Una meditazione particolare: Tonglen

Oggi parliamo di una meditazione particolare, che è Tonglen, che è una meditazione di dare/avere, che favorisce tantissimo l’apertura del cuore.

Come vedi, sono ricoverato in un ospedale e tonglen è una risorsa preziosa quando uno sta in uno stato anche di sofferenza, anche se può essere controintuitivo.

 

questo video è stato estrapolato da una sessione del Come Meditare Coaching qui trovi maggiori informazioni su questo servizio di sostegno nel tempo: http://www.comemeditarecoaching.it

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meditazione tonglenInfatti, lo scopo di questo articolo, per me, è quello di, ehm… come dire, buttare un sasso al di là dell’ostacolo che questa meditazione di Tonglen potrebbe in qualche modo rappresentare.

Dicevo, è una meditazione potentissima perché favorisce l’apertura del cuore, favorisce la compassione, favorisce un clima di luce laddove talvolta, magari proprio per un motivo di sofferenza, si tende magari a chiudersi in se stessi, ad alzare le corazze.

Ecco, prima di entrare nella tecnica in sé, è utile proprio capire come superare gli ostacoli che questa meditazione può rappresentare, cercando proprio di focalizzarci un attimo, prima di entrare nella tecnica, su questo aspetto della sofferenza dell’ego.

Il ruolo dell’ego nella sofferenza

La sofferenza è spesso dell’ego. L’ego è quella cosa che, in qualche modo, emerge naturalmente quando ci sentiamo più vulnerabili, quando ci sentiamo più feriti.

Se siamo in uno stato di sofferenza, è chiaro che magari pensieri tipo: “Me misero, me tapino, come sto, come farò?” in qualche modo creano ansia e chiudono questo cuore.

Esperienze quotidiane di ego e bisogno

Ci sarà capitato, ci sarà capitato sicuramente, magari in giorni non di particolare sofferenza, ma — che ne so — in giorni in cui ti sentivi bisognoso, ti stavano succedendo tante cose, stavi in fila alla posta e magari hai sgomitato più del solito per avere i tuoi spazi, perché in qualche modo in quel momento sentivi che ne avevi diritto, che avevi urgenza, che avevi ansia, che dovevi sbrigarti, che te n’erano successe di tante…

E poi magari, dopo, ti sei pentito.

La forza dei bisogni egoici

Quando ci sentiamo bisognosi, tendiamo a essere più egoici, a vedere più i nostri bisogni che quelli degli altri.
E questo fa sì che, qualche volta, sgomitiamo.

Ti sarà capitato di accorgerti che, magari, qualche volta hai un pochino esagerato.
Ma perché, in quel momento, comunque prevalevano i tuoi bisogni egoici.

Siamo umani, abbiamo corazze

E ci sta.
Siamo esseri umani, e abbiamo dei bisogni egoici.
Abbiamo ansie, fame, paure e stress, e tutte queste cose — come dire — ci mettono fretta, ci mettono un po’ i paraocchi.

Appunto, creano delle corazze sul cuore, e le nostre priorità diventano assolute, talvolta a dispetto di quelle degli altri.

L’ego e i suoi schemi mentali

Questo è quello che succede, appunto, quando l’ego tende a farla un po’ da padrone.
Ma spesso questo ego è governato da leggi che non sono propriamente nostre: sono schemi di pensiero, sono proiezioni in avanti.

Le ansie spesso non sono altro che pensieri su “Oddio, come farò?”, “Cosa succederà di me?”, e tutto questo ci fa preoccupare, e nel preoccuparci, appunto, crea questa corazza intorno al cuore.

Per cui le nostre priorità egoiche diventano poi addirittura fondamentali rispetto a quelle degli altri.

L’uomo non è cattivo, è solo più egoico a volte

Io tendo a pensare che l’uomo non è cattivo, in generale, se non perché questo senso dell’ego, qualche volta — in alcuni soggetti soprattutto, ma siamo tutti soggetti in realtà — poi ha una sua dominanza eccessiva.
E quindi, come fare?

La compassione come via d’uscita

Qual è il vero ostacolo?
Il vero ostacolo è proprio l’ego.

La compassione è una soluzione potente.

Già Buddha, in un discorso sulle quattro dimore sublimi — che chiamava nella sua lingua Brahamavihara — parla di quattro strumenti per questa apertura del cuore:
una è la benevolenza, la famosa metta;
una è la compassione, appunto, karuna;
poi c’è upekha, che è l’equilibrio, o la… sì, la forza dell’equilibrio;
e mudita, che è la gioia, una gioia compartecipe.

Quindi sono emozioni sopraffine, sono stati in cui dimorare, molto piacevoli.

La compassione come atto di benevolenza verso la sofferenza

La compassione ha questa caratteristica per cui, eh, io mi rivolgo, rivolgo un pensiero gentile. Quindi questa benevolenza, questa metta, questo bel pensiero, no? Che io sia felice, che tu sia felice, lo rivolgo però alla sofferenza degli altri. Lo rivolgo all’energia della sofferenza.

Quindi dico: c’è gente che soffre e vorrei, con tutto il mio cuore, che questa sofferenza si alleggerisse. E mando un pensiero positivo verso la sofferenza.

Quindi il focus, l’energia, è sempre quella di mandare un pensiero positivo. Il focus è la sofferenza, la sofferenza degli altri.

Quando noi, magicamente, pensiamo a quanto soffre qualcuno, la nostra sofferenza va più sullo sfondo. E da che l’ego ci fa soffrire, da che magari la nostra stessa sofferenza diventa motivo di fastidio, per cui vorremmo eliminare questa sofferenza, aumentando così questo carico — già soffriamo per conto nostro, in più non la vogliamo — questo non volerla aumenta ulteriormente la sofferenza, e quindi diventa un po’ esponenziale.

