I cinque impedimenti alla meditazione e alla crescita personale

 Buddha diceva che nell’ambito della meditazione, e anche in quello della crescita personale, esistono cinque impedimenti che si mettono in mezzo e non ci fanno meditare nella maniera corretta

Quali sono questi cinque impedimenti?

Guarda il video che trovi qui – i 5 impedimenti

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Ora li elencherò subito, entrando poi nei dettagli e vedendo anche di capire come lavorare in presenza di questi cinque fattori.

 

Questi impedimenti sono:

1) Il desiderio dei sensi

2) Ostilità e avversione

3) Sonnolenza e apatia

4) Irrequietezza e agitazione

5) Il dubbio

Cosa facciamo quando notiamo la loro presenza?

Entriamo subito nel dettaglio.

Già in ambito buddhista si dice che ci sono tre fattori centrali a cui riconduciamo tutte le esperienze e che ci legano a una visione duale, sofferente, della realtà: al Samsara.

Questi tre veleni centrali sono: la brama, il desiderio, l’apatia.

 

I tre veleni centrali: brama, avversione e apatia

L’attaccamento spesso si manifesta quando un’esperienza piace, quindi in corrispondenza della parola “mi piace”.

Il secondo veleno è l’avversione, il fastidio, l’irrequietezza se intesa come rabbia fastidiosa, e quindi siamo nel territorio dell’avversione e corrisponde alla parola “non mi piace”.

Possiamo proprio vederlo che c’è qualcosa che mi repelle, quando non mi piace qualcosa, vorrei allontanarla.

Ci sono quindi anche delle conseguenze: quando mi piace c’è brama, quando non mi piace c’è avversione.

E infine il terzo veleno si manifesta come sonnolenza o apatia, lo possiamo indviduare in corrispondenza alle parole: “mi è indifferente”.

I cinque impedimenti di cui parliamo sono quindi strettamente legati a questi tre veleni.

E li possiamo sperimentare.

 

1 Brama: il desiderio dei sensi

Nel desiderio dei sensi, sono lì che medito e ad un certo punto mi metto a pensare: “Uhm, c’ho fame. Adesso vado di là e mi preparo da mangiare questa cosa… “; e la mia mente già pianifica: “Adesso metto a bollire l’acqua… preparo il sughetto fatto in quel modo… “.

E la mia mente sta già là.

Dovevo meditare, mi ero regalato dieci minuti di meditazione e, invece di godermi quei dieci minuti, la mia mente è lì a bramare per l’appetito, e tutti i sensi possono essere coinvolti: il sapore, l’odore, il tatto…

E c’è brama, e riguarda tutti e cinque i sensi.

Anzi, dal punto di vista della tradizione buddhista, anche la mente produce delle sensazioni, genera delle sensazioni.

2 Avversione: il fastidio

Per quanto riguarda l’ostilità e l’avversione, possiamo sperimentare anche questo.

Se, per esempio, c’è un suono sgradevole: “Che fastidio. Io sto qui a meditare e questi si permettono di fare tutto questo rumore!”, “Che baccano infernale!”; e quindi siamo andati fuori a disturbare il rumore.

Come dice il maestro del maestro del mio maestro: “Non uscire fuori a disturbare il rumore”.

Io invece sono proprio andato a disturbarlo questo rumore: mi sono fatto agganciare da qualche cosa, e quello che provo dentro di me è avversità.

Anche in questo caso, l’invito è di osservare quello che succede dentro di te, non si tratta di non farsi agganciare da queste cose; talvolta è una cosa così meccanica, che è difficile non cadere dentro a queste situazioni.

Si tratta piuttosto di riconoscere cosa sta accadendo al nostro interno, e quindi riconoscere che c’è avversione.

 

3 Apatia e sonnolenza

Sonnolenza e apatia, invece, sono un po’ più difficili da notare.

Mentre la brama e l’ostilità, e soprattutto quest’ultima, le noto più facilmente, l’apatia è più sfuggente.

Quando c’è sonnolenza, distacco, in realtà non sono presente; non mi faccio agganciare da nulla, questo è vero, e quindi non c’è brama oppure avversione o ostilità ma non c’è neppure presenza.

Quando c’è sonnolenza io sono distaccato, ma nel senso di un distacco materiale: io sto da un’altra parte e non sono presente a me stesso.

Mentre la meditazione richiede la presenza.

Poi abbiamo l’irrequietezza e l’agitazione.

 

4 l’irrequietezza e l’agitazione.

In cosa consiste questo ostacolo?

Può essere simile all’ostilità, nel senso che c’è qualcosa che non mi piace e questo genera irrequietezza.

