Vedere difetti in meditazione e non riuscire a perdonarsi
Daniela (una allieva del Come Meditare Coaching) fa una domanda il cui punto di vista capisco perfettamente, perché parla di qualcosa che capita anche a me (anche se per me non è più un problema; sebbene, attenzione, continui a capitarmi).
E dice: “Ho un problema: durante la meditazione emergono alcuni tratti del mio carattere, non desiderati e diciamo pure negativi, come vigliaccherie ecc.; bene, ne prendo atto, ma non riesco a perdonarmi, ad accettarmi con accoglienza.
Sono contenta per il fatto di rendermi conto, ma mi manca ancora l’accettazione benevola.”
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Lo ripeto: la meditazione ci pone davanti delle cose di noi stessi, e non tutte queste cose sono piacevoli.
Mano a mano che con la Vipassana andiamo sempre più in profondità, e ci alleniamo a vedere sempre di più dentro di noi, emergono sempre più cose che siamo in grado di vedere.
Il bello della Vipassana, però, è che ci si palesa quello che non possiamo più ignorare, ma che, comunque, in quel momento siamo in grado di attraversare.
Per poterla vedere con i nostri occhi, abbiamo bisogno di aprirci a questa realtà; ma, se ci stiamo aprendo a questa realtà, vuol dire che c’è già un certo livello di accettazione, altrimenti non ci sarebbe la sua consapevolezza.
Quindi, se ti sei aperta a dei lati di te stessa che non ti piacciono, significa che da parte tua un po’ di accettazione c’è stata.
Ed è un bene che tu te ne accorga e sia contenta del fatto che te ne accorgi; anche io gioisco quando vedo dei lati di me spiacevoli, ciò non di meno, ne sono comunque dispiaciuto.
Non è bello guardarsi allo specchio e vedere dei lati di noi stessi che non ci piacciono, però, calcola che la stragrande maggioranza delle persone non lo fa questo lavoro.
La stragrande maggioranza delle persone, tende a proiettare gli aspetti spiacevoli verso l’esterno: la famosa legge dello specchio, per la quale si vogliono cambiare gli altri, ma non si vuole cambiare sé stessi.
Il primo passo per cambiare noi stessi è quello di guardarsi allo specchio, e non è sempre piacevole.
Quando non è piacevole, emerge il giudice che è in noi; emerge quel giudice che, fino a un attimo prima, magari criticava quella qualità all’esterno di noi; e che, adesso, applica la sua critica verso di noi.
Però anche quel giudice è una parte di noi, e anch’essa va accolta.
Lo ripeto perché è importante.
Ci sono degli aspetti di noi che non ci piacciono e che abbiamo difficoltà a perdonarci.
Ma quello che non perdona, è una parte di noi, spiacevole anch’essa.
Puoi non perdonare quella parte che non perdona?
Capisci che questo a un certo punto diventa un loop.
Perché vedi che anche quella parte è negativa, e vorresti cambiare anche quella, e allora non ti vorresti perdonare nemmeno per quella, e via di questo passo.
Un loop appunto, nel quale dopo un po’ capisci di essere entrato.
Anche io, personalmente, a volte mi accorgo di essermi infilato in questo loop: dove un mio lato negativo ne fa emergere un altro, che poi fa emergere il giudice cattivo, che giudica cattiva la mia meschinità di prima, e fa nascere tutta una seria di miei lati giudicanti su me stesso, davvero allucinanti, e non c’è via per uscirne se si continua così.
La via è mettersi a ridere; infatti tutti i nostri difetti ci rendono anche buffi, perché gli diamo così tanta importanza (in quel momento però hanno davvero grande importanza per noi, quindi, massimo rispetto per queste qualità negative che sono emerse).
A parte poi che le qualità quelle negative, possono essere utilizzate all’ottava alta, cioè possono essere usate anche in modo positivo (se suonate in un’altra nota, eh? cioè usate in un altro modo).
Perdonarci, in realtà è fondamentale.
Ma il perdono, alla fine, arriva per forza: se vogliamo perdonare gli altri, anzitutto dobbiamo perdonare noi stessi.
Ma già il fatto di aprire gli occhi alla possibilità di guardarci allo specchio e vedere queste negatività, è già un primo passo per alleggerirci e affrancarcene.
Non per risolverle totalmente, perché delle peculiarità le abbiamo, siamo tutti diversi; però sono delle nostre peculiarità, e possono essere utilizzate anche in modo non così negativo come, in quel momento, ci sta apparendo (e quindi talvolta hanno sì un uso negativo, ma altre volte possono essere utilizzate in maniera costruttiva).
