Meditazioni in movimento

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 Ci sono diverse tecniche di meditazione in movimento. Una, per esempio, è la meditazione camminata, ormai piuttosto conosciuta; un’altra è la meditazione dinamica di Osho; e anche la meditazione tantrica, sempre di Osho, è in movimento.

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Qual è lo scopo della meditazione in movimento?

Soprattutto per noi occidentali stare tanto tempo seduti non è un qualcosa che ci è molto familiare, ma il prestare attenzione ai movimenti è comunque una forma di meditazione.

Quindi il movimento diventa l’oggetto di meditazione.

Cos’è l’oggetto di meditazione?

Se quando sono seduto osservo il respiro, l’oggetto di meditazione, in quel caso, è il respiro; ma, se io sono in movimento, io osservo il movimento: osservo le sensazioni che derivano dal movimento stesso, come le sensazioni che mi derivano dai muscoli.

Per esempio, nella meditazione camminata quando cammino posso percepire le sensazioni della pianta dei piedi, quanto la faccio molto lentamente, ma posso sentire bene i muscoli, soprattutto quando la faccio in modo un po’ più veloce.

Nella meditazione camminata, se io cammino in modo veloce, sarà più difficile percepire le sensazioni a livello della pianta dei piedi; però potrai sentire che, a livello di tensioni muscolari, queste sono ben percepibili anche quando vai veloce.

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E quindi in tutte le meditazioni dinamiche è possibile percepire i muscoli.

Questo vuol dire che anche quando corriamo (o quando nuotiamo), e quindi saremo più distratti o eccitati dalla stessa corsa, sarà più difficile agganciarci all’oggetto delle sensazioni corporee, ma sarà comunque possibile.

E, ogni volta che ci viene in mente, è una buona occasione.

Non ti aspettare di riuscire a essere focalizzato al cento per cento come nella meditazione da seduti – e del resto nemmeno lì ci riusciamo sempre – e quindi autorizzati a essere un po’ più distratto, ma cerca di essere quantomeno attento al movimento.

Pratiche in movimento

Poi ci sono delle meditazioni vere e proprie, come il Tai Chi e il Chi Gong, che sono delle pratiche vere e proprie, in cui il movimento però è fatto in modo più lento; e questo ci permette di essere più presenti a noi stessi mentre facciamo il movimento.

Il movimento all’inizio è molto tecnico ma, man mano che lo si fa, diventa sempre più armonioso; un po’ come ballare il tango, a un certo punto anche la danza può diventare una meditazione, e, dopo un po’ che lo si fa, si entra in un flusso: un flusso molto simile a quello meditativo.

Thich Nath Hanh, questo meraviglioso monaco zen vietnamita che vive in Francia, ha elaborato dieci esercizi di consapevolezza; sono dieci movimenti aerobici, abbastanza simili a una forma molto semplificata di Tai Chi, che aiutano i monaci ad alternare le pratiche meditative.

Un monaco che sta seduto tanto tempo a meditare, ogni tanto ha bisogno di fare una meditazione camminata, e quindi, attraverso quello fare del movimento; oppure fare una passeggiata, cercando di essere presenti.

E quindi faccio una meditazione camminata e cerco di essere presente, perché è lo scopo della meditazione camminata; oppure faccio una passeggiata, e quindi il mio scopo non è più quello di meditare, ma approfitto della passeggiata per essere presente.

Alla fine il confine tra una passeggiata e una meditazione camminata, se faccio attenzione a quello che faccio, non è così marcato; è questo il bello.

Cambia un po’ l’intenzione.

Se medito la mia intenzione è quella di essere quanto più presente a me stesso, quanto più possibile; se passeggio, non è necessariamente così: quindi la differenza sta nell’intenzione.

Posso anche decidere di avere una certa volontà di essere presente anche mentre faccio la passeggiata, fermo restando che, se mi distraggo, sarò comunque più clemente con me stesso.

Torniamo ai dieci esercizi di consapevolezza.

Io – che non appartengo molto alla tradizione di Thich Nath Hanh e l’ho scoperta pian piano nel tempo – ho scoperto questi esercizi anche grazie al fatto che, quando andavo a portare la meditazione in carcere, lo facevo assieme ad altri insegnanti di meditazione, molti dei quali venivano dalla tradizione di Thich Nath Hanh.

