Vipassana: l’Adesso senza perdere i tesori del passato e la programmazione del futuro
La domanda di Massimo:
“Se l’obbiettivo fondamentale della Vipassana è quello di vivere il presente – momento per momento – e tenuto conto che il passato è passato e che il futuro è ancora in là da venite, si creano nella mia mente ancora profana due contraddizioni.
Uno: il passato, ormai è accaduto, certo, nulla si può fare per cambiarlo: MA [scritto bello maiuscolo n.d.Claudio] porta un insegnamento con sé, e se ben elaborato diventa esperienza, che può in seguito essere valorizzata per evitare di rifare in futuro gli errori fatti.
Due: il futuro va, comunque, un minimo pianificato, e non parlo solo delle pianificazioni pratiche – tipo pianificazione di un viaggio o il proprio futuro professionale – ma anche se è meglio dire questo o quello a tizio, quando lo vedrò, oppure pensare a una strategia da seguire per questa o quella attività, che svolgerò tra X tempo.
Come suggerisci di conciliare questi aspetti?”
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Questa è una domanda classicissima, e il succo è:
se in Vipassana stiamo col momento presente… e il passato e il futuro?
Il passato è carico di informazioni preziose: dobbiamo farne tesoro.
E il futuro?
Come faccio a programmare la mia vita se vivo solo nel momento presente?
La risposta a questi interrogativi è molto semplice.
Intanto il passato è nel presente: quando io osservo il presente, osservo i miei acciacchi, le mie cicatrici, e le mie paure che sono legate al passato che ho avuto.
Quindi io, nel presente, ritrovo il passato.
Così come trovo anche il futuro: perché il futuro non sarà altro che la conseguenza delle mie azioni nell’adesso: quindi guarda cosa semini e capirai cosa raccoglierai.
Quindi se io faccio molta attenzione cosa faccio nell’adesso, e so che sto seminando le zucchine, so che molto facilmente raccoglierò le zucchine (non di certo peperoni, se non li ho seminati).
Se io semino buone azioni – anche se non è matematico – so che è assai facile che il mio cuore si apra e che sarò in vibrazioni positive; e quando farò azioni negative, il contrario.
Fa parte delle cose: più io sono attento a quello che faccio e più facilmente seminerò cose funzionali.
E più sarò distratto e meno accadrà.
Il problema è questo: “attenzione all’adesso”, non è pensare più al futuro, o al passato, o non pensarci: è la distrazione il problema (e adesso ci arriviamo, sto mettendo tana carne al fuoco, ma vedrai che tutto poi tornerà).
Finora il concetto è chiaro: se io sono presene a quello che faccio, il mio futuro sarà più consono a tutta questa attenzione che ho avuto nell’adesso.
L’altro giorno ho aperto un album di fotografie, e mi è piaciuto riguardare il passato; poi ho chiuso l’album, e mi sono riconcentrato sull’adesso.
Posso anche cercare di capire perché un’esperienza è andata in un modo e non in un altro, e mi può essere utile, nell’elaborarla, rivangare un po’ il passato.
E così anche programmare il futuro: cosa dirà quello, cosa farà quell’altro…
Però, per quanto io cerco di programmare il futuro, non lo so come andrà, non lo posso proprio sapere (posso prepararmi, ma saperlo davvero è impossibile).
Quando quel futuro verrà, allora sarà un presente, non un futuro; e quel presente mi offrirà una prospettiva a cui magari non avevo pensato.
Io sarò un pochino diverso, rispetto al momento in cui avevo avuto quel pensiero, quella persona a cui dovevo dire quella cosa, farà delle cose inaspettate, e quindi può darsi che quello a cui mi ero preparato non funzioni più.
Oppure sì: avevo delle opzioni, e adesso sono pronto.
Ma quand’è che sono pronto?
Quando ci sono: quando io, davanti a questa persona, sono presente a me stesso; non se io, con l’ansia, vado nel passato o nel futuro.
Il problema non è pensare deliberatamente al futuro o pensare deliberatamente al passato, è esserne schiavi: che la mente vada automaticamente a “Eh, ma se a quella persona avessi detto quello” oppure “Eh, ma se invece avessi fatto questo”; in un loop continuo, che ti fa perdere il momento presente.
