Che osservando le cose negative possano evidenziarsi di piu?
Sì, succede, ma è questo che porta la pace. Negare la realtà è mettere la testa sotto la sabbia e non curarsi, non prendersi cura di noi, cioè è non andare dal medico perché non vuoi sapere. Ecco, è questo il problema. La consapevolezza risolve ogni male, “male” tra virgolette.
La consapevolezza e la seconda freccia
Quale male risolve? Risolve il male mentale, quella che Buddha chiamava la seconda freccia.
Cioè, tutti gli esseri illuminati che hanno trovato una pace immensa nella loro vita, alla fine si sono ammalati e sono morti anche.
Noi necessariamente dovremmo invecchiare, ammalarci e morire. Questa è la prima freccia, cioè sono gli alti e bassi della vita. Non è tutta liscia. Siamo in un mondo duale, fatto di bene e male.
Voler prendere solo il bene, scartare il male, è male. Poi, adesso arrivo a spiegare meglio questa cosa, ma non ci fa bene. Non ci fa bene perché significa scollarsi dalla realtà, che è fatta di bene e male, che è fatta di alti e bassi.
La vera felicità: accogliere tutto
La vera felicità, la vera leggerezza sta non nell’illudersi di avere solo autostrade con asfalto liscissimo, ma nell’avere degli ammortizzatori che ti permettono di andare liscio in autostrada, ma di poter attraversare anche le strade più impervie.
Ecco, la meditazione ti dà quella sicurezza e questa sicurezza è leggerezza, perché puoi attraversare la vita nei suoi alti, nei suoi bassi, con equanimità, cioè con la stessa tranquillità con cui puoi attraversare momenti belli come i momenti brutti.
Cioè, sei, hai un centro di gravità permanente, che non, non, non cambia con le cose brutte che la vita ogni tanto ci offre come, come opportunità di cambiamento. Ecco, già questa è un’altra prospettiva, no? Cioè, vedere le cose brutte come un’opportunità è già, già una prospettiva di una persona che ha navigato, se non meditato.
Ecco, questa è la chiave.
La chiave è accogliere, non negare
Quindi, la chiave non è evitare la prima freccia, che è inevitabile, ma toglierci la seconda, che è quella che ci infliggiamo da soli, che è la vera sofferenza, è quella che ci fa soffrire di più, è il carico da 11 che ci aggiungiamo noi sul problema iniziale, nel rifiutare o nel negare i problemi.
“Only good vibes”, che è una frase che piace tanto, no? “Solo buone vibrazioni”. Non funziona, è solo il problema. Le buone vibrazioni arrivano nella misura in cui siamo sereni, qualsiasi cosa ci accada. Quelle sono le buone vibrazioni, ma “solo buone vibrazioni” significa negare la realtà. Non è saggio e non è da praticante di meditazione. La meditazione ci apre alle cose così come sono.
L’ansia e la paura: come affrontarle con la meditazione
È vero che, per esempio, con l’ansia, se io sono una persona molto ansiosa e mi metto a meditare, e quindi, e mi metto quindi a stare con quello che c’è, quello che c’è è ansia. Quello che vedo è ansia e, nella misura in cui in qualche modo mi autorizzo a vederlo, questa può, per un momento, addirittura darmi la sensazione che cresce, soltanto per il fatto in cui io prima facevo finta di non, che non esistesse e poi l’autorizzo a esserci. Ma è solo un momento, è solo un momento. Poi passa.
Noi siamo pieni di cose irrisolte, siamo pieni di scheletri negli armadi. Questi scheletri sono come i fantasmi di quando eravamo bambini, che avevamo paura del mostro dentro l’armadio o sotto il letto.
Se noi avessimo il coraggio di aprire gli occhi a quello che c’è veramente sotto il letto, scopriremmo che non c’è nulla di cui avere paura. Certo, quando stai per aprire un armadio in cui pensi che ci sia uno scheletro, potresti dare un’occhiatina, avere l’impressione che ci sia veramente questo scheletro ed esserne terrorizzato. Ma se avessi il coraggio di aprirlo fino in fondo, questo scheletro svanirebbe.
Guardare con occhi aperti come funzioniamo nel mondo non è sempre piacevole, ma è liberatorio.
Vipassana e la visione profonda
E poi, la cosa bella della meditazione, soprattutto la meditazione di consapevolezza, la vipassana, la mindfulness, ma che si basa sulla vipassana, e vipassana significa visione profonda, è quello che ti permette di andare nella profondità in cui il tuo stato di coscienza ti permette di vedere, cioè lavoriamo per andare sempre un pochino più in profondità e raggiungiamo quella profondità che, nel qui e ora, la nostra coscienza è in grado di reggere e certe volte ci offre anche delle cose spiacevoli, ma attraversarle è fantastico.
Ti dà veramente sicurezza, cioè sapere che le ansie possono essere attraversate è motivo di cessazione dell’ansia stessa. Io ho ansia perché ho paura di avere paura, per esempio, no? La paura di avere paura. E quando sai che la paura non fa più paura, smetti di avere paura e di avere paura, cioè smetti di alimentare la paura, smetti di avere la doppia freccia.
Diceva Martin Luther King, Luther King, eh, un giorno la paura bussò alla mia porta, mi feci coraggio, dai, ad aprire, e non c’era nessuno.
Ecco, questa è la soluzione che in qualche modo abbiamo.
Il bene è accoglienza, non separazione
Credere che dovremmo eliminare il male e tenerci solo il bene è un’illusione. È giusto alimentare il bene, siamo d’accordo. Siamo in questo mondo per alimentare il bene, ma attenzione: il bene è amore e l’amore è accoglienza. Il bene e l’amore accolgono tutto, persino il male. Ciò che invece è male è voler scartare, è voler dividere.
