Cosa si può raggiungere con la meditazione?

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 Mi rendo conto che ci sono grandi aspettative.

Ebbene, nonostante non sia utile avere delle aspettative, la meditazione, in generale, può superare qualunque aspettativa.

Le realizzazioni che si possono raggiungere con la meditazione sono infinite.

Perché?

Perché noi usiamo soltanto il 10% delle nostre capacità mentali (anzi in realtà anche meno: tra il 6 e il 12%, ma di fatto ci attestiamo più vicino al 6 che al 10 o al12), immagina cosa può significare raddoppiare le nostre capacità mentali.

Cosa significa arrivare al 20%, al 50%; e non oso immaginare cosa significa arrivare al 100% delle nostre capacità mentali.

Sant’Agostino diceva che i miracoli non sono veri miracoli, in realtà sono in ordine con le cose naturali.

In passato poteva essere considerato miracoloso un fulmine, poi, quando scopri come funzionano davvero i meccanismi, cessa di esserlo.

Può essere miracoloso un aereo; o una carrozza che si muove senza cavalli: un’automobile.

È chiaro che è miracoloso quello che non è consueto, che non è conosciuto.

Ma tutto ciò che si verifica in natura, evidentemente, ha dietro delle leggi naturali.

E quindi, dicevo prima, non riesco a immaginare tutto quello che si possa ottenere.

Per esempio, ci sono delle persone che fanno la meditazione semplicemente per sviluppare le proprie capacità nell’ambito delle arti marziali, e questo va benissimo; quindi lo spettro in cui muoversi con la meditazione, potenzialmente, potrebbe essere infinito.

Tuttavia, a me piace rimanere con i piedi per terra.

Le tecniche di meditazione che consiglio hanno prevalentemente due effetti.

Uno è quello di focalizzare maggiormente la nostra attenzione: normalmente la nostra attenzione è dispersa in mille pensieri, e quindi la tecnica di focalizzazione ha bisogno di un oggetto su cui portare la nostra attenzione – come il respiro, o un mantra – e consiste nell’assorbimento della nostra attenzione prevalentemente su questo oggetto.

Questo tipo di meditazione aiuta ad avere meno ansia, meno preoccupazioni, a dare meno retta ai pensieri, a stare più sereni, a una profonda connessione con un senso di pace interiore che produce pace e tranquillità; e una mente più focalizzata: più limpida, più lucida.

E questo, direi, pur restando in ambito molto semplice, a me sembrano già degli ottimi risultati.

Tuttavia la meditazione che prediligo, pur facendo riferimento a quella precedente, è quella di consapevolezza: la Vipassana.

O la Mindfulness, che comunque deriva dalla Vipassana; io però preferisco attingere direttamente alle origini, e quindi parlare di Vipassana (che significa “Visione profonda”).

La meditazione di consapevolezza sviluppa la consapevolezza: ecco, la consapevolezza è la chiave che apre poi tutto il resto; se deve aprire il resto.

Poi tornerò sui cosiddetti “miracoli, la cui ricerca comunque sconsiglio: rimaniamo pratici.

Sviluppare la tranquillità è fondamentale, ma sviluppare anche la consapevolezza è ancora più fondamentale: ci permette di conoscerci più a fondo, e di aprire gli occhi alla nostra vera natura.

Di aprire gli occhi alle cose così come sono: aprire gli occhi alla nostra vera natura, a come siamo e a come ci comportiamo immersi nel mondo; a come funzioniamo noi e a come funziona il mondo, quindi.

Noi normalmente non siamo consapevoli, perché viviamo immersi in un mondo di pensieri e fantasticherie: la mente va nel futuro, con un carico di ansie e di affanni; o va nel passato, con un carico di recriminazioni, tristezza e sensi di colpa.

E ci perdiamo l’unico momento in cui siamo veramente vivi, e che è anche il momento in cui troviamo la serenità: che è l’adesso.

Aderire all’adesso in realtà è molto semplice, ma purtroppo è anche molto facile smettere di farlo (e quindi è facile ritrovarsi, ma è anche altrettanto facile perdersi).

La consapevolezza consiste nello stare con le cose così come sono, senza sovrastrutture mentali: questa è la consapevolezza.

Mangio: sono pianamente presente a cosa sto mangiando, quello che mangio diventa più vero, più vivo, più intenso; la mia vita, diventa più vera, più viva, più intensa.

Ogni volta che entro a contatto con un episodio della mia vita, me lo vivo pienamente: significa viversi appieno la vita, significa essere davvero consapevole di quello che fai, momento per momento, o almeno cercare di accendere più momenti possibili togliendoli dalle tenebre oscuranti dei pensieri (che comunque incombono e ci distraggono, e distraggono anche chi, come me, medita da tanti anni, figuriamoci che sta cominciando a meditare).

Senza creare delle false aspettative, basta cercare di creare momenti di tranquillità, e momenti di consapevolezza in più rispetto a quelli del giorno prima, ogni giorno un attimino in più.

È vero che dopo anni la mia mente tende ancora a farmi distrarre, ma io non tornerei indietro.

