quindi a giudicarmi: “Non devo avere giudizi”.

Però così mi sto giudicando ancora: sto giudicando di essere giudicante.

Non c’è fine a questa possibilità di avere pensieri.

Però, attenzione, non c’è fine neanche al poterti accorgere di questi meccanismi.

E ogni volta che te ne accorgi, permetti alla tua parte osservante (che è sempre in pace) di manifestarsi.

L’osservatore è sempre in pace

Quindi l’osservatore è sempre in pace, e non c’è altro da fare che osservare: non c’è qualcosa da cacciare via o qualcosa da trattenere.

Non c’è la cosa bella da trattenere, quella va via da sola; ma anche la cosa brutta, va via da sola.

L’ho già detto anche in altri interventi: le cose vanno e vengono, non c’è bisogno di sforzarsi di trattenere o cacciare alcunché, tutte le cose vanno e vengono da sole.

Ma se io osservo, e mi godo pienamente sia gli alti che i bassi della vita, io sto in pace.

Attenzione: anche i bassi della vita.

Se io, invece, mi sforzo di trattenere le cose belle (che comunque andranno via, e io soffrirò, perché se ne sono andate), o di cacciare quelle brutte, vuol dire che con la mia mente starò sempre con le cose brutte (perché le voglio cacciare, le inseguo, e quindi le alimento).

Non c’è bisogno di trattenere o mandar via nulla, basta accogliere i fenomeni così come arrivano.

Quando mi succede una cosa brutta, legata per esempio al corpo, una parte di me lo sa che è una cosa brutta (ho un corpo: quindi invecchio, mi ammalo), io però ho un corpo, non sono un corpo.

Appena hai una macchina nuova, sei contento e nei vai fiero, poi passa il tempo, e continui a trattarla bene, ci metti la benzina, l’olio: insomma, cerchi di curarla al meglio; poi arriva un bel giorno in cui, insomma, ha fatto tanti chilometri, e allora la macchina la cambi.

Poi ti prendi un’altra macchina, e magari un giorno quella macchina si guasta, e ti dispiace: però la macchina non sei tu, ed è la macchina che si è guastata.

Il corpo non sei tu, il corpo è una macchina: una macchina abitata.

L’osservatore va al di là del corpo, è pacifico, anche se magari ha una macchina in panne.

Quindi ogni volta che noi abbiamo un dolore, o un piacere, c’è un altro piacere – più sottile e meno corporeo, ma più diffuso nel nostro essere – che è di pace.

Una pace enorme, che arriva nel poter accogliere sia gli alti che i bassi della vita, in modo equanime.

È quella capacità di dire: “È un bellissimo film”.

E il film è fatto di alti e bassi, se non ci fossero, non sarebbe un bel film: se non ci fosse un antagonista, se non succedesse mai niente, se al protagonista andasse sempre tutto bene, non sarebbe un bel film.

Se adesso c’è un basso, e quindi un ostacolo, vuol dire che mi si sta offrendo la possibilità di superarlo questo ostacolo, e di avere nuovi strumenti e nuove comprensioni, e quindi di imparare qualcosa. 

Il film serve anche a imparare delle lezioni: il film della vita serve proprio a questo, e si impara più dalle cose che vanno male che da quelle che vanno bene.

Però, per fortuna, ci sono anche le cose che vanno bene (e che ci permettono di avere un po’ di respiro, se avessimo solo cose che vanno male, non avremmo neanche gli strumenti per farne tesoro).

Sviluppare la facoltà di spostarsi dalla macchina e dalle sue difficoltà, seppur rimanendo dentro la macchina, è un qualcosa che ci dà pace.

Senza negare nulla degli alti e dei bassi che la vita ci offre inevitabilmente, ricordandoci che è una lezione, e che quella sofferenza ci offre gli strumenti per superarla (e che, quando accadrà, sarà bellissimo).

Mi vengono in mente due cose riguardo a questo.

Lo stress

Una è lo stress, cioè la nostra capacità di rispondere a un elemento che cambia lo status quo.

Noi abbiamo una zona di comfort, che è lo status quo, e poi arriva uno stimolo esterno: questo stimolo esterno ci obbliga a ristabilire uno status quo, uscendo dalla nostra zona di comfort.

Questo stimolo esterno è una fonte di stress, ma non è detto che sia uno stress disfunzionale (detto “distress”), potrebbe anche essere uno stress funzionale (“eustress”).

Lo stress funzionale – l’eustress – è uno stimolo, ci mette moto: ci obbliga a uscire di casa e a metterci in gioco.

E dopo che abbiamo superato questa difficoltà ci sentiamo soddisfatti, più forti di prima; abbiamo imparato qualcosa.

Questo è quello che succede: noi abbiamo degli eventi, che di per sé sono neutri, ma che ci obbligano a metterci in gioco in continuazione; ma è questa la lezione che siamo chiamati a imparare.

E avere una prospettiva che ci aiuta a ricordarci che noi possiamo avere dei momenti più o meno difficili, ci dà sicurezza: non una strada spianata, sempre piatta, ma degli ammortizzatori che ci permettono di andare sia nell’autostrada che nella stradina dissestata e piena di buchi, e con una sicurezza che diventa sempre più nostra.

Questa è la bellezza.

A tal proposito c’è una bellissima storia.

La storia del contadino cinese

È la storia di quel contadino cinese, che era ritenuto molto fortunato perché aveva due bei cavalli, ma lui diceva: “Chissà”;

poi un bel giorno questi due cavalli spariscono, si mettono a seguire dei cavalli selvatici e scappano, e allora gli altri dicono al contadino cinese: “Ci dispiace tanto, che sfortuna”, ma lui si limita a dire: “Chissà”;

poi, un altro giorno, questi due cavalli tornano con altri due cavalli selvatici, e a questo punto il contadino cinese si ritrova con quattro cavalli, e allora tutti dicono: “Oh, che gran fortuna”, “Eh, chissà” risponde il contadino cinese;

poi succede che il figlio del contadino, nel tentativo di domare uno di questi cavalli selvatici, viene disarcionato e si rompe una gamba, “Oh, che sfortuna” dicono allora, “Chissà” risponde ancora il contadino;

in seguito arrivano dei funzionari dello stato, il paese è in guerra, e stanno reclutando dei giovani per combattere, il figlio del contadino però ha la gamba rotta, e viene escluso dal reclutamento, e quindi tutti: “Oh, che fortuna”, ma il contadino: “Chissà”.

Gli episodi, di per sé, sono neutri: tutto cambia, viene e va’, e non sappiamo cosa ci riservano le circostanze della vita; sono circostanze, alcune appaiono spiacevoli, altre piacevoli, ma comunque ogni circostanza porta con sé un bagaglio di esperienza.

Questa è una prospettiva che ci aiuta ad evolvere.

 

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