Come affrontare la sensazione di isolamento
Ciao, come fare quando ti senti un po’ isolato? Ti accorgi che stai facendo un percorso, in qualche modo, di crescita spirituale, e hai l’impressione che chi ti circonda non capisca, non stia sulla tua stessa lunghezza d’onda… Un’amica e seguace del percorso Come Meditare Coaching, mi pone una domanda molto simile: come fare?
questo video è stato estrapolato da una sessione del Come Meditare Coaching qui trovi maggiori informazioni su questo servizio di sostegno nel tempo: http://www.comemeditarecoaching.it
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Contenuti
- Come affrontare la sensazione di isolamento
- La prospettiva zen sulla realtà
- La mente diversa per risolvere i problemi
- La difficoltà di condividere il percorso
- Sviluppare la mente-cuore
- La pratica della compassione
- Ascoltare gli altri con cuore aperto
- Le dimore sublimi di Buddha
- Applicare la pratica nella vita quotidiana
- I tre gioielli del Buddismo
- Il Sangha: il gruppo di praticanti
- Dove trovare il Sangha
- Tre strategie pratiche per la crescita personale
- Ascoltare il proprio qui e ora
- Guarda il Video – quando il percorso di crescita ti fa sentire solo
La prospettiva zen sulla realtà
Allora, che cosa succede? Innanzitutto, è normale. C’è un detto zen che si dice: prima di conoscerlo, i fiumi sono fiumi, i mari sono mari, i monti sono monti. A un certo punto, come studiando lo zen, ti accorgi che, tutto sommato, la realtà è un po’ diversa: i fiumi non sono propriamente fiumi, i mari non sono propriamente mari, e i monti non sono propriamente monti.
Ma quando realizzi lo zen, quando arrivi a comprendere il senso profondo di ciò che l’insegnamento propone, cominci a renderti conto che sì, effettivamente, i fiumi sono fiumi, i mari sono mari, i monti sono monti. Questo è il detto zen che tranquillizza.
La mente diversa per risolvere i problemi
Einstein diceva, di contro, che per risolvere un problema non puoi usare la stessa mente che lo ha generato; ci vuole una mente diversa.
Io mi rendo conto che mi complimento con questa seguace, questa lavoratrice su di sé, che si è accorta che, in effetti, gran parte della nostra sofferenza è legata a quei processi mentali, quegli schemi mentali che ci fanno filtrare la realtà con un’ottica dolorosa. Effettivamente, ci separano dalla realtà ultima. Questi meccanismi sono meccanismi karmici: ci sono schemi mentali che ci fanno reagire meccanicamente e sono, tra virgolette, “diabolici” nel senso che ci separano dalla realtà ultima delle cose.
La difficoltà di condividere il percorso
Quindi, vedere quanti sono in balia, come noi del resto, di questi schemi, e non poterne parlare con chi non sta facendo un percorso, potrebbe essere un po’ faticoso.
Tuttavia, quello che va esercitato in questo caso è una qualità: quella che ci differenzia, appunto che, come diceva Einstein, se una mente ha creato un problema, non puoi usare la stessa mente che lo ha creato.
In Oriente, si parla di una qualità come se ci fossero due menti: una grossolana, che è quella che ci separa dalla realtà ultima, e una invece legata al cuore, una “mente-cuore”, qualcosa che è molto più affine all’amare e, in particolare, ad amare gli altri.
Sviluppare la mente-cuore
Questa attitudine si può sviluppare a forza di fare il percorso di consapevolezza; in qualche modo ci arrivi. Perché quando vedi che la sofferenza è ben distribuita, percepisci una forma di commozione, una forma di compassione. Tuttavia, Buddha, per esempio, suggeriva anche pratiche più concrete.
innanzitutto, cercare di aprire il proprio cuore, di sviluppare la compassione, prevalentemente la compassione. Buddha parlava di quattro qualità: una è la benevolenza, l’amorevolezza e la gentilezza, chiamata “metta”; una è la compassione, su cui io insisto soprattutto quando si tende a essere legati alla propria sofferenza; poi c’è la gioia condivisa e, infine, l’equanimità.
