Come un “caro estinto” può vivere ancora dentro di noi.
(Tecnica di Consapevolezza)

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Ai primi di novembre ci ricordiamo dei nostri cari estinti. Com’è che possiamo recuperare gioiosamente quest’esperienza, cioè riscoprire che cosa dei nostri cari estinti è ancora vivo in noi?

Ecco, ma è anche un modo, secondo me, per rivivere delle esperienze, dei momenti, per far rivivere quel caro estinto che, in qualche modo, è ancora presente, vivo, attraverso di noi.

Vediamo un piccolo rito, un piccolo trucchetto, che ci permette proprio di recuperare questa vivacità di un caro estinto.

L’esperienza di Thich Nhat Hanh

Allora, innanzitutto ci tengo a citare un’esperienza viva, molto viva, molto pratica, recuperata  da Thich Nhat Hanh, che lo descrive molto, molto bene in uno dei suoi bellissimi scritti dove parla della morte, parla di non andare e non venire.

Non mi interessa parlare della morte, mi interessa parlare della vita, di come un estinto, una persona ma anche un animale estinto, è ancora vivo dentro di noi e come noi possiamo portarlo in giro, in qualche modo lo facciamo già.

Thich Nhat Hanh, quando parla della morte, del non andare, del non venire, dice che in qualche modo tutto si trasforma. Adesso, appunto, non mi soffermo tanto su questo lato, ma c’è un aspetto di questa trasformazione che è chiaro che si radica in noi. C’è come un caro estinto si radica in questo, è l’aspetto che mi interessa focalizzare.

Il potenziale della fiamma che si trasforma in energia

Thich Nhat Hanh parla di una scatola di fiammiferi e te lo leggo.

portare i propri cari nel cuoreQuello che scrive in questo articolo, quindi, se vai su questo indirizzo del mio blog trovi il link a questo articolo e lui dice in buona sostanza che il potenziale della fiamma sta già nella scatola di fiammiferi e che, in qualche modo, anche quando si spegne il fiammifero questa è solo una trasformazione, una continua trasformazione.

Ma, ti dicevo, non è tanto questo il tema. Immagino, quindi, che a un certo punto questo foglio di carta io lì a fuoco, quindi lo accendo, questo foglio di carta brucia e io vivo un’esperienza.

Intanto, il foglio di carta si trasforma, rimane qualcosa del foglio di carta. Immagino una cosa nera. Insomma, tutti noi abbiamo avuto esperienza un’esperienza del genere, ma soprattutto rimane il calore dentro di me, l’esperienza del calore rimane.

Poi c’è una nuvoletta che si alza nel cielo e magari la mano che ha tenuto il foglio ancora un po’ scotta.

Questa esperienza si radica profondamente nella nostra memoria e quindi questa esperienza rimane dentro di noi.

Il valore delle esperienze passate

Quindi potrei dire sì, ma nel frattempo fa freddo, la fiamma si è estinta, tu non senti più il calore. E non è esattamente così. In psicologia, nei gruppi di psicologia lo vedo quanto invece noi siamo esattamente il frutto di esperienze passate.

Non ha molta importanza quanto tu hai accumulato materialmente nel corso della tua vita, quello che in realtà ti contraddistingue per quello che sei sono proprio le esperienze che tu hai vissuto ed è questo il punto.

Quindi, per esempio, un cane. Mi fa pensare ai momenti trascorsi con questo cane, all’affetto che provavo, ai sorrisi che mi faceva venire in certe occasioni, anche a momenti magari di contrasto o rabbia perché faceva le cose che non volevo che facesse, ma complessivamente io posso recuperare di questo cane tutte queste sensazioni.

Noi siamo esattamente, ti dicevo, il frutto di queste sensazioni.

La teoria dell’attaccamento di Bowlby

Uno psicologo, anzi basandosi prima sulla etologia (lo studio degli animali), ha ribaltato la psicologia antica, cioè quella legata ai concetti freudiani, scoprendo la teoria dell’attaccamento.

