Contenuti
- Dimorare nel cuore durante la meditazione
- La presenza come apertura del cuore
- La presenza apre il cuore
- Il risvegliato come essere a cuore aperto
- Due approcci spirituali: amore e consapevolezza
- L’alchimia inferior: trasformare la sofferenza in amore
- Prendersi cura della sofferenza
- La via dell’amore nel buddismo e nel cristianesimo
- Le quattro dimore sublimi: pratiche per aprire il cuore
- L’accoglienza come atto d’amore
- Il rischio degli ideali e la fretta di cambiare
- Prendersi cura è la via verso l’oro
- Le due strade convergono
- Presenza e amore: due volti della stessa via
- Guarda il Video – Dimorare nel cuore per rimanere in meditazione profonda: rapporto tra vipassana e metta
Dimorare nel cuore durante la meditazione
Un abbonato al Come Meditare Coaching domanda:
Nel corso della meditazione giungo a stati di concentrazione e assorbimento dai quali tendevo a uscire rapidamente.
Ora mi viene spontaneo dimorare nel mio cuore. Il che mi consente di mantenere questo stato più a lungo e di provare nuove sensazioni.
È corretto?
Bene, bene. Molto bello. Sì, certo, è corretto.. vediamo che succede per capirlo meglio e fissarne l’esperienza..
questo video è stato estrapolato da una sessione del Come Meditare Coaching qui trovi maggiori informazioni su questo servizio di sostegno nel tempo: http://www.comemeditarecoaching.it
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La via dell’amore nel buddismo e nel cristianesimo
E le scuole buddiste successive, la cosiddetta corrente Mahāyāna – quindi tutte le altre forme di buddismo – invitano primariamente ad amare.
Ed è anche la scuola di Gesù, in qualche modo: quella di amare il prossimo, amare il nemico tuo come te stesso, amare.
Le quattro dimore sublimi: pratiche per aprire il cuore
E quindi, ecco che Buddha – comunque anche lui, anche nella scuola Theravāda per esempio – c’è questo bellissimo esercizio, di cui ho fatto anche un corso, per sviluppare. Quattro esercizi in realtà, quattro tecniche che favoriscono tutte l’apertura del cuore.
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La prima è la mettā, quindi la gentilezza amorevole, l’amorevolezza.
La seconda è la compassione. La compassione è potentissima, perché occuparsi della sofferenza degli altri ci fa uscire dall’egoismo.
Cioè, invece di pensare alla nostra sofferenza, siamo costretti a prenderci cura degli altri. E questo apre il cuore e ci fa, come dire, uscire da uno schema infantile, egoico, dove ci sto solo io, solo la mia sofferenza.
E vediamo invece che siamo, ahimè, in buona compagnia. E quando ci preoccupiamo degli altri, come dire – come diceva anche Madre Teresa di Calcutta – c’è gioia, c’è amore. Non c’è spazio per l’ego.
Quindi:
gentilezza amorevole (mettā),
karuṇā, che è la compassione,
e poi c’è muditā, che è la gioia.
La gioia compartecipe, quella che ti fa gioire quando vedi un bambino che sorride contento e tu sorridi per lui. Questa è la gioia.
E poi c’è l’equilibrio, o l’equanimità: upekkhā, che è la capacità di accogliere gli alti e bassi della vita, quindi la vita per quello che ti offre. Per la manifestazione dei fenomeni, siano essi piacevoli, spiacevoli o neutri, allo stesso modo, in modo paritario, in modo equanime, in modo amorevole.
L’accoglienza come atto d’amore
Quindi l’accoglienza è amorevole. È un atto di amore accogliere, no?
Quindi io accolgo. Cosa accolgo? Le cose belle, esattamente come accolgo le cose brutte. Esattamente come accolgo la distrazione, l’apatia, l’essere neutri.
Ecco, questa è upekkhā.
Queste quattro qualità possono essere coltivate. Ed è quella che, appunto, gli alchimisti chiamerebbero alchimia superior.
Cioè io vado a coltivare direttamente l’apertura del cuore, vado a esercitarmi direttamente su quella, mentre un’altra parte di me, quando ha a che fare con la sofferenza, cerca di prendersi cura della propria sofferenza stando col piombo e portando consapevolezza sul piombo. Perché è la consapevolezza che lo trasmuta in oro.
Il rischio degli ideali e la fretta di cambiare
Se io mi volessi affrettare, ancora una volta, a sostituire quello che c’è con quello che vorrei che ci fosse, vado nel mondo degli ideali. Vado nel mondo degli ideali, mi perdo l’adesso, mi perdo quello che c’è. E mi voglio sbrigare, producendo avversione nei confronti – non so – dell’ansia, nei confronti di un altro tipo di sofferenza.
Invece prendermi cura, accogliendo e abbracciando quella sofferenza: quella la trasmuta.
Volere subito l’oro, senza prendere atto che c’è un dolore che merita di essere visto e che richiama la nostra attenzione, non funzionerebbe.
Non funzionerebbe.
Prendersi cura è la via verso l’oro
Perché diventi oro, abbiamo bisogno di prenderci cura della nostra sofferenza.
Bene, e quindi, riuscire – il fatto che tu riesca a porre l’attenzione al tuo cuore e mantenere così quello stato – è ottimo.
Le due strade convergono
Del resto, nelle pratiche delle quattro dimore sublimi, noi un momento di concentrazione iniziale sul respiro, per esempio, ce lo facciamo. Dopodiché, tutto quello che andiamo a fare è sviluppare questa presenza, questa attitudine – per esempio mettā, sviluppare mettā – e stare.
Ci sono dei momenti in cui stiamo. E quello lo dico nel corso:
ci concediamo di rimanere un po’ con la sensazione del cuore aperto, quando ci sta, ovviamente.
Quindi: benissimo, benissimo.
Presenza e amore: due volti della stessa via
Le due strade poi, alla fine, convergono. Perché quando c’è il cuore aperto, sto, accolgo. Accolgo cosa? I fenomeni. E quindi il qui e ora.
L’amore è accoglienza. E allo stesso tempo la presenza è accoglienza. E apre il cuore. E quindi le due cose, alla fine, vanno di pari passo.
Il fatto che tu vedi che porre l’attenzione al cuore funziona è ottimo.
Benissimo. Plaudo a questo.
Guarda il Video – Dimorare nel cuore per rimanere in meditazione profonda: rapporto tra vipassana e metta
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