Il Dilemma di Buddha: Comunicare la Saggezza Inafferrabile

Storia del Neo Buddha ovvero Che senso ha insegnare l’insegnabile?

in questo articolo scopri:

Guarda il Video – insegnare ciò che non può essere insegnato e la storia del Neo-Buddha

o continua a leggerne la trascrizione sotto:

La Domanda è questa:

Ma che senso ha, se tutto è all’interno dell’uno?
Il maestro è all’interno dell’uno, e anche l’allievo è all’interno dell’uno, e tutto è non duale.
Mi piace pensare che anche Buddha si è posto la stessa domanda, e volevo raccontare questa parte della sua vita.

Buddha – che ricordo, non era un dio, ma un essere umano

all’”anagrafe” si chiamava Siddharta Gautama, della tribù dei Sakya (e perciò detto anche Sakyamuni: “saggio dei Sakya”), e prima di diventare un Buddha, quando era ancora solo Siddharta, ha fatto un bel po’ di pratiche ascetiche, anche belle pesanti, fino a che ha scoperto la necessità di una via di mezzo che contempli un equilibrio in tutte le cose.

La Notte Sotto l’Albero della Bodhi

Ha passato allora una notte sotto un albero (chiamato anche albero della bodhi, cioè del “risveglio”) e, risoluto, si è detto: “Non mi alzo da qui finché non mi sarò risvegliato, realizzando la realtà ultima delle cose”.

Le Tentazioni di Buddha

Si siede quindi sotto l’albero e passa una nottata, oserei dire “infernale”, in cui viene tormentato da infinite tentazioni (mi fa venire in mente la vita di Gesù, quando nel deserto – prima di arrivare a Gerusalemme e accettare il suo destino – ha passato un periodo meditativo di quaranta giorni, dove ha avuto a che fare con il Diavolo tentatore).

Il Risveglio di Buddha

Le tentazioni che assalirono Buddha furono di ogni tipo: da quelle più sensuali, a quelle per il potere (perché una delle cose che ci separa dalla realtà ultima è la gestione di un potere: temporale però, appartenente alla dimensione duale, e quindi effimero); fino a che lui non riconosce tutte queste tentazioni, dalla prima fino all’ultima.

E l’ultima è: “Ma chi mi dice che ti sei veramente risvegliato?”
E qui Buddha tocca la terra, e dice: “La terra mi è testimone”.

La Missione di Buddha

Quindi finalmente Siddharta si risveglia in maniera chiara e definitiva, gli viene attribuito il nome di Buddha (“il risvegliato”), e lui se ne sta lì, pacifico (“in grazia di Dio” oseremmo dire), sotto quest’albero.
Se ne sta lì: semplicemente.
Ha realizzato la realtà ultima delle cose, ma come fai a definirla, come puoi descriverla?
E quindi si limitava a starsene lì (probabilmente, traducendo con le parole di Corrado, è possibile che si domandasse: “A che serve tutto questo? Insegnare? cosa lo faccio a fare?”).

resistenze di Buddha ad insegnareLa Chiamata Divina

Però venne a trovarlo un pensiero, sotto forma di un essere divino (potremmo anche definirlo “Angelo”), che gli disse: “È vero che hai realizzato tutte queste cose, ed è vero che sono intrasmissibili. Però, come ci sei arrivato tu, c’è molta altra gente che è vicinissima ad arrivarci, e ha solo un sottilissimo strato di polvere davanti agli occhi che gli impedisce di vedere la realtà ultima delle cose. E quel sottilissimo strato di polvere, tu glielo puoi levare: quindi vai e insegna”.

Il Viaggio di Buddha

E quindi che cosa fece Buddha, dopo giorni che se ne stava lì beato?
Si mise in cammino e si recò nel parco dove aveva lasciato i suoi compagni, quelli che facevano insieme a lui quella vita di rinunce e di grandi fatiche, anche corporee.

E loro non lo videro subito di buon grado: perché ai loro occhi, scegliendo una via di mezzo, si era allontanato, rinnegando la loro vita di rinunce, digiuni e sacrifici corporei; si era messo addirittura a mangiare una ciotola che gli era stata offerta.

Però, man mano che si avvicinavano a Buddha, si resero conto che c’era in lui come una luminescenza, una grazia: sembrava proprio un risvegliato.

E quindi i primi a cui trasmise il Dharma (la realtà ultima delle cose) furono proprio i suoi vecchi compagni asceti, che si risvegliarono in seguito al primo discorso di Buddha.

E quindi insegnare ha senso?

Da un certo punto di vista, non ha senso: considerato da un punto di vista non duale, il senso non c’è.
Ma dal punto di vista di chi sta immerso nella sofferenza, qualcuno che ti da una mano, ha senso eccome: per tirarti su, per aiutarti a vedere con chiarezza l’essenza delle cose. Eccome se ha senso: ti cambia la vita.

 

 

 

 

4 risposte

  1. Ciao Claudio, sei sempre illuminante con le tue parole! Ti ringrazio e ti auguro buon Natale.
    Ti lascio una mia poesia, nella quale non si trova la gioia del Natale, ma la riflessione sul bambino destinato alla croce.
    Grazie dell’attenzione e buone cose per la tua vita,
    Caterina

    NATALE

    Natale dolente
    dolcemente si avvicina
    mentre note stonate
    si armonizzano intorno.

    Ed è un filo spinato
    che circonda la fronte
    al Bambino beato
    che gli angeli osannano.

    Riviviamo nel rito
    ogni giorno la morte,
    ripetendo da sempre
    gesti sacri e solenni.

    Ma perdura la notte
    per il cieco che arranca
    e non trova spiraglio
    che rischiari la mente,
    quando il cuore è di pietra
    non vede il sentiero.

    Da L’0bliqua magia del tempo
    ed. Polistampa Firenze 1996

  2. La dottrina insegnata da Budda la trovo molto valida perché a mio modesto avviso è illuminata e utile da seguire nel momento dove la nostra mente ha bisogno di calma per meglio affrontare problemi di vita e quindi capire come risolverli.
    La grande differenza tra il buddhismo e il cristianesimo sta, a mio avviso, nel fatto che in momenti di necessità spirituale il buddhismo ci aiuta a risolvere i nostri problemi aiutandoci attraverso la meditazione a risolvere da noi stessi i vari problemi mentre nel cristianesimo chiediamo a. Dio di risolverli per nostro conto.
    Con la speranza di non avere commesso una idiozia mi farebbe piacere avere un commento su questo mio pensiero

    1. Ciao Aldo, nessun idiozia, anzi un parere prezioso quanto interessante quello che pone la tua riflessione.
      Personalmente non l’ho vissuta in questo modo forse perchè in me irecheggia, nella mia educazione cattolica la frase “aiutati che Dio t’aiuta”. Ma devo ammettere che nel buddhismo antico è molto vivo l’aspetto di lavoro su di sè a dispetto dell'”affidarsi”.
      Ma mi fai riflettere su come il buddhismo successivo, invece, similmente al cristianesimo, incentrandosi anch’esso più sulla genilezza, amore, e compassione ricorda un po’ di più l’aspetto cristiano dell’evocare, anche attraverso mantra e preghiere tale qualità

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