È normale avere pensieri insensati?
La domanda è questa:
“Ciao Claudio, volevo chiederti come mai in meditazione i miei pensieri sono spesso insensati e sconclusionati; spesso sconnessi con la quotidianità, quasi come sogni.
È normale?
Io intanto osservo e lascio andare”.
Ok: osservare e lasciare andare, è perfetto.
Però, attenzione, ci sono varie trappole in questa domanda.
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Contenuti
- la normalità non esiste (esiste per convenzione)
- La trappola delle Aspettative
- Questo respiro che stai facendo adesso è unico e prezioso
- La normalita di un essere speciale
- Quindi ricapitoliamo.
- il tranello dei “perchè”
- vedere il verde delle foglie
- Meditare significa viversi pienamente l’esperienza.
- Guarda il video – È normale avere pensieri insensati?
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la normalità non esiste (esiste per convenzione)
Intanto: è “normale” tra virgolette, del resto, cos’è la norma?
La norma esiste e non esiste: ovvero è vero che siamo tutti normali, e che nessuno di noi lo è.
Nel senso che ci sono delle cose che sono più consuete e che ce ne sono altre che lo sono meno.
le due menti
Diciamo così, dal punto di vista della dottrina meditativa buddista, noi abbiamo due menti. Lo stato naturale della nostra mente – quello, diciamo così, “normale” – dovrebbe essere quello in cui è vuota, pura, limpida, una mente sempre disponibile e mai distratta; questo è lo stato vero della nostra mente: un foglio bianco.
Poi, se vogliamo, la mente la orientiamo, e decidiamo per esempio cosa fare domani (quindi un pensiero orientato, non compulsivo), e possiamo esercitare questa nostra facoltà che, attenzione, non è comune a tutti gli animali: è una facoltà preziosa quella di avere una mente pensante.
E quindi, mi progetto cosa fare domani; lo scrivo sull’agenda, poi chiudo l’agenda, spengo il mio pensare, e sto in pace.
Questo è l’ideale, quello che “dovrebbe essere normale”.
il problema della mente che mente
Il problema, è che noi, nella stragrande maggioranza delle volte, stiamo con una mente “ordinaria”: che è quindi, a sua volta, la nostra mente normale, cioè nella norma, quella che viene utilizzata comunemente; e che è assolutamente una mente “che mente”, compulsiva, che ci infila di continuo in un susseguirsi incontrollato di pensieri.
E questo, ahimè, è normale.
Cioè, non dovrebbe essere normale, ma è normale: capita a tutti.
Ma questo… non è normale.
Spero di aver fatto evincere come la parola “normale” sia fuorviante (perché che cosa intendiamo con il temine normalità?).
Andiamo poi alla seconda trappola insita nella domanda iniziale.
La trappola delle Aspettative
Questa seconda trappola è: avere delle aspettative.
Io sto meditando, mi succedono delle cose, evidentemente penso che succedano soltanto a me, e mi chiedo: “Ma succederanno anche agli altri?; ”Qual è l’ideale”; “Cosa dovrebbe accadermi?”.
Questo ideale ci allontana assolutamente dal meditare, perché crea una aspettativa, una idealizzazione: quindi un quadro astratto, metafisico (che quindi non ha nessuna attinenza con quello che sta succedendo davvero nel qui e ora), che mi fa dire che in “meditazione dovrebbe succedere questo piuttosto che quell’altro”.
Quello che è normale per me nel qui e ora, non è normale per te nel qui e ora; quello che è normale per me nel qui e ora, sarà diverso da quello che sarà normale per me, sempre nel qui e ora, tra dieci minuti (perché cambiamo, e saremo diversi).
Noi, in meditazione, ci apriamo al qui e ora; e tutto quello che c’è nel qui e ora è “normale”: nel senso che, essendo un’esperienza soggettiva, e relativa all’adesso, e al qui, non può che essere quella.
Non può essere diversa da quella: è solo quella, e quindi non può aderire a un ideale.