Oppure al contrario: “Oh, se incontro quella persona gli dirò questo, questo e quest’altro, e poi gli dirò questo e quest’altro ancora”; e poi arriva quella persona, e tu se stanco perché ti sei abituato a ragionare su mille ipotesi, non si lucido, e nella stanchezza magari dici anche delle cose sbagliate.
Se invece io sono presente a me stesso, tutto cambia.
E quindi qual è la differenza?
Essere schiavi; o scegliere (scegliere di pensare, di programmare il futuro).
Diceva un bellissimo detto: “Programma la tua vita come se fosse eterna, e vivi ogni istante come se fosse l’ultimo”.
Quindi noi possiamo pensare al passato, possiamo pensare al futuro; finito il pensiero, dovremmo essere in grado di riportarci all’adesso, e di viverlo.
Qual è il problema?
È che, passivamente, i pensieri cominciano a portarci nel futuro o nel passato, rendendoci schiavi dei pensieri stessi.
Il pensare è l’unica cosa che possiamo fare nel passato e nel futuro, perché il passato e il futuro altrimenti non esistono – esistono solo nella mente, solo nelle fantasie – perché l’unico momento che esiste per davvero è solo l’adesso.
Quindi il pensiero, se sono io a usarlo proattivamente, va bene, poi chiudo il capitolo e mi riporto all’adesso; questo sarebbe l’ideale.
Il problema è che rendiamo una funzione preziosa un padrone, e rendiamo schiavo un padrone.
Si dice che i pensieri sono degli ottimi servitori ma dei pessimi padroni: il problema nasce lì, quando sono i pensieri a farla da padroni nella nostra vita.
Non c’è nulla di sbagliato nel pensare proattivamente al futuro o al passato, il problema è quando questo diventa un rimuginio continuo, che non ha soluzioni.
Una cosa classica dell’ansioso è: “E se mi dovesse capitare questo?”, “E se mi dovesse capitare quest’altro?”; e normalmente questo “se” che cos’è?
È la peggiore ipotesi che ci può venire in mente: e vogliamo essere pronti nella peggiore ipotesi.
C’era un bellissimo detto di Mark Twain: “Nella mia vita ho avuto tantissimi problemi, la maggior parte dei quali non si è mai verificato”.
Ed è così: la maggior parte dei nostri problemi, sono anticipazioni – quindi cose ipotetiche – di cose che magari non si verificheranno mai.
E ci consumiamo: ci perdiamo la vita.
Perché quando noi siamo distratti (vedi che torna, la distrazione) da questi pensieri – di cui diventiamo schiavi, mentre invece i pensieri dovrebbero essere solo dei servitori – ecco che ci perdiamo la vita.
Ci ritroviamo all’ultimo dei nostri giorni che la vita l’abbiamo vissuta solo in parte, perché in buona parte è stata solo il rimuginio di un mondo di fantasie.
Quindi il problema non è il pensiero in sé – non è l’uso proiettivo del pensiero nel passato e nel futuro, se è funzionale a noi stessi – ma l’esserne passivamente succubi in modo disfunzionale.
E la Vipassana ci aiuta – anche attraverso l’azione di Samatha, cui è legata – a ritrovare l’adesso e a essere consapevoli di quello che ci sta succedendo.
Attenzione, noi possiamo anche essere consapevoli del nostro rimuginio, anche il nostro pensare passivo può diventare oggetto di osservazione.
Solo che a quel punto succede la magia: da che io pensavo senza saperlo, ed ero quindi passivo rispetto al pensiero, quando comincio a accorgermene, sono di nuovo attivo; infatti il pensiero comincia a diventare piccolo e ad andarsene.
E il pensiero non lo trattengo – se vuole andar via se ne va via – ma lo osservo tranquillamente, senza cacciarlo.
Questo è quello che facciamo in Vipassana.
Stiamo con quello che c’è, qualsiasi cosa essa sia, senza cacciarla e senza trattenerla.
Credo proprio di averti risposto, e di avere sfatato questo dubbio.
Quindi, sì, il potere dell’adesso è enorme, e il pensiero, è vero, ci porta nel passato e nel futuro: ma non è sbagliato in sé, è funzionale, fintanto che lo adoperiamo noi.
Guarda il video – Vipassana: l’Adesso senza perdere i tesori del passato e la programmazione del futuro
questo video è stato estrapolato da una sessione del Come Meditare Coaching qui trovi maggiori informazioni su questo servizio di sostegno nel tempo: http://www.comemeditarecoaching.it
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