Tecniche di meditazione buddhista

guarda il video o contina a leggerne la trascrizione sotto:

 Il buddhismo è molto vario quindi, di conseguenza, sono molto varie anche le tecniche.

La tradizione più antica è la Theravada, quella a cui sono più affezionato, e che tradizionalmente diffonde gli insegnamenti sui quali Buddha ha insistito; e che ha diffuso a partire dal suo risveglio, attorno ai trentacinque anni, fino agli ottant’anni.

Ovvero oltre quarant’anni di insegnamento, in cui ha avuto modo di dare indicazioni assai precise, e in cui suggeriva diverse strategie, le cui principali sono Samatha e Vipassana.

Samatha è traducibile come “concentrazione”, e Vipassana come “visione profonda”; queste due tecniche sono legate strettamente, vanno a braccetto, e chi mi segue sa che io veicolo soprattutto queste due. (trovi la presentazione di un corso su queste Samatha e Vipassana cliccando qui, inoltre puoi vederne i primi video gratis da qui)

Anche la meditazione camminata attiene a questa tradizione, ed è un modo per tenere la focalizzazione attraverso il movimento, che diventa quindi oggetto di meditazione; e io, personalmente, la trovo molto potente, sebbene sia piuttosto sottovalutata (trovi maggiori dettagli cliccando qui).

Poi, sempre secondo l’antica tradizione, ricordo le Brahma Vihara: ovvero il gruppo delle quattro meditazioni, denominate “Dimore Sublimi”, sulle quali ho realizzato anche un corso di recente.

clicca qui per saperne di più: www.comemeditare.it/corsi/4dimore-presentazione

Queste quattro meditazioni sono: Metta, ovvero la pratica di benevolenza e della pace del cuore; Karuna, quella della compassione; Mudita, ovvero della gioia compartecipe; e infine Upekkha, l’equanimità.

Mentre in Samatha e Vipassana concentriamo l’attenzione e la espandiamo a tutto tondo, nelle Brahma Vihara facciamo un lavoro diverso: andiamo a suggerire e aalimentare uno stato emotivo e mentale che in quel momento non è presente.

Quindi se nella prima via c’è uno stato di consapevolezza rispetto a quello che c’è, qui invece andiamo a favorire un qualcosa che va coltivato, “innaffiato” potremmo dire; queste quattro meditazioni aiutano a far “sbocciare” il cuore, ad aprirlo come un fiore.

Tra queste, Metta è la più conosciuta, ma anche Karuna, molto simile a Metta, è molto praticata.

Il Buddhismo, nei secoli, si è evoluto e ha preso anche altre vie.

Andando a oriente c’è stato un modo di approcciarsi al buddhismo in modo un po’ diverso rispetto all’originale, più compassionevole e più improntato sull’altruismo, dove la voglia di essere risvegliati per essere di aiuto agli altri è stato un elemento predominante.

È nato quindi un altro percorso, chiamato da loro Mahayana (“grande veicolo”), a cui fa riferimento tutto il resto del buddhismo, come lo Zen e il buddhismo tibetano.

All’interno della tradizione Zen, c’è lo Zazen, che assomiglia molto alla Vipassana come obbiettivo finale (anche se forse lo Shikantaza gli assomiglia ancora di più).

Nello Zazen si sta seduti a meditare a occhi aperti, davanti a un muro, e la posizione ha un ruolo fondamentale; cambia un po’ la tecnica, ma lo scopo finale non cambia: l’illuminazione e la consapevolezza sono le chiavi del buddhismo, e queste rimangono.

Anche nella tradizione Zen c’è la meditazione camminata, ma è un po’ diversa.

Nella tradizione Theravada si và su e giù, mentre in quella Zen viene effettuata in modo più circolare; anche se in nessuno dei due casi c’è un vero punto di partenza e uno di arrivo, quello che conta è la focalizzazione su ogni passo: l’unico vero passo che conta è quello che si sta compiendo nel “qui e ora”.

Shikantaza è molto simile alla Vipassana, però viene sfrondato ogni tentativo di avere qualcosa da osservare: è la consapevolezza fine a se stessa, il vuoto e la vacuità che prendono il sopravvento.

Non c’è nessun oggetto da contemplare, è la pura presenza; la pura presenza è lo scopo di ogni meditazione, ma nella Shikantaza viene posta maggiore enfasi su di essa.

Nella tradizione tibetana ci sono tante, ma veramente tante, tecniche di meditazione, e anche molto varie.

Basti pensare che anche la prostrazione, l’inginocchiarsi davanti al Buddha, come nel pellegrinaggio in cui ci si inchina in continuazione, diventa una tecnica a se stante, molto fisica.

Poi ci sono tantissimi mantra come, per esempio, il mantra di Tara. (parlo di questo mantra in questo articolo qui)

Ci sono anche i mandala. (puoi approfondire il tema dei mandala cliccando qui)

In questa tradizione, infatti, si fanno questi mandala di sabbia, che poi vengono distrutti, e anche questa è un’occasione di meditazione.