Ed è qui che c’è la seconda trappola, nella tua domanda: stai cercando ci capire se, in meditazione, sia normale che succeda una certa cosa oppure no.
Certo che è normale, qualsiasi cosa – anche speciale – è normale; e nulla è normale: tutto è magicamente unico.
Questo respiro che stai facendo adesso è unico e prezioso
Quando io respiro, e osservo il mio respiro (un “normalissimo” respiro): che ha un suo inizio, un suo sviluppo una sua fine, nella fase dell’inspirazione, a cui segue una brevissima pausa, poi un inizio, uno sviluppo e una fine, nella fase dell’ispirazione, e una breve pausa; è un miracolo.
È normale, è uguale a tantissimi altri respiri, quasi identico, noiosamente normale; eppure è speciale.
Perché quel respiro è unico.
E quel respiro, in questo preciso momento; questo respiro; mi sta dando la vita: è meraviglioso, è prezioso.
Quando io aderisco a quello che mi succede nel qui e ora (qualunque esperienza sia, anche banalmente il respirare), è unico; è “normalmente” unico, e, allo stesso tempo, è speciale: unico, universale; e non potrà mai essere normale, dal momento che è unico.
Spero di aver reso l’idea del perché questa parola “normale” può indurci in errore.
La normalita di un essere speciale
Io sono cresciuto con un fratello, sordo, e per me è normale avere un fratello sordo; ma per quanti è normale avere un fratello sordo?
Mio fratello è speciale, per me lo è: ma solo perché è mio fratello, non perché è sordo.
Capisci come questa parola “normale” ci porta tanti tranelli?
Mio fratello, è normale; sotto certi profili è più normale di me (sotto molti profili).
E allo stesso tempo è speciale, è unico.
Ma anch’io sono unico.
Quindi dov’è la norma?
Nel fatto che siamo tutti diversi: questa è la norma.
Quindi non c’è una persona normale e una speciale, siamo tutti speciali; ed è questa la norma.
Siamo tutti speciali ed è questa la norma.
Analogamente, ogni esperienza nel qui e ora, è normale; ed è la norma, che sia speciale.
Visto che giochi ci parole?
Comunque, in questi paradossi, spero di riuscire a rendere il senso profondo del significato di stare nel qui e ora, e di quanto sia speciale questo momento, e di quanto sia, allo stesso tempo, normale.
Quindi ricapitoliamo.
È normale avere pensieri insensati?
Certo (e anche no).
il tranello dei “perchè”
E poi, sempre nella domanda: “Come mai i miei pensieri sono spesso insensati e sconclusionati”.
“Come mai”: il cercare un perché.
Il cercare un perché, è un qualcosa che ci spinge a cercare di etichettare l’esperienza (“Perché succede questo?”; “Perché succede quello?”)
A cosa servono i perché?
Certe volte “i perché non servono a un granché”; l’importante è che noi capiamo “come”: come stiamo al mondo.
Ed è una comprensione che, talvolta, è più radicata nel corpo e nell’anima, che non nella mente.
Perché cercare di capire i “perché” ci spinge nella concettualizzazione; e la concettualizzazione ci estranea dal sentire, ci porta nel mondo dei concetti, e ci estranea da quello che percepiamo nel qui e ora.
Quando io sono un tutt’uno (cioè quando il mondo dei concetti e la mia capacità di raziocinio sono rivolti all’interno, per utilizzare la mia facoltà di osservarmi, di percepire, di emozionarmi, e quindi di vivermi, il caleidoscopio di sensazioni che posso cogliere aderendo al fluire del qui e ora), ecco che, con il mio raziocinio a disposizione dell’esperire, io trovo la pace.
Trovo la pace, e realizzo la realtà, in una realizzazione che va al di là dei concetti.
Quando io cerco i perché, mi spingo nei concetti, e mi perdo la possibilità di esperire questa realtà.
