meditazione buddista sull’impermanenza

 “Tra le meditazioni buddiste ho letto di una particolare meditazione sull’impermanenza, che aiuterebbe a vincere una eccessiva brama sessuale o cose simili.

Cos’è l’impermaneza e come si fa a meditare su di essa? Funziona? La consigli?”

guarda il video: Meditazione Buddista sull’impermanenza

oppure continua a leggerne la trascrizione sotto:

Si tratta effettivamente di una meditazione buddista; Buddha parlava abbastanza spesso di questa tecnica e, in seguito, ti spiegherò in cosa consiste.

Era in effetti molto utile quando un monaco aveva una eccessiva brama sessuale, ma la cosa vale anche per i laici: se io inizio a seguire qualunque gonnella che passa, probabilmente ho bisogno di fare un lavoro su di me; in quanto divento troppo dipendente da questo bisogno, che è fisiologico in quanto il bisogno di riprodursi è proprio di ogni essere vivente, tuttavia essere schiavi di questo impulso non è sempre funzionale.

Ci sono delle tecniche che aiutano a ad abbassare tantissimo questa attrazione fisica e a conviverci meglio; ma può essere estesa anche per mitigare un eccessivo attaccamento alle cose in generale: al denaro, alla macchina (guai a chi me la graffia!) e alle altre cose materiali.

Può essere pesante avere degli attaccamenti troppo marcati, perchè la nostra vita diventa una continua paura di perdere quello, oppure un continuo girarsi intorno alla ricerca della prossima gonnella (questo vale per gli uomini, ma può essere altrettanto vero per le donne anche se in maniera un pò più raffinata rispetto all’atteggiamento tipico di noi uomini).

Cosa suggerisce Buddha in questi casi?

Esiste una tecnica, o meglio, un gruppo di tecniche simili.

Una consiste nel considerare il corpo come un insieme di elementi non sempre gradevoli: unghie, peli, pus, muco, feci, urine, bile; tutte cose che fanno parte del nostro corpo ma che noi tendiamo a dimenticare.

Considerare tutte queste cose ci aiuta a vedere il corpo nel suo insieme e non solo come oggetto sessuale; a vederlo per quello che è veramente.

Poi esiste un altra tecnica, veramente potente, che detta così può essere macabra; ma l’effetto che produce una volta fatta è davvero notevole e, paradossalmente, ha un effetto di grande serenità e di grande pace.

È una tecnica che si fa immaginando dei cadaveri in decomposizione; anzi, per la verità, i monaci la facevano contemplando dei cadaveri veri e propri: nello specifico le mummie presenti in alcuni monasteri buddhisti lasciate nella posizione di meditazione.

Questo ci ricorda che moriamo.

È un pò come la celebre battuta del film “Non ci resta che piangere” di Benigni e Troisi: “Ricordati che devi morire!” “Sì, mò me lo segno”.

Il punto è questo: ricordarci che tutto quello a cui noi ci attacchiamo in realtà è impermanente, ci alleggerisce la vita; quindi se uno dice: “Ricordati che devi morire”, sembra una frase di malaugurio ma, invece, è qualcosa che ti aiuta a relativizzare le cose.

Tutto quello che in questo momento sembra così importante (“Devo avere questa donna”, “Devo avere questo uomo” “Devo avere questo oggetto” “È una cosa fondamentale per me” ecc.): è tutto transitorio, e merita di essere relativizzato.

Quella macchina che ci piace tanto un giorno sarà vecchia, graffiata e cadrà a pezzi; quel corpo è transitorio; c’è la morte.

Questo alleggerisce tutto; “Take it easy” dicono gli inglesi.

Ricordarti di quanto la natura è transitoria, ti permette di dire: “Ok, stai tranquillo, take it easy”; tutto questo non ci sarà più, tutto è effimero, la vita può essere presa molto più leggermente e proprio, paradossalmente, grazie alla contemplazione della natura cangiante e impermanente dei fenomeni.

Come si fa questa meditazione sull’impermanenza?

Meditazione-buddhista-impermanenza

Si pensa a un cadavere (i monaci venivano invitati ad andare nei cimiteri e guardare i corpi in decomposizione) e pensare al tuo corpo, o a un corpo in generale, che pian piano di gonfia; viene mangiato dai vermi; poi i pezzi del corpo si staccano; poi rimangono pelle, ossa e qualche brandello di carne; poi solo le ossa; poi le ossa si seccano ecc.