La pratica della compassione
Vedere che, così come soffriamo noi, e così come siamo legati ai nostri schemi mentali, anche gli altri hanno i loro, e non cercare di cambiarli perché non c’è nessuno da aggiustare: siamo tutti perfetti così come siamo, ognuno fa la propria sofferenza.
Riconoscere questo è semplicemente benevolo: fare da esempio, senza dover aggiustare per forza gli altri, ma prendersi cura degli altri, volergli bene.
Questa compassione è di grandissimo aiuto anche per uscire da uno schema egoico che dice: “Io vedo la sofferenza, la vedo solo io, ci sto solo io, sono chiusa, sono isolata”.
Ascoltare gli altri con cuore aperto
Invece, poter vedere che, proprio così come io sto soffrendo, ce ne sono altri, ma io ho una prospettiva leggermente diversa, non è che la uso isolandomi: la uso dicendo “Ok, ci sto lavorando, cerchiamo di essere vicini agli altri, cercando quantomeno di ascoltarli chi merita”.
Alimentare la capacità di ascolto è fondamentale. Cercare di aggiustare gli altri significa doverli istruire su qualcosa, ma ascoltarli quando hanno qualcosa da dire e far vedere che li comprendiamo perché conosciamo quella sofferenza è già un balsamo di sollievo.
Puoi ascoltare gli altri quando ti senti all’altezza. Certo, se sei stanca, esaurita per un lavoro che stai facendo su di te, non avrai energie per poterlo fare.
Ma quando senti che ti puoi aprire agli altri, fallo. Alla loro sofferenza, fallo pure: volontariato.
Io facevo volontariato portando la meditazione in carcere; mia mamma lo faceva attraverso associazioni cattoliche in ospedale. C’è chi fa il clown negli ospedali, chi offre il suo tempo nella “banca del tempo” per aiutare, per esempio, gli anziani. In questo modo, il tempo che dedichi agli altri ti viene in qualche modo restituito, quindi è anche bello.
Le dimore sublimi di Buddha
Quindi, guarda anche la banca del tempo, oppure semplicemente fare volontariato per il gusto di aiutare: tutte queste cose aiutano la compassione. Buddha suggeriva quattro qualità: metta (benevolenza), karuna (compassione), mudita (gioia condivisa), e upeksha (equanimità).
Queste quattro sono chiamate “dimore sublimi”. Lavorando su di esse, grazie alla consapevolezza che trasforma la sofferenza e alla luce della consapevolezza che ne smaschera i meccanismi disfunzionali, possiamo sviluppare un’apertura del cuore.
Il corso che ho fatto aiuta sicuramente a sviluppare queste quattro dimore, insistendo soprattutto sulla compassione. La benevolenza e la compassione sono fondamentali per guardare al di là del nostro orto, del nostro giardino, e osservare gli altri con più apertura.
Questo aiuta a usare la mente-cuore piuttosto che la mente grossolana, che altrimenti ci porta alla separazione e all’isolamento.
Applicare la pratica nella vita quotidiana
Tutte le religioni, così come i percorsi psicologici, sottolineano che essendo anche animali sociali, noi esseri umani abbiamo bisogno di aprire il cuore agli altri.
Puoi favorire questa attitudine attraverso la meditazione, ma è ancora più potente se la applichi nella pratica: fare volontariato, aiutare gli altri. Un corso teorico può restare teorico se non lo applichi, mentre l’azione concreta ti rende più aperta verso gli altri.
Non forzarti: se senti che il tuo livello di energia è limitato, fallo solo quando senti di poterlo fare. Ci sono momenti di alti e bassi; dobbiamo regolarci.
Possiamo essere sinceramente a cuore aperto anche quando siamo sofferenti, ma dobbiamo riconoscere i nostri limiti. Il corso può essere di aiuto, ma la vita di tutti i giorni e le pratiche quotidiane supportano davvero questo percorso, sia nel buddismo che nel cristianesimo.