Siamo un tutt’uno. A parole lo diciamo spesso: “Siamo tutti connessi, siamo tutt’uno.” Ogni tanto abbiamo questa intuizione, per esempio quando siamo immersi in un tramonto, ci sentiamo parte del tramonto stesso, e sono momenti magici, in cui abbiamo questa forte intuizione che siamo tutt’uno.
Ebbene, il più delle volte viviamo invece nell’egoismo, nell’egocentrismo, ci sentiamo separati, ci manca sempre qualcosa. Se ci sentiamo separati, ci manca qualcosa. Quando ci sentiamo in unione con l’universo, non ci manca nulla.
Ebbene, c’è un’espressione che noi usiamo senza sapere bene che cosa significa, che è “diavolo” o “diabolico”. Che cos’è il diavolo? Che cos’è diabolico? È colui che divide. È colui che divide. L’amore accoglie, il diavolo divide. Ed è diabolico scartare il male. Fare male al male è diabolico.
La lezione del lupo nero e del lupo bianco
C’è una bellissima storia dei nativi americani, che viene raccontata in modo sommario. Già il modo sommario comunque è saggio ed è gradevole, ma poi c’è la versione completa. La versione sommaria, quella forse più diffusa, più nota, è che un bambino va dal nonno. Sono nativi americani, mi pare i Cherokee, e il bambino dice:
“Nonno, in me ci sono due parti: una è come il lupo cattivo, che vuole aggredire e levare tutto agli altri, e l’altra è un lupo buono, che è bianco, che è tranquillo e sereno. Ed è come se ci fosse una lotta interna tra queste due parti di me. Chi vincerà?”
La versione più nota è che il nonno dice: “Vince quello a cui tu dai nutrimento.” Ed è bellissimo. Si tratta di alimentare quella parte di noi accogliente. Però, attenzione: pare che invece la versione originale non sia così semplicistica. Si arriva a questo, ma in modo diverso. Dice:
“Sì, vince chi nutri di più, ma dice anche di non smettere di nutrire anche, in modo equo e senza esagerare, la parte negativa, perché il lupo nero affamato, se troppo affamato, emerge e fa danni.”
Quindi bisogna nutrirli entrambi, quindi prendersi cura di tutti i nostri lati, anche dei nostri lati più in ombra, e però nutrire maggiormente quello che ci fa bene, che è il cuore, che è amare, che è accoglienza.
Accogliere le proprie ombre per trasformarle
Diceva Jung: “Rendi consapevole l’inconscio, altrimenti l’inconscio governerà la tua vita e tu lo chiamerai destino.”
Ecco, negare il lupo nero significa non cercare di mettere sotto terra, di far soffrire una parte di noi che è in ombra e che invece in qualche modo esce fuori. Io ho cercato per anni di, come dire, placare la rabbia, una rabbia che profondamente era diffusa in me, e la soffocavo al punto che poi esplodeva. A parte che non mi accorgevo quando ero arrabbiato: tutti se ne accorgevano, proprio perché la negavo, no? Quindi tutti si accorgevano che ero arrabbiato, io non mi sentivo arrabbiato.
Ed è una tendenza che ancora oggi, in qualche modo, ma ho imparato a veicolare la rabbia. Quindi non a soffocarla, ma a usare quell’energia in modo funzionale, in modo costruttivo. Ma questo richiede una grande connessione con la propria rabbia, non una negazione. Cioè, ho dovuto familiarizzare, non negare la rabbia, familiarizzare affinché io potessi essere consapevole dei miei meccanismi e rendere e sfogare la rabbia in modo costruttivo e non distruttivo.
Quindi non negarla, non lasciare che la rabbia, che il lupo nero, faccia quello che vuole. Allo stesso tempo, neanche opprimerla, ma permettergli di avere i suoi sfoghi. Per fare questo, ci vuole il coraggio di accettare che abbiamo dei lupi neri, e non è facile. E vorremmo tutti essere dei santi, vorremmo tutti essere dei meditanti, vorremmo tutti solo buone vibrazioni, ma non è così.
La meditazione come via alla leggerezza
Siamo in un mondo duale, fatto di alti e bassi, fatto anche di sofferenza, e dobbiamo in qualche modo essere anche in grado di accogliere questa sofferenza e non alimentarla. Ma non alimentarla non significa opprimerla, perché è proprio opprimendola che invece è uno dei modi per alimentarla.
Far finta che non c’è un mostro nell’armadio, quando tutto noi stessi vuole credere che c’è un mostro nell’armadio, non ci sarà di grande aiuto. È inutile mettersi con la testa sotto le coperte, quando siamo straconvinti che dentro c’è un mostro. Ho bisogno di togliermi le coperte di dosso, avere il coraggio di aprire l’armadio. Solo lì riesco a capire che cosa c’è veramente dentro l’armadio e di che cosa è fatto questo mostro.
Più delle volte ha poca consistenza, però ha una sua capacità di condensarsi, di prendere una forma, per cui io posso avere paura, terrore, addirittura non dormire la notte. Ma mettermi sotto le coperte non mi sarà di aiuto.
Ecco, quindi, che la meditazione ci aiuta a stare con quello che c’è, e stare con quello che c’è sviluppa in noi alcune qualità: quelle di aprire il cuore, di amare noi stessi e gli altri per quello che siamo, e non per quello che vorremmo fossimo, ma per quello che siamo. Ed è questo che ci dà pace.
Grazie Claudio, molto utile e chiaro
felice sia stato un articolo utile