In realtà non è soltanto così che funziona, è un qualcosa più legato all’ansia; l’ansia io posso provarla nei confronti di qualcosa che non mi piace, e ho ansia di volerla cacciare, ma anche quando c’è qualcosa che mi piace, io sono irrequieto perché vorrei andare subito a fare quella cosa.

L’irrequietezza è una forma di agitazione che non mi fa stare neanche fermo, magari mi vengono pure dei pruriti, e quindi l’ansia sale.

È perciò un impedimento che non mi consente di essere presente ma, allo stesso tempo, è un’occasione per prenderne atto; c’è ansia e io sono presente alla mia ansia, non la caccio via.

Non ho l’ansia di cacciare via la mia ansia: questo è un esempio che faccio spesso.

Ci sto, sto lì e continuo la meditazione; mi sono preso dieci minuti per me, per meditare, mi sono voluto concedere questo dono e cerco di godermelo.

Nonostante tutti gli impedimenti.

E poi c’è il dubbio.

 

5 il dubbio

Il dubbio è una di quelle cose in cui incorrono spesso quelli che mi leggono: “Sto facendo bene”, “Sto facendo male”…

Quando si intraprende la strada meditativa si comincia a dubitare, e quindi cosa succede?

Che smetto.

Smetto di meditare, smetto di fare un percorso di crescita personale, perché ho il dubbio se la cosa stia andando bene oppure male.

Tutti questi dubbi non aiutano a progredire.

Quando parlo di dubbio parlo di questa specifica qualità, non sto parlando invece della possibilità di mettere in gioco, in dubbio appunto, un qualcosa che mi viene detto.

Buddha in questo era molto chiaro, e diceva: “Se io dico che per guardare la luna, la indico con il dito perché la luna sta là, non bisogna attaccarsi al dito”.

Nel senso che non devo prendere per buono che la luna sta proprio là, e prendere per forza per buona la direzione indicata col dito.

Quello che dice un insegnante ha bisogno di essere messo in gioco; io voglio toccare con mano, non mi accontento che mi dicano che la luna sta là.

Alzo gli occhi e lo guardo in prima persona.

Quindi “metto in dubbio” e, in questo senso, il dubbio è prezioso, se è uno strumento per farti agire e metterti in gioco in prima persona.

Non lo è quando io non guardo nemmeno, uno mi dice che “è lì” ma io non ci credo, non è così perché tanto non è vero, e poi non mi fido.

Mi manca la fede.

La fede

La fede è una qualità che è insita particolarmente anche nel cattolicesimo; quando si parla di fede si parla della possibilità di credere che possiamo tornare alla “Casa del Padre”, che possiamo tornare all’Uno, raggiungere la liberazione e risvegliarci alla Realtà Ultima delle cose.

E quindi alzare lo sguardo, avere la fede di poterlo fare ma, comunque, alzarlo davvero lo sguardo.

Non prendere quindi sempre per buone tutte le cose che ci vengono dette, ma metterle in dubbio, nella misura in cui però crediamo che questa cosa sia possibile, in modo tale da poterla poi sperimentare in prima persona.

Non è il dubbio a prescindere (quello “non ci credo proprio, quindi non faccio niente”), questo tipo di dubbio è quello dannoso; quello che poi ci impedisce di fare e di meditare, e non ci permette di evolvere e di crescere spiritualmente e mentalmente.

E anche nella stessa meditazione, cominciare a dubitare di tutto non ci è d’aiuto.

 

Come Meditare sui 5 impedimenti

Ricapitoliamo: desiderio e brama; ostilità e avversione; sonnolenza e apatia; irrequietezza e agitazione; dubbio.

Più o meno ti ho già detto cosa fare quando ci accorgiamo della presenza di uno di questi elementi.

La prima cosa da fare è riconoscerlo.

Possiamo ricordare quali sono e andare ad esaminare, uno a uno, se è presente o no.

Se è presente, è come mettere un post.it: “è presente”; attenzione, non un’etichetta, attenzione a non cristallizzare l’esperienza: quando c’è un dubbio, è passeggero; quando c’è irrequietezza, è passeggera.

Tutto è transitorio.

Attenzione a non mettere un’etichetta e a cementificare noi quell’esperienza.

Se mi viene un dubbio, non è che metto di meditare perché tanto ho un dubbio ed è una cosa più forte di me; ho preso atto che c’è un dubbio, bene, prendo atto che ho un dubbio, però rimango con la fiducia che possa passare.

Lo riconosco, fa parte di me e ci lavoro sopra.

In questo momento è presente un dubbio: tutto qui.

Quello che faccio è sviluppare consapevolezza rispetto a quello che c’è, senza cristallizzare, senza dar retta a queste manifestazioni.

Sono solo manifestazioni effimere, passeggere; tutto è passeggero, e ha un inizio, uno sviluppo e una fine.

