MINDFULNESS VS VIPASSANA
“Ciao Claudio, secondo te è meglio la Mindfulness o la Vipassana?
So che non c’è molta differenza, ma se dovessi scegliere tra le due?
E perché una a discapito dell’altra?
Grazie.”
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In effetti non c’è tutta questa differenza: la Mindfulness viene dalla Vipassana, nel senso che l’ha sintetizzata Kabat-Zinn e ne ha brevettato un protocollo che, in fondo, si basa sulla Vipassana.
Dal punto di vista pratico cambia molto poco.
Perché scegliere?
Alla fine si svolgono nello stesso modo: è una questione di pura speculazione il doverne scegliere una a discapito dell’altra.
Però ti rispondo lo stesso e ti do anche delle motivazioni per cui io sceglierei una rispetto all’altra.
Io sceglierei la Vipassana, per due motivi principali:
uno perché è la più antica, sta a monte; perché andare a valle se c’è già a monte un qualcosa che per millenni ha dimostrato di funzionare?
Io quindi farei quella, anche se poi sono talmente poche le differenze che sostanzialmente non ci sono neanche.
C’è poi un secondo motivo ed è questo, forse, a fare un pochino la differenza: la Vipassana è stata tramandata per millenni da allievo e maestro, perlopiù monaci, ed era raro che venisse tramandata in modo laico; il mio stesso maestro è stato un monaco theravada per diciotto anni.
Se andiamo a vedere i nomi, il mio maestro si chiama ajhan Tanavaro, Mario Tanavaro ora che si è smonacato, ma il titolo rimane (ajhan=venerabile); il suo maestro è ajhan Sumedho; e il maestro del maestro del mio maestro è ajhan Chah: ajhan Chah (che ha lasciato il corpo nel 1992) è un personaggio molto amato in Tailandia, un pò come noi amiamo e veneriamo Padre Pio per intenderci; infine, se noi andiamo ancora a ritroso, torniamo fino ai tempi del Buddha.
Ci sono delle regole da rispettare prima che un monaco possa insegnare, e deve essere il suo maestro a dirglielo.
Per quanto riguarda me è stato proprio il mio maestro a invogliarmi ad andare a insegnare in carcere, e poi ho visto che apprezza e condivide quello che faccio: in qualche modo mi ha autorizzato a insegnare (un giorno gliel’ho proprio chiesto esplicitamente perché ne sentivo il bisogno).
Ti assicuro che sono passati molti anni da quando ho cominciato a praticare la meditazione a quando ho cominciato a insegnarla.
Con la Mindfulness non è così.
Con la Mindfulness tu puoi ricevere un attestato in cui sei autorizzato a insegnare dopo solo un anno di corso in cui dichiari di avere meditato anche a casa (lo dichiari ma non è che qualcuno è venuto a controllare): diciamo che è un bel po’ più facile diventare un maestro di Mindfulness rispetto a quanto non sia diventare un maestro di Vipassana.
Questa differenza dovrebbe garantire un poco di più chi va ad imparare una cosa rispetto a un’altra.
E poi c’è un’altra differenza sostanziale, come ricorda una persona che stimo e che insegna anche lui meditazione, ovvero: il concetto di Mindfulness (parola inglese che significa “mente pianamente presente in quello che fai”), se estrapolato e ridotto a esperienza fine a se stessa, ce l’ha anche il ladro che, con tanta attenzione e tanta presenza, ti sfila il portafoglio in autobus; oppure un cecchino che con precisione, freddezza ed estrema presenza mentale, spara e uccide qualcuno.
Come vedi c’è bisogno, dopo un po’, di mettere in campo anche altro rispetto alla semplice presenza; anche se a me piace pensare che anche la semplice presenza ti fa sviluppare saggezza: se sei presente a te stesso e capisci quello che stai facendo, si sviluppa da te una certa etica e una certa saggezza, vedi se ci sono delle stonature dentro di te.