Spostare l’attenzione dalla propria sofferenza

La compassione, quindi, è pensare non tanto alla nostra di sofferenza, senza negarla, assolutamente senza negarla. Anzi, tonglen vedremo che è un esercizio che fa anche leva sulla sofferenza che c’è, ma spostando un po’ l’attenzione sulla sofferenza, anche e soprattutto, degli altri per favorirne, per alleggerirla.

Il principio di tonglen e la sua apparente controintuitività

Allora, che cos’ha di controintuitivo questa… allora questa così funziona Karuna (la meditazione della compassione), no? Quindi prendo la sofferenza e mando un pensiero gentile verso la sofferenza.

Come funziona tonglen? Tonglen è una parola tibetana che significa “ricevere e dare”, ricevere e dare. Qual è la caratteristica, per cui appunto ho fatto tutta questa premessa?

È che noi occidentali, soprattutto, siamo un po’ controintuitivi, perché la tecnica in sé significa “ricevere, dare”, ma ricevere sotto forma di fumo nero la sofferenza di quegli altri che soffrono — e qui, in ospedale, siamo pieni di gente che soffre — scagliarla contro il cuore, contro le corazze dell’ego che racchiudono il cuore, aprire il cuore e mandare luce amorevole a chi soffre.

La resistenza dell’ego e le difficoltà personali

Quindi ecco la difficoltà che potremmo avere, soprattutto noi occidentali, cioè la tendenza a pensare di accumulare la sofferenza degli altri, aggravando la nostra posizione.

Che non è, in realtà, quello che viene richiesto dall’esercizio. Però vedo che ogni tanto ci casco anch’io. Quindi questa è una tecnica che non sempre riesco a fare, perché ogni tanto l’ego, il dubbio, risorge, e vedo che non sono all’altezza di poterla fare.

Ma quando la faccio, è potente, meravigliosa, ed è di aiuto agli altri. Di aiuto in qualche modo, riverbera questo aiuto anche dentro di me. Perché quando, quando il cuore si apre e diventa luce, è fantastico. Ma un attimo prima magari stavi soffrendo, e un attimo dopo vedi la bellezza nel mondo e nel cuore.

Una tecnica potente per noi e per gli altri

E quindi è una tecnica assolutamente potente, sia per noi stessi che a beneficio degli altri. Una delle cose su cui uno può far leva è proprio il proprio karma.

Cioè: sono in uno stato di sofferenza, sono in un ospedale, come vedi in questo momento, e ho i miei problemi.

Ma questi miei problemi, dal momento in cui già ci sono, perché non approfittarne per dire: “Ok, usiamo i miei”, invece di far sì che gli altri debbano soffrire.

Dire ulteriormente: alleggeriamo il karma degli altri attraverso quello che è già il mio karma.

Trasformare il proprio dolore in servizio

E quindi questo, già questo pensiero, già il far leva sulla propria sofferenza, è un buon modo per farne maggiormente tesoro. No? Cioè, non è che l’aumento… non è che cala. Anzi, già il solo fatto di spostare il focus dalla mia sofferenza — che comunque diventa fonte, a questo punto, di karma positivo per gli altri e per noi stessi — ecco che in qualche modo il focus si sposta sulla sofferenza degli altri e si alleggerisce.

E si alleggerisce questa corazza, questo ego, questo senso di insofferenza verso una difficoltà che in qualche modo, invece, possiamo attraversare tranquillamente.

La croce che ciascuno può sostenere

Mi piace pensare che ciascuno di noi porta una sua croce, ma è proprio la croce che siamo, in qualche modo, in grado di supportare e di sopportare. E quindi perché non farcene carico e, allo stesso tempo, alleggerendo questo karma sugli altri, lo alleggeriremo in qualche modo inevitabilmente anche su noi stessi, anche per il solo fatto di esercitarci a mandare pensieri positivi verso la sofferenza degli altri.

La pratica del tonglen come dono

Quindi la tecnica avviene nel prendere, sotto forma di fumo nero, la sofferenza degli altri, scagliarla contro il cuore e rimandare indietro, sotto forma di luce amorevole e di guarigione, pensieri positivi a chi sta soffrendo.

Questa pratica, se riesci a non farti… a capirne l’essenza, come spero di essere riuscito in qualche modo a trasmetterla, è una pratica di grandissimo beneficio, di grandissima utilità, che veramente fa la differenza tra stare nell’ego del “non voglio soffrire” al “che bello stare nel mondo, che bello poter essere di aiuto agli altri”, in un momento in cui, altrimenti, avrei cercato soltanto egoisticamente un aiuto solo per me stesso.

Ed è veramente questo spostamento di focus, ti assicuro, che può fare la differenza.

Spero di aver offerto, a chi sa cogliere, una chicca che, ripeto, però non sempre riesce neanche a me. Quindi non posso pretendere che tu possa riuscirci al primo tentativo. Ma vale la pena provarci, e ti invito a farlo.

Guarda il Video – La Meditazione Tonglen dall’Ospedale

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6 risposte

  1. Ti ringrazio, leggendoti ho imparato molto.
    Spero che questo tuo periodo difficile passi presto, anche se vedo che riesci a trovarci aspetti utili per il tuo cammino.
    Un caro saluto

  2. Grazie! Ho conosciuto il Tonglen attraverso i video di Daniela Muggia e ho iniziato a praticarlo, le tue parole mi sono molto preziose per capire il senso di questa pratica. Ti faccio i miei migliori auguri di serenità e di pronta guarigione
    Paola

    1. si è una pratica non facile da approcciare se non sene capisce il senso profondo e anche conoscendolo talvolta ce lo si può perdere

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