Nella meditazione spesso ricordo di analizzare, di prendere in esame, e di essere osservatori del fenomeno di inizio, sviluppo e fine di ogni inspirazione e di ogni espirazione.

Ogni fenomeno si manifesta allo stesso modo, con una sua origine, un suo apice e poi una sua decrescita, fino a svanire.

Quindi non c’è bisogno né di crederci troppo e né di cacciarlo e, allo stesso modo, non vederlo non ci permette di sviluppare consapevolezza.

Per questo è un post.it, perché individuarlo ci permette di dire “Toh, ho individuato che in questo momento c’è desiderio”, e allora: bene, non c’è nulla di sbagliato.

In questo momento è così, non ho bisogno di cristallizzare l’esperienza, e ne prendo atto

Basta.

E vado oltre.

Vedo se c’è ostilità e, no non c’è; adesso non c’è, poi magari dopo ci ritorno e vedo che c’è.

E non succede niente.

Quindi l’invito è quello di renderci conto della dinamica, nel qui e ora, di quello che c’è; e, quando facciamo una meditazione sui cinque impedimenti, di prendere atto della presenza o meno di questi impedimenti.

Tutto qua.

E senza crederci troppo.

Mi è capitato, di recente, di sentire mio figlio dire “Non ce la faccio a non mangiarmi le unghie” (a quanti di noi capita), e quindi se le mangia.

Ci vuole comunque una certa determinazione, la capacità di mettersi in gioco; il poter utilizzare il “retto sforzo”, ovvero uno sforzo equilibrato, che fa sì che io provi a mettere quel tanto di energia, quell’attenzione, in modo da essere presente a me stesso prima di mangiarmi le unghie.

O anche mentre me le sto mangiando, e dirmi: “Oh, me le sto mangiando”; “Oh, è diventata una cosa meccanica”.

E comincio a notare cos’è che mi spinge meccanicamente e mi fa dire che è più forte di me.

C’è qualcosa che mi fa dire che è più forte di me?

E quindi si comincia a togliere forza alla cosa, a non crederci più tanto.

Se io mi convinco che è più forte di me, non faccio nulla; se io invece comincio a notare che c’è qualcosa che mi fa dire “È più forte di me”, comincio a lavorarci sopra.

Comincio a notare che c’è una forza, impellente e meccanica, che mi fa agire meccanicamente.

E quindi ne prendo atto.

Ne prendo atto, è un post.it, non ci credo più di tanto, noto che esiste e, prima o poi, svanisce.

La consapevolezza spesso è quel fuoco alchemico che permette di trasmutare la realtà, e ci permette di accedere alla realtà ultima.

Incominciamo quindi a sfrondare tutte queste cose che impediscono di essere presenti a noi stessi, e impariamo a lavoraci sopra, dandogli sempre meno retta.

E a riconoscerli.

Se non li riconosciamo, ne siamo vittime; se li riconosciamo, senza cristallizzarli, invece non siamo più vittime: siamo capaci di essere presenti a noi stessi, nonostante i cinque impedimenti, e questo fa sì che li superiamo più facilmente.

La presenza è quell’elemento magico che trasmuta un qualcosa di faticoso, di doloroso, in qualcosa che può essere trasceso per andare oltre.

Sul pericoli del dubbio trovi un approfondimento qui:

Ostacoli alla meditazione: Sto meditando bene o male

 

 

 

4 risposte

  1. Ciao Claudio, durante la pratica, anche senza andare ad indagare specificatamente sui 5 impedimenti, mi trovo spesso ad aver a che fare con la sonnolenza. Riconosco che è presente e che quest’ultima a volte fa nascere altri impedimenti in cascata e cioè il desiderio e l’avversione di volersi liberare della sonnolenza. Riconosco però che questa sonnolenza non è dovuta a un senso di apatia o di neutralità, ma piuttosto a una questione prettamente fisica (vuoi perché pratico la mattina presto o dopo una giornata di lavoro). Quindi ti chiedo, c’è differenza tra la sonnolenza derivante da apatia così come spiegata nel satipatthana sutta e quella che sorge propriamente da una questione fisica in cui ci si può addormentare per cause naturali? Grazie

    1. ciao Luca differenze e similitudini ci sono sempre, ad esempio Thich Nhat Han direbbe che questo caso non è nè fisico, ne mentale ma “fisiologico”. Tuttavia possiamo, volendo, ricondurla lo stesso alla sonnolenza dell’impedimento giacchè è possibile essere consapevoli anche mentre dormiamo e mentre sognamo. Non ha poi così importanza “catalogare” l’esperienza nella “casella giusta” piuttosto vedere come l’impedimento è presente ed in che modo ti ostacola senza volerlo eliminare. Calcola anche che la razionalizzazione ci fa distrarre dal viverci l’esperienza.

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