Buddismo e scienza

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le parole di Einstein sul buddismo e la scienza

Rubo le parole ad Einstein, che diceva: “Se esiste una religione in grado di far fronte alle esigenze delle scienza moderna, quella è il buddismo”.

E diceva anche: “La religione del futuro dovrà essere una religione cosmica, che trascenda il Dio personale ed eviti dogmi e teologie; dovrà abbracciare la sfera naturale e quella spirituale, basandosi su un senso religioso che nasca dal sentire tutte le cose naturali e spirituali come un’unità carica di senso. Il buddismo corrisponde a questa descrizione”.

il bigottismo religioso (e scientifico)

scienza e buddismoPurtroppo tutte le religioni, Buddismo incluso (e scienza inclusa: perché quando diventa dogmatica diventa anch’essa una religione), quando sono in mano all’uomo, diventano un qualcosa in cui si tende a difendere più la zattera che il cammino da percorrere.

Budda diceva: “Usa la zattera per attraversare il fiume; una volta che hai realizzato il tuo scopo, e sei arrivato dall’altra parte, la zattera lasciala andare”.

Invece noi ci attacchiamo alla zattera.

Difendiamo la zattera: difendiamo le strutture che servono a illuminarci più dell’illuminazione stessa, e più della realtà ultima delle cose, che la scienza può aiutarci davvero ad analizzare.

Però anche la scienza può diventare dogmatica, quello che stato ritenuto valido da un grande scienziato è difficile da mettere in discussione.

Poi la scienza dice tutto e il contrario di tutto: la scienza diceva che le sigarette facevano bene, adesso guai a dire una cosa del genere (e meglio non entrare nel merito di quello che sta succedendo adesso).

La continua ricerca

È utile quindi che la scienza non sia dogmatica, e non lo dovrebbe essere: una delle sue caratteristiche è quella di analizzare, di andare in profondità su come funzionano il mondo e la natura.

Buddha esortava a fare la stessa cosa, per questo ci sono delle analogie.

Buddha tendeva a dire, in un esempio molto bello simile a quello della zattera: “Se io punto il dito verso la luna, il mio compito come Buddha – cioè “il risvegliato” – è quello di far sì che ti risvegli tu, e quindi è un qualcosa che sta a te; ma se io indico la luna, non ti attaccare al dito, e quindi non attaccarti alle definizioni: usale per alzare lo sguardo, guarda la luna e fai esperienza della luna: fai esperienza, non attaccarti alle definizioni che servono per fare esperienza”.

Purtroppo anche il Buddismo – come tutte le religioni – è stato vittima di estremismi, dell’attaccarsi alle definizioni piuttosto che al realizzare le cose; quando qualcosa è nelle mani dell’uomo, che dà una struttura organizzativa a una “zattera”, la tendenza è a dire: “Io so com’è la verità, è come dico io, le parole sono queste, c’è scritto qui; bisogna fare come dico io”.

E si perde così il senso profondo che ogni religione dovrebbe veicolare.

Buddha ha insegnato questa verità per oltre quarant’anni – si è risvegliato un po’ prima dei quarant’anni, e ha lasciato il corpo verso gli ottanta – e quindi ha avuto quarant’anni per insistere molto su questo aspetto del non attaccarsi alle cose, del non fossilizzarsi sulle definizioni; e di rimanere focalizzati nel capire come funzioniamo nel mondo, e di come il mondo funziona.

Le cose che Buddha prevalentemente insegnava sono che esistono la sofferenza e la cessazione della sofferenza, e insegnava come arrivare a questa cessazione della sofferenza: il Nirvana, in sanscrito; o Nibbana, come avrebbe detto lui (che parlava il pali e non il sanscrito).

Nirvana significa proprio “cessazione”, e quindi indica la cessazione della sofferenza: è possibile.

Come?

Osservando le cose così come sono: facendo il lavoro della scienza.

Non attaccandosi alle idee, ai preconcetti, ai pensieri astratti, agli schemi mentali; ma guardando, senza attaccarsi a nulla, il fluire delle cose dentro e davanti a noi.

Capire, aderendo alla legge di natura, come funzionano le cose.

La parola che indica la legge di natura, in sanscrito è Dharma, in pali è Dhamma.

Buddha diceva “Io insegno il Dhamma”; “Io insegno a stare con le cose così come sono”; “Io insegno ad aderire alla legge” (dhamma, tradotto letteralmente significa proprio “legge”: la legge naturale).

Al di là dei dogmi e degli schemi, l’invito era quello di sperimentare le cose così come sono.

Di non attaccarci a nulla, ma di osservare le dinamiche nel qui e ora; capire come funzioniamo ne qui e ora; capire come funziona la natura nel qui e ora.

Questo è probabilmente il motivo per cui Einstein diceva che il buddismo è sicuramente la religione che fa un po’ da trait d’union tra la ricerca spirituale e la ricerca scientifica.

La fisica quantistica e le parole del Buddha

Per altro Buddha – in un bellissimo discorso attribuito a lui – dice che, in fin dei conti, la forma è vuoto, e che il vuoto è forma; e, se ci pensi bene, questo modo di vedere la realtà ultima delle cose – forma e vuoto, vuoto e forma – corrisponde molto a certe ricerche scientifiche sulla materia.

Come la scienza quantica: che analizza, andando sempre più in profondità, prima l’atomo, poi i protoni, poi gli elettroni, poi i neutroni; andando a scoprire che le molecole che compongono la materia sono fatte di atomi che non sono incollati, c’è spazio tra di loro, e gli stessi atomi hanno dello spazio tra il nucleo e gli elettroni, insomma: c’è più spazio che materia.

Sono stare fatte delle ricerche scientifiche, in cui si sparavano delle particelle di materia, e si è visto che queste particelle si comportavano non come della materia ma come delle onde.

Alla fine, nella scienza quantica, si parla non di una realtà chiusa ma di una realtà aperta: di un campo di infinite possibilità.

E si è anche visto come lo sperimentatore influenzi l’esperimento stesso.

L’approccio che Buddha ha avuto, e la fortuna di aver potuto istruire per quarant’anni i suoi monaci e i praticanti, gli ha permesso di aiutare le persone ad aderire alla realtà.

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