Cosa insegna la meditazione?

Questa è una domandona che si enuncia in poche parole ma che per quanto riguarda la risposta è estesissima.

I tesori che porta la meditazione sono immensi, eppure mi piace dire che non è la meditazione in sé a portarli.

Guarda il Video – Cosa insegna la meditazione

oppure continua a leggerne la trascrizione sotto:

Perché in fondo la meditazione insegna due cose: insegna a stare nel qui e ora, e quindi a trovare la pace, e insegna a sviluppare la presenza mentale, la consapevolezza; e questo apre ad altri tesori.

E quindi i tesori veri non sono tanto legati alla meditazione in sé, ma: alla pace – e quindi alla meditazione, alla mente calma (e perciò non in balia dei mille pensieri) – e alla consapevolezza.

Ciascuno di questi aspetti di cui stiamo parlando (ovvero in pratica Samatha e Vipassana, ovvero concentrazione e visione profonda), e che sono spesso legati assieme, portano a loro volta tutta una serie di innumerevoli tesori e di insegnamenti.

Proviamo ad accennarne qualcuno di quelli che mi vengono in mente adesso.

Calmare la mente, anzitutto, ci permette di trovare la pace: la pace oltre le paure.

Spesso infatti siamo in ansia – specie con i pensieri riguardo al futuro – e cresce la nostra eccitazione, e quindi la brama e i desideri, ma crescono anche le paure, perché il futuro è incerto; e ci perdiamo l’adesso, mentre invece è proprio nell’adesso che possiamo trovare la pace.

Con la calma, e quindi con la meditazione di focalizzazione, noi ritroviamo l’adesso e troviamo la pace; e si sciolgono le paure.

Grazie alla calma che troviamo, sciogliamo anche la rabbia; la rabbia è un’altra emozione primaria, e ha molto a che fare con la paura, in realtà.

Rimuginando possiamo riprendere molte esperienze dl passato, che ci hanno frustrato, e tutte queste frustrazioni, questa rabbia, queste paure non trovano più alimento se la nostra mente è focalizzata nell’adesso; e quindi si superano paure, rabbia, ansia e quant’altro.

Poi ci permette di stare nell’adesso, di accoglierlo; per stare nell’adesso abbiamo bisogno di essere accoglienti rispetto a quello che, nel qui e ora, sta accadendo dentro di noi.

E accogliere anche la nostra stessa difficoltà a rimanere focalizzati, perché possiamo anche notare di quanto la mente vaga, riportandosi nel passato o andando verso il futuro.

E tutto questo (e tanto altro) può essere accolto.

E accogliere ci permette di fare già un passettino un po’ più avanti, di aprirci all’esperienza di adesso e di entrare in visione profonda, in consapevolezza e presenza mentale.

Con la presenza mentale – ovvero guardando con la presenza, la calma e la pace guadagnate in precedenza con la calma della mente – gli insegnamenti che arrivano sono ad un livello superiore.

Intanto guardiamo la realtà per quello che è, ed è un’esperienza bellissima: è come guardare in un caleidoscopio che si muove in continuazione, e che ci offre figure, immagini e colori sempre diversi.

Certo, vorremmo fermare alcune di queste immagini (o cacciare via quelle che non ci piacciono), ma lasciando che tutto scorra, e rimanendo nell’esperienza dell’osservatore, tutto è meraviglioso.

La consapevolezza che deriva dalla meditazione ci insegna a portare la luce dove prima c’erano le tenebre, e questa non è una cosa da poco; la luce scioglie tutto.

Immagina due stanze, una buia e una con la luce, e che si apra una porta: quella con la luce non viene disturbata dalla porta aperta; mentre in quella che era al buio, quando si spalanca una porta entra la luce, tutto può essere visto, anche le tenebre possono essere osservate e possiamo conoscere noi stessi sempre più in profondità.

Quindi ecco un altro insegnamento della meditazione di consapevolezza: scoprire noi stessi.

Avere degli insight, delle esperienze profonde di noi stessi e capire certi meccanismi della nostra mente, capire i meccanismi di noi stessi ed essere più egosintonici, ovvero più in armonia con noi stessi.

E poi, una volta che sviluppiamo questa qualità dell’attenzione e della presenza mentale, possiamo anche osservare – sebbene il nostro campo di osservazione sia interno – come noi funzioniamo nell’ambiente, come siamo in relazione con gli altri esseri e con il mondo intero; e quindi incominciamo a capire la realtà e suoi meccanismi: l’essenza delle cose.

E questa comprensione la realizziamo non solo cognitivamente, perché la consapevolezza ha questo aspetto: di mettere in comunicazione le sensazioni, il percepire, con l’aspetto cognitivo; è come creare dei link con la profondità del nostro hard disk (col nostro inconscio quindi, che è la gran parte del nostro essere – in proporzione qualcosa come, a grandi linee, il 93% contro un 7% di conscio).

Quindi, dicevo, si creano delle connessioni con il nostro inconscio: è come mettere dei link sul desktop che ti rimandano a certi file che altrimenti sarebbero persi nelle profondità dell’hard disk del tuo computer.

