MEDITARE NON È FARE

 Oggi parliamo di un altro equivoco che riguarda la meditazione: il fare.

Guarda il video – meditare non è fare

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Noi, nella vita di tutti i giorni, siamo abituati a fare, fare e ancora fare e, quando ci mettiamo a meditate, diciamo “adesso faccio una meditazione”: continua quindi un pochino il vizio di pensare che quel che andiamo a fare sia un qualcosa “da fare”.

Da un certo punto di vista è vero, mi siedo a meditare quindi qualcosa faccio, tuttavia quello che faccio quando medito ha molto poco a che spartire con ” il fare”, riguarda molto di più “l’essere”: quello che cerchiamo di realizzare meditando è l’essere presenti a noi stessi, l’osservare.

Cerchiamo di abbandonare ogni linea orizzontale: noi nell’orizzontale ci adeguiamo alla materia, facciamo cose per accumulare risultati, ricchezze, per aumentare quel senso di ego che ci serve per sopravvivere; mentre meditiamo invece cerchiamo di sviluppare un qualcosa che ha a che fare con una linea verticale: cerchiamo di contattare il semplice fatto di esistere, di percepire quello che avviene dentro di noi, meno immersi nel fare e più assorbiti dall’essere testimoni, vigili, consapevoli e presenti, di quello che stiamo sperimentando nel qui e ora.

La stragrande maggioranza delle domande e dei dubbi che mi arrivano nel “come meditare” e nel “come meditare coaching”, riguardano il fatto che uno ha delle aspettative (delle aspettative ho parlato in un altro video), ci si aspetta un risultato tangibile: in realtà il risultato è molto più profondo, molto più pervasivo, in quanto riguarda appunto l’essere e non il fare.

Questo stare nell’essere ci consentirà però proprio di “fare” una serie di azioni consapevoli, il cui risultato sarà molto più produttivo, illuminante e interessante.

Tuttavia quello che andiamo a fare in meditazione non ha delle aspettative; non mira a risultati tangibili da inseguire: questi ci saranno ma la meditazione non mira ad essi, riguarda la dimensione dell’essere.

Mi viene in mente un bel passaggio della bibbia dove Mosè sta sul monte per ricevere le tavole, vede un  cespuglio in fiamme e gli chiede: “Chi sei? Cerca di definirlo” e il cespuglio in fiamme risponde: “Non importa il nome: io sono colui che è”; “Ma allora come di definisco agli altri?” “Come colui che è!”: quindi, pura essenza, “essere”, l’essere nello stato più puro.

Quindi qualunque etichetta andiamo a mettere, ogni aspettativa, e ogni risultato che andiamo  che andiamo a cercare, altro non è che la costrizione di una esperienza molto più vasta che non può essere limitata da semplici etichette e aspettative: solo quando sei immerso nell’essere puoi raggiungere quell’enorme dimensione di spazietà che invece il fare ti riduce a un risultato specifico, invece della dimensione senza tempo e senza spazio dell’essere presenti a se stessi.

Ti ricordo anche che, quando siamo presenti nel qui e ora, è l’unico momento in cui possiamo realmente vivere: il futuro, quando arriverà, sarà un qui e ora e il passato, in un tempo anteriore, lo è stato anch’esso; il qui è ora è l’unica cosa che esiste, per chi vive nell’essere esiste soltanto il momento presente.

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