Ti faccio un esempio, in modo da tradurre in esperienze vissute quello che sto dicendo, che altrimenti rimarrebbe concettuale, in quanto espresso solo verbalmente.
vedere il verde delle foglie
Spesso, poco dopo che qualcuno inizia a meditare (non dico le primissime esperienze, ma molto vicino ad esse), questo qualcuno viene da me e mi dice: “Claudio, sai che, da quando medito, quando vado in giro guardo gli alberi e vedo quanto sono verdi le foglie?”
Quando mi dicono questo, io capisco bene cosa vogliono dire.
Quando tu cominci a volgere lo sguardo a quello che sperimenti nel qui e ora, ogni esperienza è più viva, più presente; è più vera.
Non è che gli alberi prima di meditare non fossero verdi, è normale che lo fossero anche prima; e allora cosa c’è di speciale nel dirmi: “Sai Claudio che vedo gli alberi più verdi?”
Io capisco che c’è una maggiore connessione con l’osservare la realtà, stando davvero con l’esperienza del guardare il verde dell’albero: quel verde dell’albero diventa vero, incredibilmente vero, diventa incredibilmente vissuto; tu, sei incredibilmente vero, mentre ti vivi l’esperienza del guardare il verde dell’albero.
E questa è una differenza sostanziale: questa esperienza fa sì che quella cosa tu la realizzi sul serio.
Analogamente a questa esperienza del verde, ogni tanto qualcuno viene da me e mi dice di aver realizzato pienamente un qualcosa; magari è un concetto spiegato da tutte le religioni, come per esempio il concetto che ad essere compassionevoli si sta meglio: allora viene da me, e mi dice: “Ma lo sai che è proprio vero!”
Lo sapevamo già, tutte queste cosa a livello concettuale ce le hanno dette e ridette, le abbiamo imparate a memoria: concettualmente le sappiamo.
Ma quando le realizzi in prima persona, diventano un’altra cosa.
Se qualcuno ti dice che il limone è aspro, e qualcuno altro che il limone è dolce, non capisci; concettualmente lo capisci (uno non è stupido, sa cosa vuol dire dolce e sa cosa vuol dire aspro), ma lo realizzi davvero solo quando il limone lo assaggi tu.
Meditare significa viversi pienamente l’esperienza.
Meditare significa viversi pienamente l’esperienza.
Vivendo, in modo pieno, il qui e ora; e viverlo, significa che la mia capacità di discernere, di ragionare, è totalmente immersa nel mio vissuto, e non diventa una scusa per allontanarmi da esso.
Non dico che sia sbagliato chiedersi il perché delle cose, ma, focalizzandosi troppo su questo aspetto, c’è il rischio di allontanarsi dall’esperienza vissuta.
Non voglio però – con questo mio invito a vivere l’esperienza – mostrificare i perché, sto dicendo il contrario: che la mia capacità di discernere può essere usata a beneficio dell’adesso.
Spero di aver reso giustizia alla questione del momento dell’adesso, e a quella della ricerca degli ideali, dei perché e del “è normale o non è normale”.
Tutto è normale e tutto è speciale.
A dirla bene: tutto è speciale, non c’è nulla di normale e, il fatto che tutto sia normale, è speciale.
Credo di aver reso l’idea, anche se con un certo numero di ossimori e paradossi.
La realtà, quando la si guarda con gli occhi dell’esperienza, non è un qualcosa di dualistico: non può essere descritta, ma può essere soltanto vissuta; e ha la caratteristica di finire per cadere in contraddizione (caratteristica, appunto, della dimensione non duale).
Guarda il video – È normale avere pensieri insensati?
Per approfondire il livello di aderenza al “qui ed ora” consiglio uno di questi due corsi; il primo se non hai mai fatto vipassana o mindfulness, il secondo solo se invece sai bene di cosa si tratta e vuoi un corso speciale per consolidarne gli aspetti fondamenteli e portare questa consapevolezza “ad un altro livello”
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Grazie Claudio.
prego è un piacere
Molto interessante
mi fa piacere