Ogni istante guadagnato di maggiore attenzione è un istante di vita più vividamente vissuto, e questo è quello che io mi auspico.

Questo è il vero “potere” (diciamo pure così) che io vorrei realizzare, e che auspico anche tutti gli altri possano realizzare, anche grazie alla meditazione.

La consapevolezza quindi, innanzitutto.

Cronologicamente – in ordine di apparizione – viene prima la pace, ma la consapevolezza è il valore aggiunto, l’elemento cardine da cui dipende poi tutto il resto.

Cos’è questo “tutto il resto”?

Torniamo un attimo al discorso dei “miracoli”.

Nell’ambito della meditazione buddista si parla di poteri (o capacità) dette “siddi”, e queste siddi sono un qualcosa che può essere acquisito.

Ci sono dei monaci, per esempio, che levitano.

Io non li ho mai visti fare cose simili, ma ci sono amici di amici – quindi per via indiretta, ma le testimonianze sono davvero tante – che giurano di averli visti imprimere l’impronta della mano in una roccia.

Un buon monaco però non cerca queste cose.

Lo stesso Buddha metteva in guardia dal cercare di ottenere capacità del genere (a che serve levitare o imprimere l’impronta in una roccia?)

Sono cose che non servono a nulla in questa vita, in cui siamo qui, siamo adesso, e siamo immersi nella sofferenza.

Quello che è utile è andare oltre la sofferenza.

E allora sì, la tranquillità che sviluppa la meditazione di focalizzazione, e la meditazione profonda che sviluppa la Vipassana (o la Mindfulness), sono queste le cose che fanno la differenza.

Queste sono le cose veramente utili, volendo rimanere terra terra (e io esorto chi fa meditazione a rimanere terra terra).

Se poi meditando uno riesce a levitare, buon per lui, ma se tu ti approcci alla meditazione con lo scopo di voler levitare, forse è meglio che fai altro.

Io consiglio di meditare per aderire meglio alla realtà, per aprire di più il cuore.

Il cercare di ottenere dei poteri, mi fa pensare a Guerre Stellari.

In Guerre Stellari lo dicono benissimo, ci sono due approcci alla forza.

L’approccio dell’amore, dell’aiutare il prossimo, dell’aderire alla realtà che ci circonda, di aprirci all’intelligenza emotiva e quindi anche alla percezione, sono tutte cose che vanno benissimo; ma cercare i poteri, fa parte del “lato oscuro delle forza”: lo dicono chiaramente nei film di Guerre Stellari.

E secondo me non è un caso.

Perché è vero: se noi cerchiamo di ottenere una particolare capacità, la meditazione non è lo strumento giusto; davvero, te lo sconsiglio.

La stragrande maggioranza delle persone che meditano che io conosco – e io primo fra tutti – fanno già una grande fatica a rimanere focalizzati, a non avere mille pensieri e a ritrovare la pace interiore.

È già faticoso questo, e non è certo scontato.

Lavoriamo su questo: è questo quello che conta.

Buddha suggeriva di praticare per l’ottenimento di questo: della liberazione dalla sofferenza.

Il Nirvana.

Il Nirvana non è un luogo diverso da questo qui e ora, è proprio questo qui e ora, ed è la liberazione dalla sofferenza.

Questo è quello che conta, ed è alla portata di chiunque.

E non c’è bisogno di fare chissà quali cose.

Rimaniamo con i piedi per terra e cerchiamo la pace, qui e ora.

Buddha, in un sutra sui fondamentali della consapevolezza su cui sto lavorando (sto facendo un corso di approfondimento sulla Vipassana, che si basa su tante meditazioni che Buddha suggeriva di fare per radicare le fondamenta della consapevolezza), asseriva che chi pratica secondo questi fondamentali può aspettarsi due cose.

Il risveglio qui e ora, quindi la cessazione della sofferenza, qui e ora; oppure, se dovessero persistere dei residui karmici di attaccamento, può aspettarsi comunque il risveglio nel momento in cui lascia il corpo e passa a “miglior vita” (e passa quindi veramente a miglior vita, in modo definitivo, senza dover rinascere nella sofferenza).

Bello no?

E tutto questo con esercizi per sviluppare la consapevolezza.

Tutto ciò che aiuta a radicacare la consapevolezza è, dal mio punto di vista, bene accetto.

E quindi, cosa aspettarsi dalla meditazione?

Tante cose.

Ma cerca la tranquillità, e quando hai trovato un attimo (passeggero) di tranquillità, cerca la consapevolezza.

Perché è la consapevolezza che fa la differenza.

È proprio grazie alla consapevolezza che noi aderiamo alle cose così come sono, e sviluppiamo la capacità di stare con i fenomeni del mondo.

E quindi, paradossalmente, è proprio la consapevolezza che potrebbe anche aprire ad altre strade.

Ma è già in bel lavoro quello di lavorare sulla consapevolezza, e invito caldamente a stare con i piedi per terra e a stare quanto più possibile con le cose così come sono.

Le cose così come sono.

 

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