Meditare con l’ansia: varie soluzioni
“Dopo cinque mesi che soffro di ansia, a seguito di un evento traumatico, la meditazione da seduto mi crea un effetto di amplificazione e non mi porta più benessere; diversamente, quella camminata mi calma.
A questo punto, essendo passato così tanto tempo, secondo te conviene insistere comunque o, per ora, continuare solo con la camminata?
Grazie”.
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In passato avevo già detto che quella camminata va bene: è un buon ancoraggio e, se calma, perché non farla?
La meditazione camminata è spesso ingiustamente sottovalutata, e io la caldeggio.
Quando siamo ansiosi, il solo fatto di guardare dentro di noi e rivolgere lo sguardo verso l’ansia – autorizzandola in qualche modo a esserci – può far sembrare che questa ansia aumenti, e lo stesso vale, tra l’altro, per un dolore fisico.
Perché avviene questo?
Perché stiamo accogliendo, stiamo osservano: stiamo guardando qualcosa che non vorremmo ci fosse; e di primo acchito può fare impressione, e può sembrare che l’ansia effettivamente aumenti.
Ma a lungo andare, se noi continuassimo a meditare con la meditazione di consapevolezza – quella tradizionale e che suggerisco di più: la vipassana – ecco che, prima o poi, l’ansia cala.
Tuttavia, per attraversarla, gli devi andare incontro.
Se ti giri dall’altra parte, per fuggire da quest’ansia, bè, non la stai attraversando.
Non è grave, prima o poi ti toccherà attraversarla, ma per te in questo momento potrebbe essere troppo, potresti sentire di non farcela, di non avere energie.
E quindi va bene continuare con la camminata, non c’è nulla di sbagliato in questo.
Ogni tanto l’invito è comunque quello di provarci.
Quindi tieni come base quella camminata, va benissimo, ma ogni tanto alterna e prova qualcosa di nuovo, prova con la meditazione tradizionale; ma metti in conto quello che ti ho detto: metti in conto che l’ansia può crescere.
Se metti in conto che l’ansia può crescere, e a testimoniare, a essere presente a te stesso mentre l’ansia sta crescendo, ecco che hai cominciato a calarla.
Attenzione: non cala nella dimensione di chi prova ansia – quello rimane ansioso – ma cala in una posizione da osservatore.
È come se, spostandoti nell’osservatore e vedendo quel tipo (che sei sempre tu) che è in preda all’ansia, è come se guardassi qualcun’altro che ha l’ansia, e non te stesso.
E questo fa calare l’ansia.
Attenzione, lo ripeto: non si tratta di cacciare via l’ansia, si tratta di guardarla con gli occhi della consapevolezza per quello che è, senza respingere niente di quest’ansia.
E senza neanche ingigantirla, guardala per quello che è.
Guardandola con gli occhi chiari.
Guardando la realtà purulenta per quello che è, anche se non ci piace però possiamo intervenire, possiamo aggiustarla.
Se continuiamo a guardare dall’altra parte non succede, e ci sta se non siamo ancora pronti, ma, ogni tanto, è bene metterci un po’ alla prova.
Può darsi che, le prime volte che provi a rimetterti alla prova e vedi quest’ansia crescere, ne hai paura, e quindi smetti, e poi lo rifai un’altra volta, dopo un pochino di tempo, e smetti ancora; e poi capita quella volta, in cui ci riprovi ancora, e dici: “Voglio andare in fondo, vediamo che succede”.
E quindi sei curioso di vedere quello che succede, sai che l’ansia cresce, ci hai anche un po’ familiarizzato, nel frattempo; e prima o poi l’attraversi.
E quando attraversi quest’ansia, e attivi questo testimone, non dico che l’ansia va via e l’hai cacciata e vinta per sempre, sto dicendo una cosa diversa: hai trovato un ammortizzatore – che puoi usare sempre – per attraversare anche i momenti più bui della tua vita.
Sapere di avere un ammortizzatore del genere cala l’ansia.
Non hai più l’ansia di avere ansia, paura di avere paura: perché sai di poterla attraversare.
Spero di avere spiegato bene questa cosa.
Non sti tratta di cacciare via l’ansia, non ti aspettare che l’ansia cali in modo automatico; perché il lavoro che andiamo a fare porterà quasi certamente a un calo dell’ansia, ma lo farà nella misura in cui ti abitui a stare con l’ansia.