Siccome la situazione dei carcerati era che spesso erano costretti a stare in tanti in una piccola cella e avevano poco spazio di movimento (alcuni di loro mi avevano detto che erano anche in sei, e che se quattro erano in piedi allora due erano costretti a stare a letto per motivi di spazio), allora avevamo pensato che obbligarli a stare seduti tanto tempo a meditare non era salutare, e quindi cercavamo di alternare la meditazione seduta con una in movimento; quindi qualche volta facevamo la camminata, e qualche altra volta facevamo sia la camminata che i dieci esercizi di consapevolezza.

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Alcuni mi chiedono se lo yoga è una forma di meditazione.

In realtà, sì.

Dal punto di vista originario lo yoga è tutto un lavoro di consapevolezza e, se fatto con quel fine, ecco che anche lo yoga è una meditazione in movimento; dove le asana, ovvero le varie posizioni che vado a fare, cerco di farle con presenza mentale e cerco di essere presente a me stesso per tutto il tempo in cui mantengo quella posizione.

È anche tutto un misurarmi: sono costretto a misurare quanto posso andare oltre, quanto posso fare in modo corretto quella posizione, e quanto ci riesco e quanto no.

E tutto questo richiede una presenza, richiede che io sia consapevole di me stesso, dei miei limiti e delle mie possibilità.

Quindi lo yoga è, di fatto, una meditazione a tutto tondo.

Tuttavia devo dire che in occidente – soprattutto da parte degli allievi, e gli istruttori tendono ad assecondarli – si tende soprattutto a fare una prestazione, una forma di ginnastica soft più che una meditazione.

E questo è un peccato, perché si perde la possibilità di essere presenti.

Però la presenza, in qualche modo, arriva dal fatto che sono costretto a misurarmi con i miei limiti; e quindi quello che esce dalla porta rientra dalla finestra.

Tuttavia se, riguardo all’aspetto meditativo, l’intenzione è salda e la visione è chiara, sia da parte dell’allievo che la fa sia da parte dell’insegnante che la propone, ecco che lo yoga ritorna in modo più efficace nel suo ruolo di esercizio meditativo.

Quindi anche lo yoga può, e dovrebbe essere, una forma di meditazione.

Lo ripeto: purtroppo in occidente è più difficile trovare un contesto che esalti l’aspetto meditativo rispetto alla prestanza fisica.

Però ci sono gli inseganti che lo fanno e, anche quelli che non hanno insegnanti che insistono troppo su questo aspetto, siccome sono costretti ad osservarsi, ecco che quello che non è stato coltivato in modo diretto avviene comunque in qualche modo.

Abbiamo quindi fatto una lunga carrellata sulla possibilità di meditare in movimento.

E possiamo aggiungere che il movimento ha come vantaggio – che qua e là ho già accennato – che è più facile, se ci alleniamo con la meditazione camminata, portare la nostra attenzione anche mentre passeggiamo, o anche quando vado dal parcheggio o dalla fermata dell’autobus al lavoro, o viceversa.

Quindi allenarci alla consapevolezza in movimento significa che sarò più attento quando lavo i piatti, o la macchina, o faccio le faccende di casa; diciamo che meditare in movimento mi permette di trasformare molte delle azioni, che altrimenti faremmo meccanicamente e senza pensarci, in vere e proprie meditazioni.

E questo io lo consiglio.

Anche perché, e chi mi conosce lo sa, io tendo a spingere tantissimo – ed è il succo della “meditazione per indaffarati” – a portare la presenza quanto più possibile durante il nostro quotidiano, cercando di evitare di lasciarla solo ai momenti in cui siamo seduti per meditare.

E quindi cercare quanto più possibile di ricordarci di noi, e di ricordarci di essere presenti nell’arco dell’intera giornata.

E sì, allenarci a fare la meditazione in movimento significa, di fatto, allenare tantissimo il risveglio: il ricordo di noi stessi.

Possiamo trasformare molti momenti persi della nostra giornata in occasioni di meditazione, profonda o lieve a seconda dei casi, ma comunque meditazione.

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