Ci sono poi pratiche meditative che si rifanno a Samatha e Vipassana, sebbene vengano veicolate con nomi diversi; viene utilizzato di più il sanscrito, perciò abbiamo Shamatha e Vipashyana, che poi hanno pure un nome tibetano.

Samatha e Vipassana, ovviamente, fanno parte della tradizione degli antichi e quindi vengono tramandate anche nelle altre tradizioni buddhiste successive.

Ci sono poi anche tantissime altre pratiche buddhiste, alcune delle quali sconosciute anche agli stessi buddhisti, perché ci sono moltissime tradizioni portate avanti da molte scuole; alcune di queste pratiche sono addirittura “segrete”, in quanto veicolate direttamente da allievo a maestro.

Ce n’è anche una molto conosciuta, simile a quella della compassione che si chiama Tonglen; poi c’è quella della trasmissione della coscienza.

Ci sono quindi tante bellissime pratiche legate al concetto di favorire il bene intorno a noi e di incoraggiare la compassione, e anche molto piacevoli da fare.

Poi, il buddhismo ha preso varie strade.

Basti pensare che, recentemente, si è imposta in maniera abbastanza diffusa in Italia, e anche in alcune zone d’Europa, una forma che si rifà al buddhismo che è quella della Soka Gakkai, che recita molto il mantra Nam Myoho Renge Kyo.

Quindi come vedi esistono tantissime tecniche di meditazione buddhista, e anche molto varie.

Io, personalmente, tendo a prediligere quelle un po’ più originali che, tra l’altro, sono anche quelle un po’ più psicologiche, in cui c’è un invito a guardare dentro noi stessi; che, infatti, vengono molto utilizzate in ambito psicologico sotto il marchio della Mindfulness, e che si rifanno a Samatha e a Vipassana.

Quindi queste sono le tecniche che prediligo, anche se non nascondo che mi piace variare; per esempio mi piace moltissimo la meditazione camminata; o le Brahma Vihara, che favoriscono l’apertura del cuore.

Ho avuto anche il piacere di sperimentare delle tecniche Zen, e anche delle tecniche tibetane, più di una, e ognuna di esse ha un suo “tocco magico”, ed è un’esperienza a se stante.

Quindi è bello sperimentare e avere diverse esperienze.

A me piace avere una strada principale, con una meditazione di riferimento da fare, un riferimento culturale primario, con un maestro principale, per esempio.

La mia strada principale però rimane ferma; per esempio, se io devo andare da Roma a Milano, so che la strada principale è una e che se la seguo non mi perdo, poi però nulla mi impedisce, ogni tanto, di uscire dall’autostrada e di curiosare tra le campagne, e poi, dopo aver fatto un po’ di esperienza delle campagne, ritorno in autostrada.

E quindi, una volta che sarò arrivato a Milano, la mia esperienza sarà stata molto ricca e varia.

E non mi sono perso: a Milano ci arrivo perché so qual è la mia strada principale, ed ecco perché ritengo sia utile avere un punto di riferimento primario.

Anche nell’ambito dello stesso buddhismo, essendocene tante forme, non dico che bisogni sposarne uno (io non sono per i “matrimoni” con le religioni), ma sapere che esiste una strada principale e che puoi coltivare quella, ben venga.

Io poi vengo da una tradizione cattolica, e mi sento affine alla mia tradizione originale, anche se devo dire che dal buddhismo ho ricevuto tantissimo e continuo a ricevere tantissimo.

Anzi, devo dire che mi ha anche aiutato a riconciliarmi con alcuni aspetti del cattolicesimo con cui avevo delle difficoltà.

Ecco perché, alla fine, tendo a studiare di più e a praticare più volentieri quelle tecniche, dal mio punto di vista più psicologiche, come Samatha e, soprattutto, Vipassana.

Credo che queste due tecniche siano centranti e centrali.

Era anche quello che invitava a fare Buddha duemila e seicento anni fa; “conosci te stesso” è una frase che stava scolpita su di un tempio in Grecia, e che appartiene anche alla nostra tradizione culturale, e quindi una conoscenza laica di se stessi è un processo psicologico di grandissima utilità.

Quindi ognuno di noi ha una sua strada principale, ma è utile anche incuriosirsi di altre cose.

Io ho fatto una panoramica generale su varie tecniche, ma può essere utile anche andare a vedere e a spulciare ciascuna di esse.

Avendo sempre, questo è il mio consiglio, un punto di riferimento culturale principale; non arrivare a sposarlo per forza, ma sapere che quella è la tua strada.

Poi nulla ti vieta di cambiare, volevi arrivare a Milano poi, invece, vai a Torino oppure in Francia.

Comunque avendo un punto di riferimento non ti disperdi, non vai random: questo sarebbe il rischio avendo tanti strumenti e tanti approcci.

Quindi il mio suggerimento è: scopri, segui tutto, ma cerca comunque di avere le idee chiare.

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Una risposta

  1. Mi ha fatto piacere leggere quanto scritto sulle meditazioni. Condivido pienamente l’esempio del viaggio da Roma a Milano con varie deviazioni.
    Grazie

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