Quando vedi che è possibile stare con l’ansia ecco che smetti di alimentarla facendoci a braccio di ferro, smetti di comprimere nell’armadio qualcosa che non vuoi vedere e che, non visto, cresce e cresce ancora; e allora tu smetti di farlo crescere.
E quindi questo, una volta attraversato, sicuramente ti da quella tranquillità per cui sarai molto meno ansioso; e anche qualora, ogni tanto, dovesse emergere l’ansia, non ne aggiungi, non la fai diventare esponenziale.
Perché non hai più paura di quest’ansia, ci puoi convivere; ed è così che si vince l’ansia: la si attraversa e la si vince veramente.
Il mio consiglio è, ogni tanto, di provare a meditare in maniera tradizionale, con consapevolezza, e di osservare quest’ansia.
Se non ci riesci: tranquillo; fai pure la meditazione camminata, e concediti quindi di non riuscirci.
Puoi pure fare anche un’altra pratica, che nella “meditazione per indaffarati” chiamo “Del sorriso del cuore” (per chi la conosce è la pratica di benevolenza: la Metta); oppure quella della compassione (per chi conosce “le quattro dimore sublimi”, all’interno c’è sia Metta che la compassione).
Quando noi sviluppiamo la benevolenza e la compassione, cerchiamo di mandare amore all’altro – o attenzione, o pensieri benevoli; quando dico “Che tu sia felice, e che tutti gli esseri siano felici”, intendo proprio questo: un pensiero benevolo.
Però inizio da me stesso, cerco di contattare questa benevolenza, mi prendo cura di me stesso e delle mie difficoltà: perché solo se comincio ad amare me stesso posso davvero amare gli altri, solo se mi connetto con la mia benevolenza nei miei confronti posso davvero offrila agli altri; altrimenti sono parole vuote.
“Che tu sia felice”… e che vuol dire?
Ma se io sento, dentro di me, la possibilità di augurare con tutto il cuore di essere felice – sia a me stesso che agli altri – e mi connetto con questa energia, ecco che la trasmetto nel momento in cui mando un pensiero benevolo.
E quando noi cominciamo a spostare la nostra attenzione dai nostri malanni, dalle nostre preoccupazioni e dalle nostre ansie alla sofferenza che c’è nel mondo – e volendo augurare a chi soffre di stare meglio, o comunque di trovare una centratura in questo stato – ecco che il focus si sposta dalla nostra sofferenza, egoica e ristretta, a quella degli altri.
Quando si ama, e si cerca di fare del bene, c’è molto meno spazio per le paure.
Quando invece stiamo nelle paure mettiamo su una corazza; per proteggerci, ovviamente: ma questa corazza tiene chiuso il cuore.
Necessariamente dobbiamo liberarci dalle paure per poter aprire il nostro cuore, e la consapevolezza ci aiuta a fare questo cammino, e a sciogliere questa corazza: piano piano, quando siamo calmi, centrati e in grazia di Dio, il cuore tende ad aprirsi.
Ma non è un qualcosa di automatico.
Buddha suggeriva di allenarci a questo, a “coltivare” questa benevolenza e questa compassione verso gli altri, perché mentre alimentiamo la benevolenza, ecco che la prendiamo in mano; è come quando io ho in mano una cosa e ne devo prendere un’altra: io ho una mano sola che posso usare, quindi lascio andare quello che avevo in mano prima (la paura) e prendo in mano un’altra cosa (la benevolenza), e quindi ho fatto spazio a qualcosa di diverso.
Ho quindi coltivato un qualcosa di diverso.
Non è che ci riesce subito facile, non ci deve riuscire bene per forza: si tratta di spostare sempre di più la nostra attenzione verso qualcosa di benevolo.
Quindi, la strada della consapevolezza e quella della benevolenza sono due strade parallele, e te le auspico tutte e due; fermo restando che, se ti trovi bene a portare la tua attenzione alle sensazioni dei piedi quando fai la meditazione camminata, assolutamente ben venga.
Quindi continua pure con quella come punto di riferimento ma, come ti dicevo, ogni tanto prova anche a fare un po’ di meditazione di consapevolezza con la Vipassana; vedi come va e poi, dopo un po’, magari smetti.
Prova ad alternare queste tre: meditazione camminata, meditazione di consapevolezza Vipassana e meditazione Metta, o Karuna.
E ce n’è anche un’altra che ti posso suggerire, ed è quella da sdraiati.
Quando noi radichiamo la nostra attenzione alle sensazioni del corpo, ecco che la nostra mente è più occupata e vaga un pochino di meno.
Però se ti trovi bene con la camminata, va bene quella.
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