Quindi, il concetto principale è questo: aprire il cuore, sviluppare la compassione, osservare gli altri senza giudizio, e praticare la consapevolezza nella vita quotidiana.
I tre gioielli del Buddismo
Nel buddismo si fa riferimento a tre gioielli: tre gioielli a cui fa riferimento il Buddha: il Dharma, il Sangha e la qualità del più nobile di ciascuno di noi, quindi la capacità di ciascuno di noi di poter raggiungere la comprensione ultima delle cose, necessari alla sofferenza.
A questo ci si fa riferimento quando ci si affida al Buddha: il Buddha è anche dentro di noi; il Dharma è la realtà delle cose così come sono, che si manifesta quando cominciamo ad aprirci a una realtà con occhi nuovi, quindi al di fuori di quello che ci dice la mente e gli schemi mentali.
Quando c’è la luce della consapevolezza, smettiamo di dar retta a tutte quelle fantasie e quei pensieri compulsivi, e cominciamo a vedere le cose così come sono.
Questo è il Dharma: fare affidamento alle cose così come sono, alla realtà ultima delle cose, quella che appare facendo un lavoro di consapevolezza, facendo un lavoro di ripulisti dagli schemi mentali che ci viziano karmicamente e che ci costringono a fare delle cose meccanicamente.
Il Sangha: il gruppo di praticanti
Ed è questo che volevo consigliarti: c’è il Sangha. Che cos’è il Sangha? È un gruppo di praticanti.
Nel caso si segua una tradizione buddista, sarebbe un gruppo di quella tradizione buddista, ma in realtà stiamo parlando di un gruppo di persone che sta facendo un lavoro su di sé, un gruppo di persone che sta facendo un lavoro su di sé, come lo trovi in psicologia.
Per esempio, un bel gruppo lo trovi nelle sedute di gruppo da una psicologa, oltre alle sedute individuali. Oppure puoi aggiungere alle tue amicizie nuove amicizie, che in qualche modo sai che stanno facendo un lavoro su loro stessi.
Dove trovare il Sangha
Dove lo trovi? Nei corsi di meditazione, nei gruppi di psicologia. Ci sono comunque dei vincoli: non ci si può frequentare al di fuori del gruppo. Li puoi frequentare in alcuni contesti, come lo yoga, o nelle parrocchie. Nelle parrocchie, se hai fortuna di trovare la parrocchia giusta e il prete giusto, puoi trovare delle persone. Per esempio, quando fai volontariato tra persone che fanno volontariato, è molto facile trovare persone che ti aiutano ad aprire il cuore, perché anche loro lo stanno facendo. Circondarsi di persone che stanno facendo un percorso di crescita personale, di aiuto verso gli altri, che cercano di rendere il mondo più bello, può essere di grande aiuto.
Tre strategie pratiche per la crescita personale
Quindi, ricapitolando, puoi fare tre cose, o tutte e tre insieme:
1) aggiungere alle tue frequentazioni occasioni per rapportarti con persone che stanno facendo un percorso di crescita;
2) fare volontariato, se e quando te la senti, anche solo in modi leggeri;
3) e infine, aprirti a corsi o pratiche di crescita personale, ma senza strafare. Se non vuoi impegnarti con un’associazione di volontariato che richiede molto tempo, puoi comunque aiutare gli altri in piccole azioni quotidiane: aiutare gli anziani, attraversare la strada, fare piccole cose che si presentano in continuazione.
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Ascoltare il proprio qui e ora
Misurati e ascolta il tuo qui e ora. Aprire il cuore non è sempre comodo, e non bisogna darsi addosso se qualche volta non ci riesci. Le indicazioni sono da usare come supporto, non come obbligo. Fare un piccolo passo fuori dalla zona di comfort è già un successo. Il corso può aiutarti a capire meglio questo meccanismo.
Guarda il Video – quando il percorso di crescita ti fa sentire solo
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