come meditare correttamente – equivoco 7: gli estremi e la via di mezzo
Nel retto sforzo abbiamo parlato della “via di mezzo”: cos’è esattamente questa via di mezzo?
La via di mezzo ci può essere utile per sviluppare cose come la presenza o la saggezza:
capire che le cose non sono mai agli estremi, ma nel giusto equilibrio (mi sembra una cosa molto saggia, non ci sarebbe quasi bisogno di dirlo).
C’è anche una bella storia raccontata dal Buddha storico.. Guarda il video o leggi la trascrizione sotto per saperne di più:
C’è una storia carina che voglio raccontarti, una storia successa a Buddha, o meglio a Siddharta:
ti ricordo che Buddha non era un dio, ma un essere umano come te e me; il nome Buddha significa “il risvegliato” ed indica quindi una qualità, una qualità potenzialmente presente anche in te o in me, e che quindi possiamo diventare dei Buddha noi stessi.
Cosa faceva Siddharta prima ancora di diventare il Buddha?
Faceva delle tecniche meditative veramente estreme come, per esempio, il non mangiare praticamente nulla: all’epoca si riteneva che per elevarsi non bisognasse dare retta per nulla ai bisogni del corpo;
lui però si rese conto che questo approccio non funzionava, perchè si rese conto che sarebbe morto prima di aver raggiunto lo scopo di tutti i suoi sacrifici.
Un giorno, mentre era in riva al fiume sotto un albero, nota che sta passando una barca con a bordo un liutaio (ovvero un fabbricante di liuti: degli strumenti musicali a corda) che spiega al suo allievo:
“Vedi, se lo strumento è troppo teso la corda non funziona e si spezza, mentre se la corda è troppo morbida non funziona lo stesso e stona: quindi, perchè ci sia un buon suono, è necessario trovare la giusta via di mezzo”.
Quando Buddha ha sentito queste cose ha realizzato che bisognava cambiare atteggiamento, e ha iniziato a sposare la via di mezzo.
Certo non ha iniziato a mangiare in maniera esagerata, ma ha iniziato a introdurre del cibo nella misura in cui poteva essere nutrito ma senza eccessi; di li a poco, avrebbe raggiunto l’illuminazione e si sarebbe chiamato Buddha.
Questo è collegato a un altro video in cui ti parlavo del retto sforzo, dove si parla della necessità di ritrovare la presenza con una qualità di richiamo alla presenza, cioè con un minimo di sforzo che, tuttavia, non bisogna trasformare in uno sforzo eccessivo;
senza necessità che mi venga il sangue alle tempie come se guidassi la macchina di notte mentre casco dal sonno, con tanto di occhi spalancati e iniettati di sangue: non è questo il tipo di sforzo richiesto in meditazione, ma di un richiamo costante e molto paziente alla presenza, un desiderio di presenza che qualcuno chiama “sforzo gioioso”.