Questo si chiama Bowlby e lui dice praticamente, ed è stato in qualche modo comprovato, che soprattutto nei primi tre anni di vita, a seconda dell’esperienza che viviamo, si crea una memoria diversa da quella cognitiva, proprio esperienziale, proprio sensoriale.

E quindi, nei primi tre anni di vita, a seconda di come siamo stati accuditi dalle nostre figure di accudimento, noi forniamo una base sicura che ci permette di esplorare al meglio il mondo.

Ovviamente nessuno ha una base sicura perfetta, ma ciascuno di noi in qualche modo si arrangia per vivere il mondo per quello che è. Tuttavia, abbiamo chi più chi meno esperienze di accudimento, esperienze di affetto e sono proprio queste esperienze che ci permettono di vivere meglio.

Recuperare l’esperienza dei nostri cari

Quindi, quello che andiamo a recuperare è proprio l’esperienza vissuta con ciascuno dei nostri cari. È un esercizio che possiamo fare i primi di novembre, ma possiamo recuperarlo e farlo in qualsiasi momento noi vogliamo.

È una bella esperienza e piacevole, anche se magari l’idea di qualcuno che non c’è più ci può mettere un pochino di tristezza. In realtà, noi andiamo proprio a riviverlo dentro di noi, quindi sotto questo profilo è assolutamente piacevole e quello che andiamo a recuperare non è qualcosa di esterno a noi ma qualcosa che noi conosciamo profondamente. E quindi, è proprio il caso di dire che è proprio attraverso di noi che vivono i nostri cari a sprazzi.

L’importanza delle esperienze personali

Ora, io ho entrambi i miei genitori che hanno lasciato il corpo, quindi per me è facile poter dire che io sono esattamente il risultato dei miei genitori.

Non solo fisicamente, ma anche psicologicamente. Non vado a riferirmi solo al cane, ma anche a tutte le esperienze che ho vissuto con altri animali e con tutte le persone che ho incontrato nella vita.

Persino un sorriso lasciato da uno sconosciuto sull’autobus può avermi donato qualcosa di profondo. E anche quella esperienza è profondamente radicata in me e mi può aver cambiato un’indicazione in più verso il bene o verso il male. Poi dipende ovviamente dal tipo di esperienze che viviamo, ma sono sempre occasioni per poterci crescere.

Consiglio pratico per recuperare le esperienze

Quindi, non c’è bisogno di non avere più in vita i propri cari, i propri genitori, ma andare anche a recuperare da un mosaico personale che non c’è più. Che cosa queste persone, o direttamente o indirettamente, hanno lasciato in noi.

Per farlo, ti consiglio di prendere un foglio di carta e avere un momento di quiete. Fai un elenco di quei cari, di quegli esseri che non ci sono più, che hanno lasciato il corpo. Non è necessario fare un grande lavoro, le prime persone che ti vengono in mente, anche casuali, mettile lì.

Poi, per ciascuno di quei nomi, scrivi un’esperienza, una sensazione, e poi rispondi in qualche modo a questa domanda: “Caro [nome del caro defunto], mi porto questa esperienza. Questa esperienza mi ha dato questa sensazione.”

Conclusione e invito

Ricordare la sensazione, l’emozione, perché ci lega di più all’esperienza stessa. E quindi, io ti incoraggio a riprendere questo esercizio ogni volta che senti il bisogno di connetterti con i tuoi cari, sia nei primi di novembre che in qualsiasi altro momento dell’anno.

Ogni volta che lo fai, avrai l’opportunità di sentirsi più arricchito, più integrato e più grato per le esperienze che hai condiviso con loro.

Qui trovi: “Non nascita non morte” di Thich Nhat Hanh

La Frase dell’esercizio è:

“Caro……. , di te mi porto questa esperienza……. mi hai lasciato questa sensazione. E questo è un aspetto che vive ancora dentro di me”

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