Conoscere (ed evitare) gli attaccamenti

 

questo articolo è stato estrapolato da una sessione del Come Meditare Coaching

qui trovi maggiori informazioni su questo servizio di sostegno nel tempo: http://www.comemeditarecoaching.it

clicca qui per andare alla versione video o continua la lettura

Parliamo degli attaccamenti.

E per farlo partirei dall’energia dell’amore: abbiamo parlato di amorevolezza, di gentilezza, di Metta, di questa attitudine ad aprire il cuore, ad amare; quando si tratta di amare qualcuno, siamo tutti d’accordo che sia una cosa bellissima da fare

conoscere-l'attaccamento-bramaEppure non è così facile, spesso riguardo l’amore confondiamo le cose.

L’amore, per sua natura, dovrebbe essere qualcosa di incondizionato: uno un figlio lo ama qualsiasi cosa faccia, se fa una birichinata, tu non ami la birichinata, ma non è che smetti di amare tuo figlio; uno il figlio lo ama a prescindere da quello che fa.

Perché l’amore vero è incondizionato, è questa la sua qualità.

Non è che amo qualcuno se, di contro, ricevo qualche cosa in cambio.

Tu dirai: “Ma questo che c’entra con l’attaccamento?”

C’entra, con l’attaccamento, perché il più delle volte: io amo te a patto che tu ami me; io sto con te perché facciamo l’amore; perché mi prepari da mangiare; perché mi sento protetto o protetta; o per mille altri motivi.

E va anche bene che ci siano questo cose e tutte queste sfaccettature.

Ma il problema non è la sfaccettatura, il problema è: cosa succederebbe se dovesse venire meno una di queste condizioni?

Continuerei ad amarti? O stavo con te solo per quello?

Perché, se stavo con te solo per quello, probabilmente non era amore: era attaccamento, e l’attaccamento, di per sé, è un problema.

Ripeto, non è un problema stare con qualcuno se ci sono delle belle cose da condividere, se c’è il sesso e tutte le altre cose, ma l’amore è altro: quelle cose sono manifestazioni – bellissime, anche fisiche – di due persone che si amano, e va benissimo.

Ma sono io in grado di amare una donna se questa donna non mi ama più, e magari se ne va con un altro?

Posso provare rancore, posso provare frustrazione, posso provare rabbia, ci sta; ma se io questa persona la amo veramente, parallelamente io non smetto di amarla, e non smetto, potenzialmente, di mandarle dei pensieri gentili.

C’è capitato più o meno a tutti di conoscere questo tipo di rabbia o di frustrazione quando si è stati lasciati da qualcuno, ed è più facile continuare ad amare qualcuno quando si lascia, piuttosto che quando si viene lasciati, nell’ultimo caso è molto più difficile.

Però sono convinto di non essere l’unico – magari in certi casi, non in tutti – a continuare ad amare quella persona e a volere la sua felicità, e se la sua felicità è di stare con qualcun altro che non sei tu, glielo auguri lo stesso di essere felice, con tutto il cuore, anche se ti fa male.

Però se la ami veramente e la vuoi felice, va bene, è andata così, se sei felice con qualcun altro: che tu sia felice.

Questo è amare incondizionatamente, è amare senza attaccamento.

Io ho fatto l’esempio dell’attaccamento relativamente all’amore per far capire che c’è un distinguo, perché poi, dopo, uno spiega l’attaccamento e c’è la domanda – e la confusione – classica: “Ma sei io amo mia moglie, come faccio a lasciarla andare?”

Se la ami, la lasci andare, sei in grado di farlo: la ami per quello che è.

La ami, non se sta con te, la ami perché è lei, e merita di essere amata.

Questo è importante: capire il distinguo.

Perché qual è il problema dell’attaccamento?

Il problema è che noi abbiamo un corpo, e questo corpo è collegato con tutta una serie di meccanismi per proteggere il corpo stesso.

Noi il corpo lo abitiamo, ma tendiamo anche a identificarci con esso, e quindi siamo portati a proteggerlo, a nutrirlo, a riprodurre la specie; e cominciano così a nascere tutta una serie di bisogni.

Ma sono bisogni corporei, che però tendiamo a confondere con bisogni “nostri”.