Con la consapevolezza, diventano perciò accessibili delle zone di te stesso che prima non lo erano; e mano a mano che ti apri a come funzioni all’interno del mondo, anche il mondo – che ha anch’esso le sue regole – può essere appreso grazie a questo lavoro.

Noi utilizziamo in media solo il 10% delle nostre facoltà mentali – e in realtà anche meno, e ci fermiamo intorno al 6/7% –  e alcune persone eccezionali riescono a utilizzarne un po’ di più (si dice che Einstein ne usasse il 12%), ma pensa a cosa sarebbe utilizzarne il 20% o addirittura il 50%: potremmo fare miracoli, o che almeno a noi potrebbero apparire tali, sebbene magari possano semplicemente essere delle facoltà che abbiamo, ma che non usiamo perché non sappiamo di averle.

Però ci sono dei monaci che certe cose, che sembrano incredibili ai nostri occhi, riescono a farle, e per loro sono cose normali; ma non è che fanno cose innaturali, al contrario, è la loro connessione con la realtà che permette loro di capire com’è che la realtà funziona davvero.

Ma soprattutto quello che mi piace pensare che possa accadere – anche perché queste cose non necessariamente accadono, e non sono neanche importanti – è che, quando tu vedi tutta questa meraviglia, e c’è tutta questa accoglienza, il cuore si apre: e c’è spazio per amare.

Anche perché quando siamo nella paura, nell’ansia, nella rabbia, nella tristezza il nostro cuore tende a chiudersi; perché abbiamo bisogno di proteggerci, e quindi ci chiudiamo (anche fisicamente, ci inarchiamo), e tendiamo perciò a mettere una corazza sul cuore.

Ma quando aderiamo sempre di più alla realtà, dando meno retta a questo rimuginare di pensieri continuo, e stiamo con l’essenza delle cose permettendo loro di apparire per quello che sono davvero, vediamo la bellezza di come funzioniamo.

Io ogni tanto mi sento ridicolo quando mi accorgo di un susseguirsi di pensieri, mi vien da ridere: è come se guardassi paperino, che è buffo, che si arrabbia, che lotta, che ha paura. E mi fa tenerezza.

Mi faccio tenerezza.

E questa tenerezza è già un cuore che si apre.

E quando vedi quanto siamo meschini, arrabbiati, paurosi – e per paura o per rabbia magari facciamo anche delle brutte azioni – e oltre alle nostre azioni vedi le azioni del mondo, anche le più brutte, tendi a comprenderle di più.

E allora dove prima vedevi tanta bruttezza e tanta meschinità, cominci, non a vedere meno questa meschinità, ma a comprenderne meglio i meccanismi.

Quando ti accordi di essere immerso in un mondo, e lo accogli senza giudicarlo e permettendo a ciascuno di fare il suo, tutto diventa bellissimo, e il cuore si apre.

E quando il cuore si apre c’è sempre meno spazio per la paura e la rabbia.

Quindi cosa insegna la meditazione?

Insegna a stare meglio.

Ma la meditazione, da sola, fa poco: è solo una tecnica.

Quello che conta davvero è avere una mente più lucida possibile (nella misura in cui ci riesci), e la consapevolezza: la consapevolezza è davvero potente.

Gli insegnamenti che arrivano dalla meditazione, o dai derivati della meditazione, sono immensi, e come vedi spaziano da una maggiore comprensione psicologica a una maggiore armonia e amorevolezza.

Non è un caso se in tutte le tradizioni, chi più chi meno, c’è la tendenza a meditare.

Mi viene in mente Gesù, che si è isolato per quaranta giorni nel deserto; o Padre Pio che dice: “Chi non medita è come colui che non si specchia mai”.

Ecco, rispecchiare, guardare alle cose così come sono, senza cercare di sovrapporre schemi mentali.

Gli schemi mentali sono solo fantasie o idealizzazioni, che spesso guardano al passato, oppure ci sono stati inculcati da qualcuno, o è la società che tende a farceli avere.

Quando invece stiamo con le cose così come sono, è tutto bellissimo; o meglio: è tutto quello che è, e non è sempre tutto “bellissimo”, ma riuscire a vedere le cose così come sono – quelle belle e quelle brutte – ci apre a un’altra dimensione.

Le cose brutte rimangono brutte (quando vedi le cose così come sono, non è che puoi dire che certe cose sono “belle”), ma vedere, ad un’altra dimensione, il bello e il brutto – e come giocano insieme – è bello.

Quindi è un’altra dimensione.

E il brutto rimane brutto (anche se poi è soggettivo: quello che è brutto per me magari per altri è bello, e viceversa).

Nella vita gli altri e i bassi ci sono, e i bassi possono essere spiacevoli, ma vedere la danza della vita negli alti e bassi ci permette di avere uno sguardo ancora più esterno, che è anche allo stesso tempo uno sguardo interno (perché ci siamo dentro); però questo sguardo esterno ci permette di danzare, all’interno, in modo più armonioso (e siamo più felici).

Mi rendo conto che era una domanda “alta” e mi ha obbligato a dare una risposta non filologica, in apparenza; spero però di aver reso l’essenza, altrettanto elevata, che questa domanda mi ha costretto a dare.

 

 

 

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