Però, non perdonarci, non ci sarà d’aiuto.
Avere la facoltà di aprire gli occhi in modo impietoso, e vedere la ferita purulenta per quella che è, è un atto necessario, che richiede molto coraggio; e richiede anche quell’energia, la stessa che potrebbe trasformarsi in non perdono, ma che deve invece essere usata per perdonarci (nel senso che stiamo parlando di una energia impietosa: perché noi non dobbiamo essere pietosi, se c’è del pus, va visto per quello che è).
È un passo in più, che comunque – inevitabilmente, se continui a meditare – finirai per compiere (l’alternativa sarebbe continuare a ricamarci sopra, e a cristallizzare questo difetto, rendendolo più importante di quanto merita).
Mi sto occupando – come sa chi mi segue da tempo – di un corso sull’aldilà. (Se sei interessato a questo argomento consiglio di iscriverti alla lista gratuita di Vita Oltre, una parte di questo blog piena di risorse incentrata sulle esperienze nell’ Al di là)
Quando moriremo, ci passerà di fronte di tutta la nostra vita, e vivremo degli episodi – sia piacevoli che spiacevoli – di cose che abbiamo fatto, e li rivedremo anche nei dettagli più minimi.
Noi allora saremo chi fa del bene, ma anche colui che quel bene lo riceve; e, analogamente, accadrà così anche quando abbiamo fatto del male: abbiamo fatto del male e soffriamo la sofferenza di chi ha ricevuto questo male, e soffriamo perché quel male lo stiamo facendo noi (perché, quando lo riviviamo, lo riviviamo in prima persona, come se lo stessimo vivendo in quel momento; e con una intensità pazzesca).
Ci sarà qualcuno accanto a noi.
Spesso è una figura spirituale, che ci sostiene nel riesame della nostra vita, ma senza giudicarci: ci ama così come siamo, in modo incondizionato; chi ci giudica, siamo noi stessi.
Dovremmo essere in grado di riuscire a non sentirci in colpa, a guardare e a rivivere in modo impietoso gli errori che abbiamo fatto perché possano essere trascesi, ed essere un tesoro da cui imparare qualcosa: se siamo vivi, è perché stiamo imparando qualcosa, e quindi gli errori li facciamo.
Dovremmo essere in grado di perdonarci, e il primo passo è fare proprio quello che stiamo facendo noi; meditare ci aiuta a prendere atto anche di cose spiacevoli, e a poterci perdonare.
Se riusciamo a perdonare noi stessi, poi ci sarà più facile anche perdonare le altre persone: quando la Metta – questa gentilezza amorevole – la applichiamo su noi stessi, c’è più facile anche applicarla per gli altri. (clicca qui per saperne di più sulla metta: la meditazione della gentilezza e della pace interiore)
E quindi sviluppare anche l’apertura del cuore, perché la consapevolezza e l’apertura del cuore, in realtà, sono due vie parallele in cui una è di sostegno all’altra.
E questo siamo chiamati a fare: a sviluppare la consapevolezza (e questo è quello che già stai facendo, Daniela), che poi produrrà la possibilità di aprire il cuore.
Quindi autorizzati ad aprire il cuore, e ad essere gentile anzitutto con te stessa.
È un passaggio necessario, ma fa già parte del lavoro che stai facendo, quindi io ti esorto ad andare avanti.
Ripeto, capisco bene il processo perché capita anche a me.
Poi, se avrai voglia, mi farai sapere se vedi questo essere giudicante che è in te e che non ti vuole perdonare, e se, in qualche modo, comincerai a perdonare almeno lui, se non quella vigliaccheria o meschinità.
Io mi trovo meschino, qualche volta, quindi uso spesso questo termine per descrivere queste cose quando le vedo in me.
Del resto, non siamo perfetti: ed è perfetto così :).
Ciao Claudio, ti seguo da bel po’ di tempo e medito da qualche anno. Volevo farti una domanda. A me viene voglia di meditare dopo aver finito di mangiare specialmente la sera. So che è meglio a digiuno e lo faccio. Ma secondo te perché succede? E proprio come se il mio fisico lo richiede. A te è mai successo?
ciao Ketty, talvolta i motivi possono essere più semplici di quanto possiamo immaginare. Ovviamente non so cosa motiva te ma riconducendolo a me, quelle volte che mi capita, è per il piacere/bisogno di rilasciare le tensioni. In fondo non dimentichiamoci che la meditazione rilassa. Chissà forse è lo stesso motivo che spinge anche te