Insomma: si pensa alle varie fasi della decomposizione.

Macabro.

Si, molto macabro; ma ti assicuro che è anche molto potente.

Del resto dell’impermanenza non è solo Buddha a parlarne; fa parte anche della nostra tradizione cristiana: nei monasteri francescani, i monaci riflettono sul fatto che siamo transitori e dobbiamo morire.

Il gesuita Anthony De Mello (che io adoro) aveva detto ad un altro prete, che era in difficoltà e voleva capire come fare a comprendere l’essenza delle cose, di immaginare di stare precipitando e che ogni cosa a cui si afferrava stava precipitando assieme a lui.

È proprio così: noi ci afferriamo alle cose, pensiamo a noi stessi come se fossimo sempre vivi; ma poi ci dimentichiamo di vivere.

Mi rendo conto che è brutto da dirsi, che non è piacevole pensare a un corpo in decomposizione; non è piacevole dire che dobbiamo morire: sembra davvero qualcosa di malaugurio pensare all’impermanenza e che tutto sta precipitando.

Ma ricordarcelo ci permette di fare due cose.

Uno, di alleggerirci la vita, perchè alla fine non è tutto così importante; e due, di vivere molto più intensamente: ogni tramonto è bellissimo, ogni respiro è meraviglioso ed è unico, ogni momento è unico e può essere contemplato pienamente.

Consiglio questa particolare meditazione buddista?

Sicuramente consiglio di ricordarsi che ogni cosa è impermanente.

La meditazione sul cadavere non la consiglio a tutti, normalmente non la do nei corsi; perchè è un po’ particolare, non è sempre facile da accogliere e da accettare.

Però dal momento che me ne hai chiesto e mi stai seguendo, probabilmente volevi saperne di più e quindi, magari a te, se senti di poterla fare e vuoi sperimentarla,  te la consiglio perchè senz’altro è una tecnica potente per alleggerirti la vita.

C’è ancora una cosa che mi sento di dire.

Mi viene in mente più di un libro in cui ci sono dei tibetani che, una volta arrivati in occidente, hanno trovato dei cimiteri bellissimi: tutti ordinati, puliti, con i fiori ecc. e si erano detti: “Ma guarda come curano bene i loro morti; peccato che sono morti da vivi”.

Cioè: noi viviamo delle esistenze talmente in preda ai nostri pensieri e alle nostre fantasie che ci dimentichiamo di vivere; e quindi, se passiamo la nostra esistenza a bramare a destra e a bramare a sinistra, a pensare al domani, a ripensare al passato e via di questo passo, ecco che ci dimentichiamo di vivere: che è nell’adesso.

E se non viviamo nell’adesso, perchè pensiamo che lo potrò fare domani, che domani sarò felice, che oggi ho questo problema…ma domani, che oggi va così…ma domani; quindi noi così non viviamo la nostra vita e, se non viviamo la nostra vita, è come se fossimo morti.

Episodi del genere, di persone che dicono: “Ma guarda che bello: è tutto ordinato, ma chi è che vive tra i vivi? Tra i vivi sono tutti morti”; sono trasversali a varie culture.

C’è un bellissimo passaggio di Ouspensky in “Frammenti di un insegnamento sconosciuto”, in cui l’autore racconta di come andava in giro con il suo maestro, facendo le cose della vita quotidiana, e vedeva la gente come se fosse morta, come se fossero degli zombi.

Quante volte noi ci comportiamo da zombi?

Perciò fermarsi un attimo, pensare alla transitorietà di tutto, pensare a come sia tutto un fluire; la nostra vita è come un caleidoscopio che cambia costantemente.

Anche la nostra mente è cangiante: la mattina la pensiamo in un modo, durante il giorno in un altro e la sera in un altro ancora; e lo stesso per quanto riguarda il corpo: io non sono più il fagottino che era uscito dalla pancia di mia madre; ho pure qualche acciacco.

Ma è evidente; cambia la mia mente, cambia il corpo: tutto cambia; accogliere questo rende il cambiamento meraviglioso.

E quindi il cambiare comincia ad assumere un suo significato e va a sostituire, per esempio, l’idea di un Claudio sempre uguale a se stesso.

Abbracciare questa prospettiva ti consente di accogliere meglio i fenomeni della vita, di alleggerirtela e di godertela molto di più; e questo ti da gioia.

Quindi paradossalmente, come vedi, questa meditazione buddista (un tantino tostarella da fare) può produrre gioia e leggerezza.

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