E questi bisogni corporei sono anche associati con delle sensazioni e delle emozioni: tutto ciò che è piacevole, crea attaccamento; tutto ciò che è spiacevole, crea avversione; e poi c’è una terza reazione, che è la negazione, cioè il voler ignorare l’esperienza, il mettere la testa sotto la sabbia.

Le più evidenti però sono “Mi piace” e “Non mi piace”.

Nel caso in cui “Mi piace” io svilupperò attaccamento, brama, desiderio e dipendenza; mentre nel caso dell’avversione io svilupperò invece rancore, rabbia e odio.

Non c’è possibilità di scappare da tutto questo: finché viviamo in un corpo, una di queste cose ci capita.

E non è che sono sbagliate in senso assoluto, anche se, dal punto di vista dottrinario, sono chiamate “I tre veleni”, perché fanno soffrire (quindi non “sbagliati”, ma comunque bene non fanno).

Anche la brama, cioè quello che ci dà piacere, è fonte di sofferenza: perché io, nel cercare di scartare una parte di realtà, alla fine soffrirò.

La vita non è tutta rose e fiori: ci sono le spine, i lati bui, che fanno parte della vita.

Se io voglio scartare le cose brutte, a beneficio solo delle cose belle, io scarto la vita stessa.

Però, come vedi, la prospettiva che stiamo usando adesso è una prospettiva dall’alto; quando siamo immersi dentro, e c’è qualcosa di spiacevole, cerchiamo di allontanarla.

È sbagliato?

No, è sano per il corpo (fino a un certo punto), l’importante è che poi alla fine non si esageri, e che si riconosca che anche questi meccanismi possono essere dolorosi e cercare di ricordarsi che c’è anche una prospettiva diversa che non è quella corporea, e ricordarsi anche che l’attaccamento può creare disagio.

Un altro esempio di attaccamento (e libertà da esso)

In questo momento, io sono fuori casa mia: ho preso l’abitudine, a luglio e agosto, di lasciare la mia casa.

Con “lasciare la mia casa”, intendo che in questo periodo ci vive qualcun altro, perciò la devo proprio lasciare; e quindi io vado ramingo, per lasciare casa mia a qualcun altro.

Non è stato facile.

E non è facile ogni anno: nella mia casa ci sono tutte le mie cose, e non so dove metterle (devo togliere tutto, liberare gli armadi, mettere le cose in soffitta); però ti assicuro che è anche una grande occasione per liberare le energie, di vedere quanta roba inutile compero – che non uso, e che occupa spazio nell’armadio – e di cui mi posso liberare.

È un bell’esercizio per liberare le energie stantie, di cose che non adoperi, o di rubinetti che perdono, e che non ripari, perché rimandi.

Non attaccamento significa vivere di più alla giornata, dare meno per scontate delle cose, e alleggerirci.

Altro esempio.

Ho lasciato casa, come ho detto, e quindi cosa faccio?

Ho una macchina piccola (una Micra del 2002, quindi ti puoi immaginare: una cosa davvero ridicola) e siamo in due, io e la mia compagna, ed è in previsione anche un viaggio con mio figlio, quindi saremo in tre, in una Micra del 2002, che è una roba minuscola.

E vogliamo andare a trovare i miei parenti, nel nord Europa.

E quindi viaggiare – in tre, con tre valigie – e ti assicuro che, andare all’essenziale rinunciando a tante cose per farle entrare in macchina, non è facile (io andavo anche in moto: e in moto mi portavo i vestiti, la tenda, il materassino).

È un bell’esercizio, questo di rinunciare per arrivare all’essenziale (all’essenza delle cose).

Il termine in lingua pali “bhikkhu” – usato da Buddha per indicare quelli che io chiamo “praticanti” – è una parola che in sé significa “rinuncianti”: le persone che “rinunciano”, rinunciano agli attaccamenti, perché sono forme di sofferenza.

Più si va all’essenza, e più il fardello è leggero.

Immagina – un po’ come nell’esempio che ho fatto prima – che devi andare in viaggio portandoti dietro solo uno zainetto: più le cose pesano e più ti gravano sulle spalle.

Noi possiamo alleggerirci di tante e tante dipendenze – di tanti e tanti attaccamenti – e vivere in modo molto molto più leggero.

