La meditazione Vipassana porta all’illuminazione?
Alberto chiede se la Vipassana può portare all’illuminazione e, nel caso, come agisce.
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Be’ sì, può assolutamente.
E come agisce: nel momento in cui aderiamo alle cose così come sono, aderiamo alla realtà; quando non aderiamo alla realtà, siamo in uno stato di coscienza che è assorbito dai pensieri: dai pensieri circa il domani o circa il passato, quindi ansie, preoccupazioni riguardo al futuro, e recriminazioni riguardo il passato.
E ci perdiamo l’unico momento in cui, invece, possiamo trovare lo stato delle cose così com’è e la pace: che è l’adesso.
Stare con l’adesso significa essere consapevoli di quello che c’è nell’adesso, e quando ci apriamo a quello che c’è nell’adesso, ci apriamo alla realtà ultima delle cose: che è nell’adesso.
Lo ripeto.
Quando ci apriamo a quello che c’è adesso, ci apriamo alla realtà ultima delle cose, perché la realtà ultima delle cose è quella che emerge una volta sfrondati tutti i pensieri, che sono fantasie; invece, stare nell’adesso, significa aprirci alla realtà ultima delle cose, che è adesso.
Di fatto, l’illuminazione che cos’è?
È la cessazione della sofferenza.
Mentre la sofferenza deriva dal fatto che noi questa sofferenza normalmente la alimentiamo con questi pensieri riguardo il passato e il domani.
Vipassana ci permette di essere consapevoli: consapevoli della nostra vita e consapevoli di quello che nella nostra vita sta succedendo, e di come questa vita è in interazione con un mondo.
Mi spiego meglio.
Quando ci apriamo alla realtà ultima delle cose, cos’è che vediamo?
Vediamo la realtà ultima delle cose: smettiamo di credere a dei preconcetti assoluti (dei concetti come “Claudio”, inteso come un sé assoluto) e cominciamo a vedere che viviamo un’esperienza dinamica (che non è concetto fisso e idealizzato di “Claudio”, ma un qualcosa che sta vivendo in un contesto), e quindi si può vedere questo flusso continuo di un tempo che è sempre un flusso continuo, che non ha fine, e che è l’adesso (e che non è neanche il tempo, ma è un continuo fluire delle cose).
E quindi, da un punto di vista concettuale, lo possiamo definire come “interdipendenza”, nella misura in cui siamo sempre immersi in un contesto, e questo crea appunto una interdipendenza.
Ma soprattutto una impermanenza, perché questo flusso di tempo è impermanente; cioè, se io scatto una foto, quello che io ho fotografato con quella foto è già passato.
E quindi è tutto un fluire; e io sono consapevole sia del processo del fluire delle cose – chiamata impermanenza – sia del fatto dell’interdipendenza, di come io esisto nella misura in cui sono immerso in un contesto.
Avere questa visione della realtà, comincia a relativizzare questo senso dell’ego (di un ego assoluto, di un contesto idealizzato di un sé) e comincio a dimorare in uno stato che è più onnicomprensivo, e che include tutto il processo e tutti gli esseri; quindi comincio ad avere una percezione più vera della realtà.
Ecco, questa è l’illuminazione.
Questo dimorare costantemente nel qui e ora, e avere una percezione di quello che esiste nel qui e ora, senza negare l’esistenza di un Claudio nell’adesso, ma includendolo in un processo che però ha una visione di insieme molto più completa rispetto alla visione di un Claudio che ha paura di perdersi.
È una visione con una prospettiva completamente diversa: è lo stato puro della mente, il Nirvana.
Cosa significa Nirvana?
Significa proprio “cessazione della sofferenza”.
Quindi all’illuminazione si arriva con un continuo aderire alla realtà, che è prodotto sicuramente dallo stare in presenza e consapevolezza nel qui e ora, cercando di aderire sempre più a questo modo di vedere la realtà.
Di fatto, noi accediamo al Nirvana ogni qualvolta aderiamo alla realtà; ogni qualvolta siamo nel qui e ora, percependo le cose così come sono.
Quand’è che siamo consapevoli?
Non solo in certi momenti mentre meditiamo, ma anche, per esempio, quando siamo in grazia di Dio: siamo in vacanza, stiamo bene e tranquilli, sentiamo la brezza marina, il sole ci scalda la pelle, un echeggiare dei gabbiani intorno, un vociare che ci circonda; è tutto vissuto come esperienza, niente ha un predominio nei miei pensieri ma mi godo l’esperienza.
Ecco, in quel momento c’è un momento di Nirvana, di cessazione della sofferenza, e di adesione alla realtà.
A questa realtà mutevole del sole, della brezza, del vociare dei bambini, del verso dei gabbiani ecc. ecc.
E questo stato si può assolutamente raggiungere nella misura in cui io mi alleno a stare nell’esperienza così com’è; nel qui e ora: che è l’effetto della consapevolezza.
Essendo la Vipassana una tecnica per stimolare questa consapevolezza, ecco che la Vipassana può aiutare.
Non è tanto la Vipassana in sé, ovviamene, ma è l’adesione alla consapevolezza e a quello che c’è nel qui e ora che ci apre alla cessazione della sofferenza, e la sradica nella sua formazione: non c’è più spazio per le creazioni mentali, se non sapendo che le stiamo creando, e quindi con consapevolezza.
Spero Alberto di aver risposto.
Ciao