Come vedi non è la stessa cosa: il fine è quello di mirare alla pura consapevolezza, e tecnicamente sia Mindulness che Vipassana vertono su quello, ma mentre una si focalizza unicamente sul contesto laico e psicologico (la Mindfulness), l’altra (la Vipassana) è immessa in una matrice culturale di origine buddhista.
L’origine buddhista non significa che per praticare questo tipo di meditazione bisogna per forza aderire al buddhismo, anzi io mi sentirei stretto in un contesto che mi obbliga ad abbandonare una religione per un’altra e cerco di veicolare i contenuti in modo laico; ma è comunque presente un senso etico come il non danneggiare gli altri (cosa che poi danneggia anche noi stessi), una saggezza trasversale a tutte le religioni: questo contesto secondo me è prezioso e nella Vipassana è più garantito.
Nella Vipassana la pratica non è fine a sé stessa, ma viene contestualizzata in un percorso: questo ti garantisce di non uscire da degli schemi e di rimanere focalizzato sulla semplice tecnica e sulla semplice attenzione; da un punto di vista tecnico, comunque, le due modalità si assomigliano tantissimo.
Nella Vipassana si veicolano anche cose come la Metta, ma qualcosa del genere si trova anche nella Mindfulness: non c’è poi alla fine tutta questa differenza.
Però se uno dovesse proprio etichettare, dividere, suddividere e dover scegliere in base a questa divisione, non avrei dubbi e sceglierei la Vipassana ma, se noi cerchiamo di fare un lavoro unificante, questo problema non si pone neanche.
Personalmente amo la Mindfulness e la Vipassana, ma ciò non toglie che esistano anche altre tecniche, che personalmente amo un pochino di meno, ma che sono ugualmente molto valide da un punto di vista di centratura, di recupero di sé stessi e anche di trascendenza.
Sono comunque un po’ di parte e ritengo che la meditazione migliore sia la Vipassana (che ha un significato preciso: visione profonda) ma ciò non significa che non si possa accogliere o praticare altri tipi di meditazione: sono tutte le benvenute perché quando uno fa un lavoro su di sé fa sicuramente del bene.
Comunque è la vita che ci spinge a evolverci e avere meditazioni come Mindfulness e Vipassana, che ci permettono di essere più presenti a quello che viviamo, e quindi a farne più tesoro e a comprendere meglio certi meccanismi che altrimenti si ripropongono come lo stesso partner o gli stessi problemi a lavoro.
Dopo un po’ uno si domanda: ok, ho cambiato partner, gli occhi e i capelli sono diversi, ma il tipo di rapporto è lo stesso, non è che c’è qualcosa di sbagliato in me, invece di vedere sempre lo sbagliato negli altri?
E questo è già un lavoro che uno fa su di se, un lavoro di consapevolezza, e perciò avere una pratica quotidiana che ci aiuta a fare più tesoro delle esperienza della vita, ben venga: voglio dire con questo che alla fine le tecniche sono tecniche, quello che conta è la vita di tutti i giorni e per me, soprattutto la Vipassana e quindi anche la Mindfulness, ci aiutano a fare meglio tesoro delle esperienze quotidiane.
Ci tengo a dire questo perché non vorrei enfatizzare troppo delle tecniche fini a se stesse e non essere consci di quale è il fine stesso della tecnica: essere consapevoli nella vita; il vero insegnamento non è nella tecnica meditativa ma nella vita di tutti i giorni: è solo una zattera che ci permette di andare nell’altra sponda, ed è già tanto, ma non enfatizziamo troppo una zattera rispetto a un’altra, se per te una è più funzionale rispetto a un’altra che preferisco io, non ti sparo addosso.
Anzi lodo e plaudo il fatto che stai facendo un percorso che ti permette di andare dall’altra parte.
Spero di averti risposto e di averti dato una risposta a trecentosessanta gradi, a più livelli, e non aver soltanto detto perché è meglio una o l’altra; anzi mi piace zoomare e accogliere tante tecniche piuttosto che dividere, senza dire “questo è meglio”, “questo è peggio” in assoluto.
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