Penso, a questo punto, di aver parlato in modo ancora più esplicito degli attaccamenti, e di quanto possono essere faticosi.

Non sono sbagliati, attenzione, noi tendiamo a dire: “O è nero o è bianco”.

No, ci sono: ciascuno di noi ha le sue peculiarità, con più attaccamenti a certe cose che ad altre (per esempio la mia compagna tiene più a certe cose, e io invece ad altre; e questo ci caratterizza).

Il problema è quando gli attaccamenti diventano fonte di sofferenza.

E lo sono, fonte di sofferenza, lo sono praticamente sempre.

Però, ripeto, siamo in un corpo: quindi è inevitabile.

L’importante è non farci incastrare dai nostri attaccamenti, e poterci alleggerire.

Io ero attaccato al mio lavoro, e mi sono alleggerito di quello, ho cambiato lavoro; ma vivo una vita sempre più leggera, e sempre più felice, mano a mano che mi libero degli attaccamenti.

Poi ne creo di nuovi, di attaccamenti, ma posso affrancarmi anche da quelli.

Ed è questa la buona notizia: possiamo affrancarci da tante cose, senza gettarle via, semplicemente liberandoci di quello che comincia ad essere un po’ pesante; perché è quello il problema dell’attaccamento: crea un clima pesante, sia alle cose, sia alle persone.

L’attaccamento al denaro

Pensiamo per esempio al denaro.

È un’energia che crea attaccamento, sicuramente, ma è anche un’energia che crea soprattutto molta repulsione (una delle forme di attaccamento è quella di negare, e di respingere, ma è sempre una forma di attaccamento).

Se penso che quelli che hanno il denaro siano dei malfattori, o gente comunque maligna, io denaro non ne avrò mai.

Ma io però devo nutrirmi, devo vivere, quindi o faccio una scelta radicale come quella dei rinuncianti – che rinunciando a tutto rinunciano anche al denaro, ma vivono però in un contesto protetto come quello del convento, sovvenzionato magari da persone generose, e in cui sebbene tu viva in povertà, puoi comunque vivere – oppure il denaro serve.

Ma non c’è bisogno di accumularlo, accumularlo e accumularlo: prendine il tanto di cui hai bisogno, e guadagnane il tanto che ti serve.

Uno dei miei maestri di meditazione e di saggezza, era uno che aveva fatto una bella fortuna (insegnando il marketing, per l’altro): si chiamava Italo Cillo, una bellissima persona (anche criticata, per carità, tutti coloro che si espongono possono esserlo).

Io l’ho adorato.

C’erano dei punti su cui non eravamo d’accordo – e ne abbiamo anche parlato, con rispetto reciproco – ma mi ha insegnato davvero tanto; per esempio adesso sto preparando una cosa sull’aldilà, e mi ha offerto tantissimi spunti sul capire che cosa succede quando lasciamo il corpo, ma Italo mi ha offerto anche tanto altro.

E lui riusciva a conciliare benissimo il fatto di avere denaro – cosa che prima non aveva, ha fatto la fame una vita – senza essere attaccato al denaro: oggi c’è, domani non c’è, oggi non c’è, domani ci sarà.

Non è facile, soprattutto col denaro, ma è possibile: puoi averlo senza esserci attaccato.

E quindi, tornando all’esempio del partner, io posso anche amare senza attaccamento, ma poi, allo stesso tempo, io devo essere anche in grado di lasciarla andare.

E se dovesse amare qualcun altro – se è amore vero, e almeno nel caso della mia partner attuale è amore vero – io la posso amare comunque (poi per fortuna non succede, almeno per il momento: sono otto anni, ormai).

Guarda il video – Conoscere (ed evitare) gli attaccamenti

questo video è stato estrapolato da una sessione del Come Meditare Coaching qui trovi maggiori informazioni su questo servizio di sostegno nel tempo: http://www.comemeditarecoaching.it

qui trovi il corso “meditazione per indaffarati” 7 minuti al giorno per una vita serena e consapevole
www.meditazioneperindaffarati.it

 

2 risposte

  1. Mi piace sempre quello che ci onsegni e ci comunichi. Soprattutto il modo calmo in cui lo fai. Ci trasmetti calma. Cerco la pace fuori e dentro, ma è tanto difficile. Buona vita, Caterina

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *