Dimorare nel cuore durante la meditazione

Un abbonato al Come Meditare Coaching domanda:

Nel corso della meditazione giungo a stati di concentrazione e assorbimento dai quali tendevo a uscire rapidamente.

Ora mi viene spontaneo dimorare nel mio cuore.  Il che mi consente di mantenere questo stato più a lungo e di provare nuove sensazioni.

È corretto?

Bene, bene. Molto bello. Sì, certo, è corretto.. vediamo che succede per capirlo meglio e fissarne l’esperienza..

questo video è stato estrapolato da una sessione del Come Meditare Coaching qui trovi maggiori informazioni su questo servizio di sostegno nel tempo: http://www.comemeditarecoaching.it

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La presenza come apertura del cuore

Quando noi siamo totalmente nel presente – un esempio che faccio tipico, ormai me l’avete sentito fare più volte – è quello dell’essere un tutt’uno con il tramonto.

Essere un tutt’uno nel tramonto vuol dire che io non ci sono, non c’è Ego, cioè io sono perso in quella magia. Io sono parte di quel tramonto, io sono connesso con l’universo, il cuore è aperto. È una sensazione fantastica.

La presenza apre il cuore

Ecco: la presenza spesso produce l’apertura del cuore.

Non è matematico, perché certe volte la presenza è stata richiamata tecnicamente tante volte, tante volte, tante volte, che questa apertura del cuore è appena accennata. C’è, ma è appena accennata, e ancora non sappiamo svilupparla totalmente.

Il risvegliato come essere a cuore aperto

Ma il risvegliato è una persona a cuore aperto, è presente a se stesso, è pienamente presente a se stesso, nel qui e ora, ed è quindi a cuore aperto. Ama. Tant’è che tutte le scuole spirituali ci invitano a essere presenti e ad amare.

Due approcci spirituali: amore e consapevolezza

Poi però ci sono delle scuole di pensiero – tipicamente quella cattolica, per esempio – che fa leva su questo.

Ma anche il buddismo tibetano fa leva sull’amore e sulla compassione, invitandoci primariamente, parallelamente. Ma, mentre la scuola di Buddha più antica, quella che si rifà agli antichi insegnamenti di Buddha, invita a auto-osservarsi, a essere più consapevoli, diciamo più psicologici.

L’alchimia inferior: trasformare la sofferenza in amore

E quindi, che cosa fa? Sei consapevole. Di cosa? Di quello che c’è. E spesso si parte da uno stato disagevole, di ansia, di dolore.

E quindi questa è la via che gli alchimisti esoterici chiamano la via dell’alchimia inferior, cioè quella per cui prendi quello che c’è, che è sofferenza, che diventa però, attenzione, un oggetto importante di osservazione su cui porre la nostra attenzione, la nostra consapevolezza.

E, mano a mano che questa consapevolezza viene posta sull’oggetto, questo oggetto si tramuta in uno, in qualche cosa: da dolore a una sensazione di amore.

Eh, l’abbiamo detto, la presenza ci porta a quello, la consapevolezza ci porta a quello. Da un punto di vista degli alchimisti, la consapevolezza è il fuoco alchemico che trasforma il piombo in oro.

Trasforma. Cos’è il piombo? Sono le emozioni basse, la nostra sofferenza. La trasforma in amore, che è l’oro.

Prendersi cura della sofferenza

Questa è l’alchimia inferior. Noi per lo più siamo chiamati a fare questo. Perché? Perché di piombo ne abbiamo tanto, abbiamo tanta sofferenza. E quindi io spesso invito a fare questo tipo di lavoro.

Ma Buddha stesso – quindi anche nel primo insegnamento di Buddha – Buddha stesso ci invitava anche a seguire un’altra via, che è quella di sviluppare direttamente l’apertura del cuore, che gli alchimisti chiamano alchimia superior.

Perché? È come se la connessione con l’universo – tornando all’esempio del perdersi nella totalità, essere un tutt’uno con il tramonto – ecco, che non hai più bisogno, non c’è più piombo.

Passi direttamente a nutrire questo cuore aperto. Quindi: amare, amare, amare.

La via dell’amore nel buddismo e nel cristianesimo

E le scuole buddiste successive, la cosiddetta corrente Mahāyāna – quindi tutte le altre forme di buddismo – invitano primariamente ad amare.

Ed è anche la scuola di Gesù, in qualche modo: quella di amare il prossimo, amare il nemico tuo come te stesso, amare.

Le quattro dimore sublimi: pratiche per aprire il cuore

E quindi, ecco che Buddha – comunque anche lui, anche nella scuola Theravāda per esempio – c’è questo bellissimo esercizio, di cui ho fatto anche un corso, per sviluppare. Quattro esercizi in realtà, quattro tecniche che favoriscono tutte l’apertura del cuore.

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La prima è la mettā, quindi la gentilezza amorevole, l’amorevolezza.
La seconda è la compassione. La compassione è potentissima, perché occuparsi della sofferenza degli altri ci fa uscire dall’egoismo.

Cioè, invece di pensare alla nostra sofferenza, siamo costretti a prenderci cura degli altri. E questo apre il cuore e ci fa, come dire, uscire da uno schema infantile, egoico, dove ci sto solo io, solo la mia sofferenza.

E vediamo invece che siamo, ahimè, in buona compagnia. E quando ci preoccupiamo degli altri, come dire – come diceva anche Madre Teresa di Calcutta – c’è gioia, c’è amore. Non c’è spazio per l’ego.

Quindi:
gentilezza amorevole (mettā),
karuṇā, che è la compassione,
e poi c’è muditā, che è la gioia.
La gioia compartecipe, quella che ti fa gioire quando vedi un bambino che sorride contento e tu sorridi per lui. Questa è la gioia.

E poi c’è l’equilibrio, o l’equanimità: upekkhā, che è la capacità di accogliere gli alti e bassi della vita, quindi la vita per quello che ti offre. Per la manifestazione dei fenomeni, siano essi piacevoli, spiacevoli o neutri, allo stesso modo, in modo paritario, in modo equanime, in modo amorevole.

L’accoglienza come atto d’amore

Quindi l’accoglienza è amorevole. È un atto di amore accogliere, no?
Quindi io accolgo. Cosa accolgo? Le cose belle, esattamente come accolgo le cose brutte. Esattamente come accolgo la distrazione, l’apatia, l’essere neutri.
Ecco, questa è upekkhā.

Queste quattro qualità possono essere coltivate. Ed è quella che, appunto, gli alchimisti chiamerebbero alchimia superior.

Cioè io vado a coltivare direttamente l’apertura del cuore, vado a esercitarmi direttamente su quella, mentre un’altra parte di me, quando ha a che fare con la sofferenza, cerca di prendersi cura della propria sofferenza stando col piombo e portando consapevolezza sul piombo. Perché è la consapevolezza che lo trasmuta in oro.

Il rischio degli ideali e la fretta di cambiare

Se io mi volessi affrettare, ancora una volta, a sostituire quello che c’è con quello che vorrei che ci fosse, vado nel mondo degli ideali. Vado nel mondo degli ideali, mi perdo l’adesso, mi perdo quello che c’è. E mi voglio sbrigare, producendo avversione nei confronti – non so – dell’ansia, nei confronti di un altro tipo di sofferenza.

Invece prendermi cura, accogliendo e abbracciando quella sofferenza: quella la trasmuta.


Volere subito l’oro, senza prendere atto che c’è un dolore che merita di essere visto e che richiama la nostra attenzione, non funzionerebbe.
Non funzionerebbe.

Prendersi cura è la via verso l’oro

Perché diventi oro, abbiamo bisogno di prenderci cura della nostra sofferenza.
Bene, e quindi, riuscire – il fatto che tu riesca a porre l’attenzione al tuo cuore e mantenere così quello stato – è ottimo.

Le due strade convergono

Del resto, nelle pratiche delle quattro dimore sublimi, noi un momento di concentrazione iniziale sul respiro, per esempio, ce lo facciamo. Dopodiché, tutto quello che andiamo a fare è sviluppare questa presenza, questa attitudine – per esempio mettā, sviluppare mettā – e stare.

Ci sono dei momenti in cui stiamo. E quello lo dico nel corso:
ci concediamo di rimanere un po’ con la sensazione del cuore aperto, quando ci sta, ovviamente.

Quindi: benissimo, benissimo.

Presenza e amore: due volti della stessa via

Le due strade poi, alla fine, convergono. Perché quando c’è il cuore aperto, sto, accolgo. Accolgo cosa? I fenomeni. E quindi il qui e ora.

L’amore è accoglienza. E allo stesso tempo la presenza è accoglienza. E apre il cuore. E quindi le due cose, alla fine, vanno di pari passo.

Il fatto che tu vedi che porre l’attenzione al cuore funziona è ottimo.
Benissimo. Plaudo a questo.

Guarda il Video – Dimorare nel cuore per rimanere in meditazione profonda: rapporto tra vipassana e metta

 

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