Essere nella piacevolezza dell’esperienza
Dice Margherita:
“Ciao Claudio, ultimamente mi succede di avere intervalli abbastanza lunghi in cui non penso, perché osservo l’interno del mio corpo vibrare, ed essendo piacevole e divertente sto là e basta.”
Che bella esperienza Margherita.
Questo è quello che siamo chiamati a fare: non a “fare”, ma a essere.
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Essere un tutt’uno col corpo, col vissuto, col pensare, con l’ascoltare.
Proprio come spiegò Buddha a Bahya, un uomo che gli chiese come raggiungere l’illuminazione, e che la raggiunse in un attimo dopo la risposta.
Poco dopo Bahya morì, sulla strada del ritorno; e allora Buddha disse ai suoi allievi di raccoglierne il corpo e di metterlo tra gli esseri illuminati, suscitando lo stupore degli allievi stessi, che non capivano come fosse possibile diventare un essere illuminato per il solo fatto di aver realizzato la risposta alla sua domanda.
La risposta del Buddha era stata questa: “Stai solo col sentire, stai solo col vedere, stai solo col pensare; visto che non esiste altro che essere un tutt’uno col sentire, col vedere e col pensare, (col fare e lo sbrigare), non c’è più nessun io, non c’è nessun Bahya. Chi sei tu, se c’è solo il pensare? In realtà non c’è nessuno: c’è solo Essere.”
Tornando alla domanda di Margherita, continua così:
“Non riesco a spiegarlo meglio di così; ma cosa dici, va bene? Non posso dire di essere concentrata, sono come un bambino al luna park.”
È bellissimo Margherita: questa è l’esperienza mistica.
Stare.
Non ti preoccupare, goditelo.
Poi l’importante è tornare con i piedi per terra; ma del resto hai dei figli, che ti obbligano a restare con i piedi per terra.
Di fatto, non smetti di stare con i piedi per terra.
Il risvegliato sta in questa condizione mistica spesso: stando in quello che c’è, ed è bellissimo.
Veniamo poi a Roger, che dice:
“Ti sto ascoltando.
Importante quello che hai spiegato sulla consapevolezza e quello che c’è.
È sempre più rapido rivolgermi al respiro.”
Ottimo, Roger, sono fiero di te.
Questo è quello che siamo invitati a fare: ad avere pazienza, a riportarci al respiro, ad avere fiducia che grazie al respiro ritroviamo l’adesso; e grazie all’adesso è più facile ritrovare quella dimensione di essere, e di essere un tutt’uno con l’esperire l’adesso.
È questo che ci dà la pace.
Se anche nell’adesso ci fosse ansia, esperire l’adesso ci riporta in una dimensione dell’essere, anziché di cedere alla tentazione del fare.
La tentazione del fare è una linea orizzontale: facciamo, facciamo, accumuliamo e facciamo.
L’essere è una linea verticale, che ci porta in un istante dalla terra al cielo.
La croce ha una valenza di questo tipo.
E, guarda caso, il crocevia – la chiave che ci porta in un attimo dalla dimensione orizzontarle a quella verticale – è il cuore: perché nel cuore c’è la capacità di accogliere l’esperienza, e accogliendo l’esperienza – perché la capacità del cuore è accogliente – ci ritroviamo ad esperire in un attimo.
E ritrovandoci ad esperire in un attimo siamo di nuovo nella dimensione dell’essere.
E quindi possiamo viverci anche delle esperienze più o meno mistiche, e più o meno lunghe: questa presenza può durare un attimo, può durare dieci minuti o giornate intere; e quando la proviamo a lungo, può essere anche molto estatica.
Che poi queste sono le esperienze mistiche.
Qual è la differenza tra il mistico e il teorico?
Che il mistico vive l’esperienza, è un tutt’uno con l’essere.
Il teorico, teorizza: sono pensieri, aspetti cognitivi.
Che non sono sbagliati in senso assoluto, purché siano al servizio dell’essere.
Gli aspetti cognitivi ci danno delle mappe, che ci orientano; io sto usando delle parole con voi, queste parole spesso sono di supporto perché ci aiutano a sostenere una pratica, ma poi è la pratica che porta all’esperienza.
Lo ripeto.
La teoria aiuta la pratica, è come avere una mappa di una città.
Questo è un esempio che faccio spesso e volentieri: io ho una mappa di Parigi, e questo mi aiuta a muovermi dentro Parigi meglio, quindi l’esperienza che ho di Parigi può essere più intensa, più veloce ed efficace; mi godo più particolari se ho una mappa della città.
Tuttavia l’esperienza non è la mappa in sé.
Se devo scegliere tra stare a Parigi senza una mappa e studiarmi la mappa dentro casa senza muovermi, tu cosa sceglieresti?
Di stare a Parigi, perché l’esperienza è là, non nella mappa.
Però avere la mappa, e muoversi a Parigi: bingo.
Questo è in pratica quello che stiamo facendo qua: stiamo condividendo delle parole – che sono mappe della realtà e non l’esperienza reale – ma è l’esperienza che la fa da padrona.
E quindi, il mistico conosce per esperienza.
Poi magari si appoggia a delle parole per poter arrivare a quell’esperienza, ma non litiga sui concetti, perché sa per esperienza che le parole e i concetti possono essere fallaci, e quindi si può litigare sulle definizioni.
Un altro esempio che faccio spesso, per far capire quando è importante essere nell’esperienza (e la differenza con il teorizzarla soltanto), è l’esempio di uno che dice – perché ne ha fatto esperienza – che il limone è aspro; poi arriva un altro – che ne ha fatto esperienza anche lui – che ti dice che il limone è dolce.
Se tu rimani nella teoria, non capisci.
C’è una marea di gente che litiga, perché si schiera: “Io mi fido di quello che mi dice che è dolce”; “No, io mi fido di quello he mi dice che è aspro”; “Se è uno non può essere anche l’altro”.
Chi ha fatto esperienza del limone capisce che cosa vuol dire quando uno dice che è dolce e che cosa vuol dire quando uno dice che è aspro; uno, a seconda della propria esperienza, può pensare che sia più dolce che aspro, ma non litiga più sulle definizioni: capisce benissimo sia l’una che l’altra cosa.
Questo è quello che permette a mistici come San Francesco di capire benissimo il feroce Saladino, e di andare, in piena crociata, nella sua tenda, passare una notte nella tenda del Saladino – dopo aver attraversato le linee nemiche, passando dai cristiani ai mussulmani – e di ritornare nell’accampamento dei cristiani, indenne, dopo aver passato una piacevole notte a parlare col cosiddetto feroce Saladino.
I mistici sono pacifici, non c’è bisogno di fare le guerre.
I mistici non si perdono nelle definizioni, la definizione di Dio è solo una definizione: sono parole.
Cosa c’è dietro le parole solo i mistici lo sanno.
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